
IL LAVORO GRATUITO

IL GIOCO DELLE PAROLE IMPARATE
NON SI VIVE DEL DESIDERIO DI UN ALTRO — parte 1

Appena lo presentiamo ai ragazzi, Ilja Ilič Oblòmov conquista tutti!
Pigro e inconcludente fino all’inverosimile, è uno di quei personaggi letterari nei cui sinuosi panni si scivola istintivamente volentieri, una di quelle persone capaci di farci sentire meno inadeguati di fronte agli scivoloni cui i vorticosi ritmi della vita ci costringono, un amico sulla cui morbida spalla abbandonarci ogni qual volta, all’ennesimo rinvio di un impegno, ci sentiamo in colpa e ci barrichiamo, più o meno consapevolmente, dietro alle giustificazioni più puerili e inverosimili del mondo. Ma Oblòmov è molto, molto di più di un semplice uomo indolente e questo meraviglioso e dimenticato capolavoro ci guida alla scoperta di una delle figure più affascinanti e complesse della letteratura russa e non solo.Scritto da Ivan Gončarov come secondo romanzo di una trilogia dedicata all’intricato dialogo fra città e campagna, preceduto da Una storia comune e seguito da Il burrone, Oblòmov fu pubblicato a puntate su una rivista nel 1859 e comparve in Italia soltanto nel 1933.
La trama è semplice: Oblòmov è un giovane proprietario terriero che vive a Pietroburgo, grazie alla rendita di una sua lontana e disastrata tenuta di campagna. Trascorre le sue giornate nella più totale inattività, spesso sdraiato su un divano, passando il tempo a dormire, pensare, fare progetti. Dopo aver rinunciato alla carriera nella complessa burocrazia russa, ritenuta inutile e umiliante per l’uomo, rinuncia anche alla vita di società, che gli appare falsa, gretta, superba e priva di scopi spirituali. Suo inseparabile compagno è il servo Zachar, devoto al padrone nonostante i continui e acerrimi scontri; suo amico del cuore è Andrej Ivanovič Stolz, uomo energico e laborioso di padre tedesco, che per tutta la vita lo sprona a uscire dal suo torpore, lo aiuta, lo spinge all’impegno intellettuale e sociale proprio degli anni giovanili, di cui è capace e che, talvolta, sembra rimpiangere. Andrej presenta l’amico alla sua conoscente Olga Sergeevna, chiedendole di aiutarlo a ridestare Ilja Ilič dal suo sonno. Dopo un importante risveglio mosso dall’amore per Olga, che porta i due fino alle soglie del matrimonio, Oblòmov comincia a temere i cambiamenti, a dubitare e ad angosciarsi di fronte al definitivo e finisce con il rinunciare all’amore della donna, la quale poi sposerà Stolz.Apparentemente un disastro, dunque, l’esistenza di Oblòmov, ma in realtà quest’uomo sensibile, profondissimo lettore dell’animo umano e della realtà, sa costruirsi un suo nido di serenità e di affetti autentici. Senza proclami, senza gesti eclatanti, Oblòmov, pagina dopo pagina, cuce, con una delicata e arrendevole bontà, la calda coperta della serenità da lui sempre agognata, sposando la vedova dai bei gomiti, proprietaria della casa dove egli si reca a vivere provvisoriamente, ma in realtà fino alla morte, dopo lo sfratto annunciatogli nelle prime pagine del libro. Dalla donna avrà un figlio, chiamato Andrej in onore di Stolz, che sarà da quest’ultimo cresciuto e educato con amore paterno dopo la morte del protagonista.È nel letto Oblòmov la mattina in cui facciamo la sua conoscenza. Al calduccio, pensa, rimugina e non si decide ad alzarsi, oppresso dal pensiero di dover affrontare i due grandi problemi che incombono su di lui: la disastrosa situazione della sua tenuta, che da anni richiede un intervento riorganizzativo, e lo sfratto. Tutto ciò che lo spinge all’azione gli dà profondamente fastidio, lo irrita, disturba la sua pace.
