
NESSUN OGGETTO PUÒ ESAURIRE IL DESIDERIO — parte 1

DANTEDÌ CON DANTE A MILANO
C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA — capitolo 2

Inizia la prima media
Il primo giorno di ottobre, come rondini a primavera, arrivano al cancello della scuola tanti undicenni, la metà dei quali sembra proprio costituita da rondini: sono le bambine, che hanno abbandonato definitivamente il grembiule bianco delle elementari e indossano la “tenuta d’ordinanza”, che indosseranno fino alla laurea, classica e immutabile, costituita da un grembiule nero con collettino bianco. I bambini si presentano invece “in borghese”, indossando calzoncini corti, giacchettina e camicia, qualcuno ha anche la cravatta.
Come la volta precedente, veniamo incolonnati lungo i due lati opposti del cortile e – prima i maschi, poi le femmine – vengono pronunciati i nostri cognomi: gli alunni chiamati seguono in silenzio un insegnante che il condurrà in un’aula. Ecco, si è formata una classe. Io faccio parte della I B costituita da trentacinque alunne. L’insegnante che ci ha condotto in classe è una signora grassoccia ma grintosa che immediatamente sottolinea che non siamo più alle elementari, che dobbiamo comportarci da persone responsabili e imparare velocemente le regole della scuola media: stare in silenzio, alzare la mano per poter parlare, ammesso che abbiamo qualcosa di intelligente da dire, e metterci sull’attenti quando ci viene concessa la parola. Tutte zitte, ovviamente.
Successivamente ci spiega che le due scuole medie, Panzini e Cagnola, non occupano spazi diversi, ma utilizzano a turno lo stesso edificio. Questo perché, nell’immediato dopo guerra, le nascite sono state moltissime e gli edifici scolastici della città non sono sufficienti ad accogliere i ragazzi. L’anno scolastico, quindi, sarà diviso in due periodi: da ottobre a gennaio noi della Panzini andremo a scuola al pomeriggio (13.30 – 18.15) mentre da febbraio a giugno andremo a scuola la mattina (8.15 – 13. 00). Gli alunni della scuola Cagnola frequenteranno secondo un orario uguale ma contrario. Tutti gli allievi dovranno essere molto ordinati e precisi, non dovranno lasciare nulla nel sottobanco perché i bidelli avranno solo mezz’ora (dalle 13.00 alle 13.30) per pulire le aule … fortunatamente non era ancora esplosa la pandemia del Covid 19!
L’insegnante non perde tempo e ci assegna un primo compito: imparare a memoria la poesia “Sepolcri di bimbi nel foro”, che si trova a pagina xy della nostra antologia “Nove Muse”, e immediatamente inizia a spiegare il contenuto. Forse è una specie d’iniziazione a quello che ci aspetta: si tratta di bambini morti, sepolti in epoca romana con accanto i loro giochi, e mamme inconsolabili che piangono. Proprio un argomento adatto per ragazzine terrorizzate: che splendido senso di accoglienza per le nuove allieve, che geniale l’insegnante che sottopone alle neo-alunne la prospettiva di morire e di vedere la propria mamma che piange. Disastro! Alle elementari avevo imparato a memoria una sola breve poesia, due strofe del “X agosto” di Pascoli: Ritornava una rondine al tetto…
Ricordo lo sgomento del giorno in cui la professoressa mi chiama accanto alla cattedra e chiede di recitare la poesia assegnata. Voto: 3 ½. Non avevo mai ricevuto un voto così terrificante. Questo è il primo ricordo della mia scuola media, in cui venivano assegnati voti come 2, 3, 0 e anche 00. Nei giorni successivi si presentano i nuovi docenti, tutti piuttosto anziani e gelidi, che ci osservano e rimproverano per ogni piccolo errore, dal far cadere la penna, all’andare due volte al cestino, all’interrompere la lezione alzando la mano per chiedere di andare in bagno. In questo caso la frase consueta era: “Ma non puoi andare al cambio dell’ora?!”.
