
C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA — capitolo 2

NESSUN OGGETTO PUÒ ESAURIRE IL DESIDERIO — parte 2
DANTEDÌ CON DANTE A MILANO

Celebriamo insieme il terzo Dantedì, giornata che tocca il cuore della nostra associazione, che da Dante trae nome e ispirazione. Una radice che ha origine nella storia di Beatrice Gatteschi, presidente della associazione, che oggi, qui, racconta come è iniziato il dialogo con il Sommo Poeta.
Una volta ancora Dante mi chiama a sé e mentre, varcando la Porta del Barcho, entro al Castello Sforzesco per vedere la mostra “L’arte tipografica incontra la Commedia” sono emozionata e felice, proprio come quando si va incontro al dolce amico del cuore.
L’amico del cuore
Ero piccola, come Bice Portinari o forse più piccola, quando il sommo poeta cominciò un lungo, ossequioso corteggiamento, imbrigliandomi nel dolce intreccio delle sue terzine al quale non potei e non volli sottrarmi mai più. Galeotto fu, in questo amore, il signor Walter S. che abitava al quarto piano: un anziano signore, cortese e molto distinto che, ogni volta che mi incontrava – cosa che capitava spessissimo, avendo io trascorso ore infinite della mia infanzia coi pattini e la corda sul marciapiede insieme ai bambini della via –, con deferenza si toglieva il cappello o imitava tale gesto e mi apostrofava così: «Buongiorno dolce Beatrice, come sta il tuo Dante oggi?». Oppure: «non incontri Dante oggi? È a Firenze il tuo Dante? Salutami il tuo Dante quando mai tornerà dall’esilio…». Sorrideva compiaciuto e tirava dritto e io – una volta compreso che non mi stesse chiedendo di un dente, come a tutta prima avevo inteso – abbozzavo timidamente, incapace non solo di rispondere, ma anche di cogliere il senso di tale bizzarro interessamento. Alle bambine educate di un tempo non si addiceva certo chiedere conto a un adulto delle sue parole. Tacevo e intanto, piano piano, questo nome tondo che, come il mio, terminava in e e, già per questo, mi era simpatico, questo fantasma in esilio lontano mi diventava familiare. Finché un giorno più che il timore poté la curiosità e, chiesi, non a lui ma alla mia rassicurante mamma, come mai, secondo lei, il signor Walter mi parlasse così. La mamma mi spiegò brevemente e un mondo meraviglioso si spalancò davanti a me. Che gioia portare il nome di una donna angelicata, oggetto di un amore così nobile, fonte di ispirazione dell’opera più grande della letteratura italiana… come ero orgogliosa, come mi sentivo importante! Chiesi un libro e a mano a mano che il piacere solitario della lettura si affiancò e poi si sostituì ai giochi in compagnia, non potei che amare la Divina Commedia e il suo autore che con tanto garbo e mistero mi aveva chiamata a sé.
Lo studio
La studiai superficialmente alla scuola media; meglio, seppur solo a pezzi, al liceo (i classici: Paolo e Francesca, Pier della Vigna, il conte Ugolino, Ulisse…; poco Purgatorio, poco Paradiso. Sempre gli stessi episodi, anche nel musical che ho recentemente visto non gradendolo affatto); integralmente, profondamente, intensamente all’università; la lessi ai miei figli come storia della sera (i bambini amano la Divina Commedia, ne sono affascinati, incuriositi, incantati come sperimentiamo ancora quotidianamente al Centro) e insieme imparammo lunghi pezzi a memoria. Le dotte e ironiche letture dantesche di Vittorio Sermonti, custodite in un I‑Pod rosso pieno di affetto, accompagnarono ore interminabili di cure ospedaliere. E quando si trattò di trovare un nome all’associazione culturale cui intendevo dedicare tutta la mia passione e la mia cura, a Dante chiesi ispirazione e poco importano le critiche che da allora cadono a pioggia per un nome troppo ricercato, un po’ snob, incomprensibile ai più che pensano contenga pure un refuso…
Da anni leggo un po’ di Commedia ogni sera, quando la giornata è davvero finita: un canto, due terzine o tre, Inferno, Purgatorio, Paradiso a ruota, sempre da capo per scoprirne, sempre da capo, la bellezza, il genio, l’intelligenza, la tenerezza, l’ironia. Prediligo quel secondo regno, grembo accogliente che dà speranza a chi è in ricerca. Amo quel cicognin del XXV canto che leva l’ala per voglia di volare, e non s’attenta d’abbandonar lo nido, e giù la cala, immagine di me, immagine di ogni uomo di fronte alle scelte della vita. E sempre mi commuovono tanto le lacrime di Dante quando, nel trentesimo canto, si gira e Virgilio, dolcissimo patre non c’è.