Dal letto, Oblòmov si confronta con una galleria affascinante di tipi umani che lo accompagneranno e ci accompagneranno nelle ampie pieghe del romanzo: sono i suoi conoscenti, i suoi amici, protagonisti della Pietroburgo del 1850, ma, per quella stupefacente magia che i grandi classici della letteratura sanno operare, sono anche i nostri conoscenti, i nostri amici, protagonisti della Milano del 2022… (continua)
Pigro e inconcludente fino all’inverosimile, è uno di quei personaggi letterari nei cui sinuosi panni si scivola istintivamente volentieri, una di quelle persone capaci di farci sentire meno inadeguati di fronte agli scivoloni cui i vorticosi ritmi della vita ci costringono, un amico sulla cui morbida spalla abbandonarci ogni qual volta, all’ennesimo rinvio di un impegno, ci sentiamo in colpa e ci barrichiamo, più o meno consapevolmente, dietro alle giustificazioni più puerili e inverosimili del mondo. Ma Oblòmov è molto, molto di più di un semplice uomo indolente e questo meraviglioso e dimenticato capolavoro ci guida alla scoperta di una delle figure più affascinanti e complesse della letteratura russa e non solo.Scritto da Ivan Gončarov come secondo romanzo di una trilogia dedicata all’intricato dialogo fra città e campagna, preceduto da Una storia comune e seguito da Il burrone, Oblòmov fu pubblicato a puntate su una rivista nel 1859 e comparve in Italia soltanto nel 1933.
La trama è semplice: Oblòmov è un giovane proprietario terriero che vive a Pietroburgo, grazie alla rendita di una sua lontana e disastrata tenuta di campagna. Trascorre le sue giornate nella più totale inattività, spesso sdraiato su un divano, passando il tempo a dormire, pensare, fare progetti. Dopo aver rinunciato alla carriera nella complessa burocrazia russa, ritenuta inutile e umiliante per l’uomo, rinuncia anche alla vita di società, che gli appare falsa, gretta, superba e priva di scopi spirituali. Suo inseparabile compagno è il servo Zachar, devoto al padrone nonostante i continui e acerrimi scontri; suo amico del cuore è Andrej Ivanovič Stolz, uomo energico e laborioso di padre tedesco, che per tutta la vita lo sprona a uscire dal suo torpore, lo aiuta, lo spinge all’impegno intellettuale e sociale proprio degli anni giovanili, di cui è capace e che, talvolta, sembra rimpiangere. Andrej presenta l’amico alla sua conoscente Olga Sergeevna, chiedendole di aiutarlo a ridestare Ilja Ilič dal suo sonno. Dopo un importante risveglio mosso dall’amore per Olga, che porta i due fino alle soglie del matrimonio, Oblòmov comincia a temere i cambiamenti, a dubitare e ad angosciarsi di fronte al definitivo e finisce con il rinunciare all’amore della donna, la quale poi sposerà Stolz.Apparentemente un disastro, dunque, l’esistenza di Oblòmov, ma in realtà quest’uomo sensibile, profondissimo lettore dell’animo umano e della realtà, sa costruirsi un suo nido di serenità e di affetti autentici. Senza proclami, senza gesti eclatanti, Oblòmov, pagina dopo pagina, cuce, con una delicata e arrendevole bontà, la calda coperta della serenità da lui sempre agognata, sposando la vedova dai bei gomiti, proprietaria della casa dove egli si reca a vivere provvisoriamente, ma in realtà fino alla morte, dopo lo sfratto annunciatogli nelle prime pagine del libro. Dalla donna avrà un figlio, chiamato Andrej in onore di Stolz, che sarà da quest’ultimo cresciuto e educato con amore paterno dopo la morte del protagonista.È nel letto Oblòmov la mattina in cui facciamo la sua conoscenza. Al calduccio, pensa, rimugina e non si decide ad alzarsi, oppresso dal pensiero di dover affrontare i due grandi problemi che incombono su di lui: la disastrosa situazione della sua tenuta, che da anni richiede un intervento riorganizzativo, e lo sfratto. Tutto ciò che lo spinge all’azione gli dà profondamente fastidio, lo irrita, disturba la sua pace.
Dal letto, Oblòmov si confronta con una galleria affascinante di tipi umani che lo accompagneranno e ci accompagneranno nelle ampie pieghe del romanzo: sono i suoi conoscenti, i suoi amici, protagonisti della Pietroburgo del 1850, ma, per quella stupefacente magia che i grandi classici della letteratura sanno operare, sono anche i nostri conoscenti, i nostri amici, protagonisti della Milano del 2022… (continua)