
PENSARSI COME PIETRE CHE AFFIORANO

C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA — capitolo 1
DESIDERIO: PARTIAMO DALL’ETIMOLOGIA

Quest’anno la nostra Accademia del sabato approfondirà e rifletterà su un tema prezioso: il desiderio. Come sempre, partiamo dalla parola e ne ricostruiamo l’origine, perché il modo con cui gli uomini hanno scelto le loro parole dice molto sul modo con cui capiscono le cose della vita.
«Desiderio» deriva dal latino desiderium, vocabolo composto dalla preposizione de e dalla parola sidus, sideris. Mentre il valore di de è molteplice — e per questo le interpretazioni etimologiche possono essere più di una -, il significato di sidus è uno solo: stella. Il desiderio, dunque, ha a che fare con le stelle e questo già ci pare bellissimo: per desiderare, bisogna guardare in alto, una delle specificità dell’homo erectus, una delle caratteristiche che rende l’essere umano diverso dagli animali.
Veniamo al de che, per prima cosa, indica un moto da luogo, una provenienza: il desiderio, dunque, proviene, deriva dalle stelle. In che senso? Immaginiamo l’Uomo nel momento in cui, passando dalla quadrupedia alla posizione eretta, una sera, attorno a un fuoco, ha rivolto per la prima volta lo sguardo al cielo e ha scorto un’infinità di piccoli punti luminosi: sconosciuti, lontani, irraggiungibili chissà quante e quali emozioni abbiano creato in lui.
Immaginiamolo ancora nel momento in cui ha voluto dare un nome a quel forte sentimento sconosciuto che occupava il suo cuore: un sentimento intenso che lo spingeva a cercare oltre se stesso qualcosa che fosse all’altezza della sua libertà. Nulla ha trovato se non qualcosa di lontano e irraggiungibile… come le stelle! Ecco qui il nome giusto: de-sideribus.
O, ancora, il de come elemento destrutturante che ribalta, interrompe, cambia uno stato: desiderio, allora, come spinta, pulsione che destabilizza, rovescia, scombina l’ordine, la perfezione delle costellazioni, per creare un nuovo ordine. Pensiamo al desiderio di giustizia che, nei secoli, ha innescato le rivoluzioni e ha cambiato la condizione delle minoranze.
Ecco che desiderio è una parola ricca e ambivalente, ricca perché ambivalente: desiderare non è la forma educata di volere: ai bambini si insegna sempre a non dire «voglio» ma «desidero», come se cambiare verbo azzerasse i capricci, come se il desiderio fosse semplicemente meno perentorio del volere, un volere smussato, cortese, attenuato.
L’apatia, allo stesso modo, è assenza di pathos, di un qualsiasi sentimento, buono o cattivo che sia: su un uomo apatico tutto passa senza lasciare traccia, senza smuovere nulla, mentre il desiderio è la forza propulsiva che lo fa svegliare al mattino e lo spinge nel mondo.
L’uomo primitivo, dunque, si alza, guarda le stelle e il suo cuore batte, inventa le costellazioni e la loro scienza, le osserva e le riproduce, come nella scrittura onciale, la prima scrittura, dove vicino ai nomi degli dei c’era proprio una stella. Ma, anche, le smonta e le rimonta, in nome della giustizia, del bene, della speranza.
Questo è il desiderio: una parola bellissima, un sentimento fondamentale dell’animo umano di cui la letteratura si è sempre occupata, forse il motore stesso della letteratura come vedremo nelle grandi opere che tratteremo quest’anno.
Con i nostri giovani accademici, incominciamo a disegnare la costellazione del desiderio: obiettivo, volere, paura, felicità, soddisfazione, religione, tranquillità, crudeltà, sofferenza, struggimento, mancanza, immaginazione, libertà, amore, accoglienza, scelta, pentimento, indecisione, vita… è fatta di parole che conosciamo, ma arriveranno nuove parole, che impareremo a conoscere insieme, durante l’anno, leggendo e ascoltando. Proprio come per le stelle: più le si osserva, più se ne scoprono e, dove prima c’era solo buio, pian piano affiora una luce nuova. E, per quanto tu le conosca, ce ne sarà sempre qualcuna ancora da scoprire, e forse qualcuna, per quanto ti sforzi, non la vedrai mai.