E Virgilio in silenzio se ne va, come un padre sapiente e discreto che sa capire quando il suo tempo è finito…
La mostra “L’arte tipografica incontra la Commedia”
Sono sola, completamente, nella superba Sala del Tesoro, all’angolo destro del Cortile della Rocchetta dove è allestita con intelligenza, eleganza e garbo la mostra. I cento occhi spietati, li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro del mitico Argo, ritratto nell’affresco di Bramantino, mi scrutano; il maestoso lampadario di ferro battuto mi illumina, il silenzio mi avvolge e comincio il mio viaggio nel tempo, dimentica di tutto.
Sono davanti all’unica collezione al mondo, completa di tutte le quindici edizioni del poema, pubblicate nei primi decenni della stampa tipografica: dalla prima edizione stampata a Foligno l’11 aprile del 1472 all’edizione veneziana dell’11 ottobre del 1497, passando per il rarissimo incunabolo napoletano del 1478.
Che lusso meraviglioso il collezionismo dantesco milanese, che gloriosa la famiglia Trivulzio che ha fatto e ha lasciato alla nostra città tanto bene!
Tutti i manoscritti originali dell’opera di Dante sono andati perduti: si copiò da un preciso manoscritto – non autografo del sommo poeta, comunque – talvolta fedelmente, talvolta correggendo e contaminando.
E così leggo con emozione che nella editio princeps, la seconda terzina del I canto dell’Inferno comincia con et (Et quanto a dir qual era è cosa dura…), sostituito già nella seconda edizione,stampata a Venezia o a Jesi nell’ottobre dello stesso anno, da Ah che noi tutti, pellegrini dei secoli ventesimi, conosciamo oggi come Ahi. Inezie, si dirà: gemme preziose di conoscenza per me che indugio davanti a ogni esemplare come alla più santa delle reliquie; segreti del mio amato che imparo a conoscere sempre più a fondo.
E vedo che manca il capolettera N nella prima edizione che comincia così: El mezzo del camin…
Ed è così perché, all’inizio di ogni canto, il tipografo era solito predisporre uno spazio bianco affinché il possessore di ogni volume potesse farsi miniare la prima lettera secondo il suo gusto personale, il suo prestigio, le sue possibilità economiche. È Johann Neumeister a stampare la prima edizione, uno dei tanti Wanderdrucker, gli stampatori itineranti che percorrevano l’Europa e specialmente il nostro bel paese, carichi delle preziose competenze della nuova arte. Che bello una Europa così, quando la tecnica tedesca camminava verso sud per incontrare il genio poetico italiano. Anni di fervore culturale, in cui le opere fondative del nostro volgare venivano stampate con passione, una dopo l’altra: il Decameron di Boccaccio e il Canzoniere di Petrarca ancor prima della Commedia. Che bella bella l’Europa quando era una dotta koiné, un’Europa dove la tecnica era al servizio della cultura, dove si sudava per sottrarre la cultura all’oblio, dove la cultura era il grande investimento dei grandi.
Abbandono la Sala del Tesoro e cammino avvolta nella gioia ovattata e placida che le mie solitarie mattine culturali sempre mi donano, quando il mio orecchio, intercettando il dialogo russo fra un biondo ragazzo e una ragazza dagli occhi blu, mi risveglia bruscamente alla realtà, ricordandomi che ora l’Europa è insanguinata da una guerra assurda, inutile, menzognera…
- La mostra “1472: l’arte tipografica incontra la Commedia” è aperta al pubblico nella Sala dei tesori del Castello Sforzesco di Milano, fino al 30 aprile 2022 -