Iniziano i compiti in classe delle varie materie, ma quelli che contano sono quelli di italiano, latino, matematica e inglese. I voti vengono proclamati ad alta voce dopo il cognome della persona a cui viene consegnata la verifica, che deve essere portata a casa, mostrata ai genitori e riconsegnata firmata il giorno dopo. La professoressa che predomina come quantità di ore e ruolo nei confronti della classe è la professoressa di lettere che, da sola, occupa più della metà dell’orario scolastico.
In breve tempo si delineano nella classe le ragazze “brave”, un bel gruppo di alunne studiose, obbedienti, che non si fanno mai richiamare e sanno rispondere a tutte le domande. Alzano la mano, si mettono “sull’attenti” e rispondono in modo appropriato. Parallelamente, si intuisce dai voti che un altro gruppetto non riceve mai voti sufficienti, fa fatica a rispondere durante le interrogazioni. Queste ragazzine vengono spesso rimproverate dagli insegnanti e viene detto loro: “Ma tu non hai studiato!”, “Ma come si fa a fare un compito così!?” Si configura così il manipolo delle alunne che in seguito saranno denominate “le ritirate”, modo gentile per dire che, durante il primo trimestre, i loro genitori saranno chiamati a colloquio da un insegnante, incaricato di comunicare loro che le figlie non sono in grado di frequentare la scuola media. Verrà consigliato di “ritirare” la figlia e di iscriverla agli altri percorsi. “Le ritirate” della mia classe saranno quattro e noi resteremo in trentuno.
Ricordo le quattro compagne, sempre mortificate per i brutti voti, e ho un’immagine precisa di due di loro. La prima era una bambina piccola, timida, con un cappottino rivoltato, i capelli lisci che incorniciavano un faccino pallido. Abitava in una zona periferica, così fuori mano da non essere raggiunta da nessun tram. Per venire a scuola era necessario che la sua mamma la portasse in bicicletta fino al capolinea del tram numero 8, lo stesso che anch’io usavo. Ornella (nome di fantasia) mi diceva che per arrivare al capolinea era necessario percorrere una strada in mezzo ai campi e la mattina faceva molto freddo e c’era la nebbia. La sua mamma, per proteggerla, le avvolgeva intorno alla testa e alle spalle un ampio scialle nero, che in realtà era di sua nonna. Mentre scrivo, mi viene voglia di piangere pensando al sacrificio di quella povera mamma, che sperava di dare alla figlia la possibilità di studiare, di uscire da una situazione certamente non facile. L’altra bambina si chiamava Silvana (come sopra) ed era più alta e robusta, aveva il volto sempre arrossato e le mani sciupate. Più volte, durante l’intervallo, ci raccontava delle storie familiari che a me sembravano assurde, ma lei insisteva nel dire che erano vere. Non scrivo ciò che narrava e che io ritenevo impossibile, ma già da molti anni, ripensando ai racconti di Silvana, mi sono resa conto che la ragazzina era oggetto di abusi in famiglia, principalmente a opera di uno zio.
Avevo 11 anni, giocavo con la fionda, i “tollini” e leggevo, leggevo appena riuscivo a trovare un libro … come avrei potuto capire quel mondo perverso? Queste esperienze rimangono nella mia mente e costituiscono un primo elemento della mia formazione di futura insegnante nella scuola media. Dietro ogni ragazzo c’è un mistero, in alcuni è un mistero profondamente doloroso su cui non si può mettere un timbro “Ritirato”. In questo articolo non ho parlato molto di me, delle mie monellerie, dei disastri combinati, delle umiliazioni subite e delle mie piccole lotte contro le ingiustizie che talvolta avvenivano in classe.
Se desiderate ridere e piangere un po’, la prossima volta cercherò di raccontare le mie personali avventure e disavventure durante i tre anni di scuola media 1958 – 1961.