
CULTURA È PARTICIPIO FUTURO

DIARIO DI BORDO
AUTUN: IL CAPITELLO DEI MAGI

Nella tradizione europea, segnata per molti secoli dall’immaginario cristiano, ci sono tre personaggi che hanno rappresentato il desiderio, la ricerca, la speranza e, soprattutto, il viaggio della vita, la vita come viaggio: i re magi. La loro storia è nota: dal lontano oriente, forse dalla Persia, uomini sapienti attraversano terre straniere seguendo una speranza, una promessa, una stella. Non può non colpirci il ritorno di questa luce lontana, che, come ormai sappiamo, splende anche all’interno della parola «desiderio».
L’unica fonte che parla di loro è il vangelo di Matteo, ma non ci dice nulla di quanto sappiamo:
La città di Milano, con i Magi, ha un rapporto speciale (molto fantasioso, per la verità): nella Basilica di Sant’Eustorgio c’è ancora il loro sarcofago, mentre i corpi sono stati trafugati dal Barbarossa e portati a Colonia. Notando la mancanza di prove storiche della presenza di queste reliquie così preziose prima del XII secolo, qualcuno ha ipotizzato che l’invenzione delle reliquie dei Magi sia stato un trucco architettato dai Milanesi per proteggere quelle più preziose del vescovo Ambrogio e consegnare agli uomini dell’Imperatore un bottino più ghiotto, ma falso.
È soprattutto nell’ambito dei grandi pellegrinaggi medievali, tuttavia, che i Magi hanno avuto uno spazio rilevantissimo: non stupisce, perché anche loro sono stati dei grandi viaggiatori. A partire dal X secolo, l’Europa fu attraversata da folle di pellegrini che lasciavano i loro Paesi per avventurarsi sulle grandi vie verso i luoghi santi (Roma, Gerusalemme, Santiago di Compostela). Per molti, probabilmente, si trattava del viaggio della vita: raramente, altrimenti, avrebbero lasciato i confini della contea. Si avventuravano su strade spesso incerte, che pian piano venivano ricostruite, talvolta sugli antichi tracciati delle vie romane che nei secoli si erano perduti. Lungo la strada (che per quasi tutti era rivolta a ovest, verso il tramonto, verso la notte, verso il ‘campo della stella’), i pellegrini avevano bisogno di punti di riferimento, di luci che illuminassero il cammino. Anche loro guardavano le stelle. Non solo in cielo: spesso stelle facevano capolino anche sui grandi monumenti che sorgevano per accoglierli, le chiese e gli ‘ospitali’.
In una di queste chiese, ad Autun, in Borgogna, c’è un capitello memorabile, per la sua bellezza e soprattutto per la sua forza iconica. Rappresenta i tre uomini saggi, stesi insieme in un grande lettone, quasi uno sopra l’altro, sotto un’immensa coperta tonda, piena di pieghe. Un angelo li sta svegliando: il primo ha ancora gli occhi chiusi, il secondo si sta destando, il terzo ha già aperto gli occhi. L’angelo indica la stella che brilla, scolpita nella pietra, accanto al viso di uno di loro. È un invito a svegliarsi, a lasciare che il desiderio ci sollevi dai luoghi più caldi, protetti e confortevoli. Ma c’è qualcosa di ancora più sorprendente: il capitello, come spesso accadeva, fa parte di un ciclo dedicato alla loro storia. Solo all’interno di questa sequenza, si scopre che il capitello non rappresenta il viaggio d’andata, ma quello di ritorno. L’invito dell’angelo allora si riempie di significati: il desiderio non si deve spegnere quando la meta è raggiunta, la stella non svanisce. Dopo l’esperienza nuova e sconcertante dell’incontro con il Re atteso, il loro viaggio continua, insieme alla speranza e al desiderio. C’è bisogno di un angelo per dirlo, perché talvolta il cuore si confonde. L’angelo indica la stella, non perché essa debba precederli ancora, ma perché, dopo l’illuminazione del desiderio raggiunto, si possa continuare a “seguire la propria stella”, ma in un modo e con una consapevolezza nuovi.
Il capitello parlava ai pellegrini che, dopo aver visto i luoghi santi, tornavano alle loro case; parla anche a noi, oggi, dicendoci che nessuna gioia, neppure la più grande, è destinata a esaurire il desiderio, bensì deve riaprire a un cammino sempre nuovo.