
DESIDERIO: PARTIAMO DALL’ETIMOLOGIA

STONEHENGE E STELLE CANDENTI
C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA — capitolo 1

L’esame di ammissione alla scuola media
Estate 1958, un grande cortile assolato, circondato da edifici massicci color rosa stinto, le facciate uniformi, con tantissime finestre, tutte uguali, che sembravano tener d’occhio la folla di bambini che entravano da un grande cancello, sotto l’attenta sorveglianza di personaggi dall’aria severa. Alcuni indossavano un grembiule nero, altri erano “in borghese” e avevano uno sguardo più autoritario. In seguito, ho capito che i primi erano i bidelli, gli altri i professori.Il cortile si trovava all’interno di un complesso scolastico situato nei pressi di Porta Volta, precisamente nel luogo in cui nei secoli precedenti si ergevano le mura spagnole di Milano. L’indirizzo della grande scuola era infatti Bastioni di Porta Volta 26 e al suo interno erano ospitate una scuola materna, il “Regio Istituto magistrale Carlo Tenca” e due scuole medie: la Panzini e la Cagnola.
I bambini che entravano nel cortile della scuola erano ragazzi di 11 anni, ma in quel tempo a 11 anni si era “bambini”, mica come adesso! Entravano per sostenere un terribile esame, in cui si giocava il loro futuro, si decideva, cioè, se avrebbero potuto proseguire gli studi superiori e andare all’Università, oppure no. Impressiona, sembra assurdo agli occhi di chi legge queste righe, che il futuro di una persona fosse determinato a 11 anni, ma così era e lo sarà sino a una riforma del 1962 che ha spostato la scommessa qualche anno più in là.
Dopo la Licenza elementare, gli alunni dovevano fare una scelta: scuola media, oppure una scuola triennale di “avviamento al lavoro”. Fra queste ultime, godeva di maggiore prestigio quella detta “commerciale”, che permetteva in seguito di accedere a un lavoro di tipo impiegatizio o iscriversi agli studi di ragioneria. Chi sceglieva la scuola media doveva superare un esame di ammissione.
La scelta era raramente nelle mani dall’alunno bambino, ma era determinata dai genitori, sulla base della loro condizione sociale e culturale. Le famiglie più abbienti e con una certa cultura sceglievano di indirizzare i figli alla scuola media, che garantiva loro la possibilità di proseguire negli studi; le famiglie più modeste pensavano prevalentemente alle scuole di avviamento al lavoro, che, come dice il definitorio nome, facevano scivolare i giovani nel mondo del lavoro dopo soli tre anni di scuola. Altro elemento che contribuiva alla scelta era il consiglio dell’insegnante della scuola elementare: il mix faceva sì che spesso alunni brillanti con grande potenziale riempivano le scuole di avviamento e, viceversa, alunni poco dotati, venivano iscritti all’esame di ammissione alla scuola media.
La mia scuola elementare, detta “quella di Via Bodio” – in realtà era intitolata a Rosa Maltoni Mussolini (la mamma di Benito), ma il nome, scritto a caratteri cubitali, era stato scalpellato via con cura – raccoglieva moltissimi bambini, rigidamente divisi in classi femminili e classi maschili, di estrazione sociale molto differente: c’erano la figlia del Dottore (il medico), del Farmacista, del Signor Direttore, del Direttore della Banca e, via via, i figli degli impiegati, degli artigiani, dei negozianti e dei numerosissimi operai, che lavoravano nelle fabbriche della zona Bovisa, quartiere caratterizzato da numerose fabbriche storiche, attualmente decentrate in luoghi fuori città. Pochi alunni erano destinati a frequentare la scuola media e, per loro, durante la quinta elementare veniva organizzato un corso pomeridiano di preparazione all’esame di ammissione. Anche questi corsi erano divisi, per i maschi e per le femmine, e ricordo che noi bambine partecipanti eravamo una dozzina, molto poche rispetto alle circa 120 alunne delle classi quinta della scuola, il 10%. Probabilmente qualche alunna riceveva una preparazione personalizzata presso insegnanti privati, remunerati direttamente dalle famiglie. Non so se il corso preparatorio per i maschi fosse più numeroso, ma è probabile, perché negli anni 50 l’idea prevalente era quella di avviare allo studio i figli maschi, mentre rimaneva comune programmare per le figlie femmine uno studio meno impegnativo e un precoce inserimento nella vita lavorativa, in attesa di un buon matrimonio futuro. Ricordo una frase che ricorreva frequentemente sulla bocca di mamme, nonne e zie: “Un uomo è bello se è intelligente, una donna è intelligente se è bella”. Non riuscivo a capacitarmi dell’assurdità di una simile frase. Diciamo: “per fortuna!”, perché se l’avessi capita avrei dato il via a una rivoluzione quotidiana.
In quella mattina estiva del 1958, fra la moltitudine di bambini c’ero anch’io, con le calzettine corte bianche e il cerchietto per tenere in ordine i capelli. Penso che fossimo un centinaio o più, allineate, in fila per due, lungo il lato destro del cortile, in perfetto silenzio e un po’ spaventate. Sul lato sinistro erano allineati i maschi: secondo l’uso del tempo, avevano calzoni corti e giacchettina, probabilmente molti indossavano il vestito con cui avevano ricevuto la Cresima l’anno precedente e i loro “completi” sembravano un po’ striminziti.
Tutti portavano con sé, oltre al fazzoletto, una penna biro. Alcuni ne avevano due, come me che avevo ricevuto molte raccomandazioni dalla maestra a tal proposito. Alla scuola elementare non si scriveva con la biro, bensì con la cannuccia, il pennino e l’inchiostro, mentre per i compiti a casa si poteva usare la stilografica. Era vietato portare la stilografica in classe, per non umiliare le compagne che non la possedevano.
Nel giro di una mezz’ora, tutti i bambini vengono accompagnati nelle grandi aule, che contenevano senza problemi una trentina di alunni, viene consegnato a ognuno un foglio protocollo timbrato e un severo insegnante inizia a dettare un testo pieno di insidie: il famigerato dettato ortografico. Immediatamente dopo viene indicato il titolo di un tema di cui non ricordo più niente. Il giorno successivo, secondo le stesse procedure, eseguiamo un problema e una serie di divisioni a tre cifre. Nella settimana seguente, a turno, l’esame orale, esame di cui non mi è rimasto alcun ricordo, tranne la presentazione di una carta muta dell’Europa: non avevo mai visto una carta così, tanto che pensavo fosse una carta difettosa. Fortunatamente sono stata zitta e ho custodito nel mio cuore il pensiero che quella carta non fosse di alcuna utilità, essendo priva di indicazioni. Ricordo la voce della esaminatrice che mi chiedeva di indicarle il nome e il luogo dei mari e dei golfi dell’Europa. Fortunatamente avevo stampata nella memoria la cartina fisica dell’Europa del mio Sussidiario! Vantaggi di una buona memoria visiva.
Alcuni giorni dopo, vennero esposti nell’atrio dell’edificio i cartelloni, che indicavano, accanto ai singoli nomi e cognomi: Ammessa/o oppure Respinta/o. Io ero stata ammessa e, prossimamente, se interessa, racconterò l’avventura dei primi giorni di scuola media.