
NON SI VIVE DEL DESIDERIO DI UN ALTRO — parte 2

NESSUN OGGETTO PUÒ ESAURIRE IL DESIDERIO — parte 1
EDUCARE INSIEME

È la legge di ogni esistenza umana: la storia personale — quell’intreccio imprevedibile di ferite e di doni, di talenti e di difetti, di eventi felici e dolorosi — è la risorsa più importante da cui attingere energie, ispirazioni e sapienza per vivere. Come per ogni uomo, così è anche per la Piccioletta Barca: la nostra sorgente più preziosa e feconda è la storia da cui proveniamo. Tra le caratteristiche particolari di questa storia è che la Piccioletta Barca non è un’opera personale: nasce da un serrato confronto dialogico; i primi fraseggi risalgono a un libro pubblicato con Beatrice (Beatrice Gatteschi, presidente de La Piccioletta Barca — ndr) nel 2015, a un’amicizia coltivata pazientemente; il Leitmotiv è passato ai soci fondatori, poi agli amici che si sono aggiunti. Lo stesso dialogo che ha generato l’Associazione continua a rigenerarla, grazie ai volontari e ai ragazzi stessi che, ciascuno in modo diverso, vi prendono parte. La costruzione di un centro di cultura per ragazzi, insomma, è la messa in opera di uno scambio di idee, di affetti (e talvolta, ovviamente, anche di contrasti) che viene da lontano.
È attingendo a questa storia che si è costruito, quasi da sé, un metodo educativo fortemente dialogico, un contrappunto di più voci. Durante l’Accademia, ad esempio, non c’è mai un’unica intonazione, siamo sempre almeno in due (spesso anche di più): una voce maschile e una femminile che riprendono, approfondiscono, talvolta sdrammatizzano i grandi temi che di volta in volta ci troviamo a pensare. Anche i percorsi individuali si svolgono sempre in un ambiente ampio e popolato, in cui le traiettorie dello studio e quelle dell’amicizia si annodano, si compenetrano e si attraversano. Persino lo studio della musica vira sempre più verso il concerto, la musica insieme, il brano a quattro mani. Ciascuno mette la sua parte e non importa se, di cento, uno mette novantanove e un altro solamente uno: alla concertazione non rinunciamo mai.
I guadagni di questo metodo sono molti, ma vi sono due piccoli miracoli che vorrei raccontare.
Il primo è che, in un tempo in cui tutti segnalano la crisi del principio di autorità, nel segno dell’evanescenza del padre — implicitamente ritenendo che il compito sia maschile — abbiamo scoperto nell’autorevolezza plurale una risorsa educativa formidabile. Oltre gli stereotipi di genere, l’intonazione maschile e quella femminile lavorano bene proprio quando lavorano insieme, non nel dividersi i compiti, ma nel riprendere il tema intonandolo a modo proprio, nel proporre una visione autorevole, ma capace di lasciare spazi tra i margini mai perfettamente coincidenti di voci diverse. In quegli spazi c’è posto perché appaia l’opera della responsabilità individuale e si sfati, così, uno dei grandi miti moderni: quello secondo cui autorità e libertà sono necessariamente nemiche. Non c’è alcun bisogno, in questo duetto, che il maschile e il femminile si spartiscano il campo, interpretando l’uno la severità e l’altro la tenerezza. Non è una recita: è la vita, quella vera, in cui esistono, per fortuna, anche una dolcezza virile e una fermezza materna. L’autorità plurale, sapientemente esercitata, permette di distinguere la serietà dal dispotismo, la tenerezza dalla debolezza, il dispiacere dalla delusione. Detto tra noi, permette anche, a chi educa, di non considerare ogni successo come una realizzazione del sé e di non vivere ogni insuccesso come un affronto personale: un colpo mortale al narcisismo dell’educatore, che rischia di snaturare un luogo così delicato come quello dell’insegnamento.
sono essi che ci raggiungono.
È questa l’ora opportuna al dialogo.
Ci predispone rasserenati al comune meditare.
Ciò non pone in evidenza l’ambizioso contrasto
di opinioni, né tollera l’arrendevole consenso.
Da questa comune esperienza può sorgere forse
una comune attività di pensiero. Ciò al fine
che uno, all’improvviso, divenga insospettato maestro. (M. Heidegger, L’esperienza del pensare, Città Nuova, Roma 2000, 53).