
C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA — capitolo 4

TELESCOPIO
LA PASSIONE EDUCATIVA

Nonostante la laurea in lettere classiche, che mi predestinava inesorabilmente a cattedra, registro e lavagna, ho lavorato per dieci anni in aziende, di infomation technology oltretutto; poi sono scappata — non era la mia strada, ma ho imparato tanto! — e per quindici anni ho gestito con gioia una libreria universitaria.
È stato curando lo scaffale dei libri per ragazzi e seguendo i miei figli nello studio che ho maturato, piano piano, la passione per l’insegnamento, scoprendo quanta ricchezza, quanta educazione buona, quanti valori si trasmettano a un piccolo, sedendosi semplicemente accanto a lui di fronte a un libro, un quaderno, un astuccio.
Di pomeriggio facevamo i compiti e imparavamo a studiare e a parlare e poi, la sera, leggevamo: non favole brevi della buonanotte, ma romanzi, classici per ragazzi in una di quelle belle collane dei nostri tempi, con le figure a colori e i fogli ancora rilegati col filo. In un punto cruciale della narrazione mi interrompevo, destando sempre il dispetto dei bambini, unito però all’attesa… Negli anni, alla mia voce si è unita la loro, interpretavamo i personaggi oppure, semplicemente, leggeva chi era meno stanco. E i ragazzi imparavano tante cose a scuola e a casa: allo studio e alla lettura si univano uno strumento musicale, visite alla città, gite, viaggi. Crescevano negli anni le loro conoscenze e cresceva parallelamente la loro curiosità, la capacità di interrogare il mondo e di ascoltarlo, di organizzarsi una giornata, di pianificare la loro settimana fra impegni e divertimento, facendoci stare dentro tutto per bene, abilità che – spiegavo loro – distingue, secondo me, un adulto equilibrato e intelligente. E cresceva, nel contempo, la mia meraviglia di fronte alla magia del loro prendere forma, la mia passione, la mia soddisfazione e il mio divertimento; e, poiché “i miei” è una categoria che non mi è mai appartenuta, ho cominciato a seguire nello studio i miei nipoti, i figli di amici e, via via, altri ragazzi con difficoltà di metodo e motivazionali. Nel tempo di una o due lezioni, ogni ragazzo, a modo suo, mi apriva il suo cuore. Non ho mai avuto ricette pedagogiche, né strategie psicologiche da vendere ai genitori che me le domandavano inquieti: semplicemente ascoltavo e, nei miei studi – che ho amato e amo sempre più -, nella mia mente e nel mio cuore cercavo una risposta, ogni volta diversa, ogni volta nuova. E mi accorgevo che, in linea di massima, pur tacendolo, laddove c’era una parte da prendere fra ansie materne, autoritarismo paterno, spirito di rivalsa e sete di affermazione del sé di qualche insegnante, il mio cuore era naturalmente portato a leggere solo il disagio del ragazzo, la sua noia, il suo senso di inadeguatezza, la sua mancanza di autostima: intercettato e cambiato segno a questo sentire, il più era fatto! Capivo piano piano che esiste una “maternità culturale” appassionante e dolcissima, tenace e protettiva, non meno di quella naturale…
Nel greco e nel latino, nella letteratura italiana e nella storia, nella grammatica persino trovavo gli appigli e segnavo la via: perché c’è un universale che attraversa spazi e secoli dentro lì, che aiuta a leggere l’attualità, a riconoscere l’uomo, a non avere paura: l’ho avvertito a diciassette anni, studiando la lirica greca, e ancora oggi non smetto di stupirmene e di commuovermi.
Certo, non ha sempre funzionato e non sempre funziona, ma gli occhi di un ragazzo non tradiscono mai: se sono davvero occhi curiosi, se davvero i ragazzi sono desiderosi di farcela, di dare una risposta a se stessi e agli adulti che li circondano, allora basta tendere loro una mano forte e autentica e le si aggrappano con fiducia e poi riescono! I ragazzi non sbagliano a giudicare gli adulti: avviene molto più spesso il contrario!
E il miracolo è che questo desiderio, la curiosità, la voglia di conoscere e imparare non hanno classe sociale, non si comprano coi soldi e non si elargiscono in pasticche come le vitamine. Bisogna intercettarli negli occhi di un ragazzo. “Perché i bambini, se nessuno li rovina prima del tempo, non hanno classe sociale” – diceva Lorenzo Milani, mio grande maestro e ispiratore. C’è una sola, basilare differenza fra un ragazzo che vive in condizioni agiate e in contesti socio-culturali avanzati e uno che vive con pochi mezzi, ai margini: ed è che il primo è più facilmente intercettabile, il primo trova più facilmente risposte, al primo qualcuno, prima o poi dà retta. Il secondo chiede una, due, tre volte ma se nessuno gli risponde, col tempo smette di chiedere,proprio come il bambino che ha fame: se nessuno gli risponde, dopo un po’ non ha neanche più la forza di piangere per farsi sentire.
La cultura è il cibo più prezioso, il cibo che non scade e non si deteriora; il cibo che sviluppa armoniosamente ogni parte del corpo, del cuore e della mente. Tutti hanno diritto di imparare, come di essere salvati in mare, nutriti, vestiti, curati e alloggiati. La cultura non è un bene secondario: viene dopo certo, fa meno rumore ed è meno immediatamente spendibile, ma è importante tanto quanto un pezzo di pane, una camicia, una vaccinazione. Scriveva ancora Milani nel 1956: “in questo mondo infelice, ricchezza e istruzione viaggiano sempre a braccetto. Chi è più istruito, guadagna più quattrini; chi ha più quattrini fa più studiare i suoi figlioli. E via di seguito, in un circolo chiuso.” Ma i figlioli di chi ha più quattrini non hanno un desiderio più profondo e autentico dei ragazzi meno abbienti, anzi, spesso accade esattamente il contrario. Le cose oggi vanno ancora come settant’anni fa, anche se lo si dice poco, anche se nessuno dice che l’istruzione è la salvezza di un paese, la scuola il bene su cui investire maggiormente. Per tanti anni ho cercato solo di intercettare giovani sguardi che parlassero di un desiderio di conoscere e imparare, per tanti anni ho sognato di creare uno spazio culturale per ragazzi pieni di domande, ansiosi di risposte. Poi ho trovato amici che vivono nel profondo la stessa passione e la stessa convinzione: insieme, abbiamo costruito lentamente La piccioletta barca; insieme la curiamo e la vediamo crescere con stupore grato giorno dopo giorno.