
LA PASSIONE EDUCATIVA

LA FATICA, LA LIBERTÀ, LA VITA
TELESCOPIO

La più che abbondante cena viene servita in agriturismo alle venti in punto, sotto il portico laterale di quella che in tempi molto antichi è stata una chiesa romanica in mattoni. Ci sediamo affamati, sbirciando ancora una volta, mentre aspettiamo le portate, lo splendido paesaggio delle colline marchigiane della Valle dell’Aso, il corpo che riecheggia la benedizione del calore solare assorbito durante la giornata, la mente che in qualche angolo indugia sui racconti di Danilo Kis letti prima del tramonto accanto alla piscina, dalla quale si gode una vista magnifica contornata su un lato da un muro originario in cui è incastonata una fontana e ai bordi della quale si è posata oggi una enorme farfalla gialla e nera. “E’ splendida, vero?” Ho chiesto a uno dei proprietari che si trovava a passare di lì. “Fa disastri alle piante” mi ha risposto lui — senza rancore, con il tono neutro con cui si constata che i felini sono predatori e dunque carnivori.
Qui i proprietari sono molti: compongono una sorta di comune di ispirazione cattolica nata a metà degli anni Ottanta. Stanchi della città e desiderosi di condividere in modo serrato l’esperienza religiosa, hanno lasciato Milano (in alcuni di loro l’accento lombardo è sopravvissuto quasi intatto) e remunerative professioni per venire a restaurare, rendendolo un gioiello, questo minuscolo borgo e imparare a coltivare la terra, allevare le bestie e tingere tessuti con colorazioni naturali. Guardati all’inizio con marcata diffidenza dagli indigeni, che temevano di ritrovarsi a convivere con un covo di epigoni delle Brigate Rosse, si sono nel tempo perfettamente integrati nel territorio.
Come al termine di ogni cena, mi allontano per fumare una sigaretta affacciandomi sul panorama. Questa sera uno dei coloni ha portato con sé un piccolo telescopio e lo ha sistemato sul belvedere. Conversando con altri ospiti, spiega che ha acquistato lo strumento online e a poco prezzo. I primi invitati a utilizzarlo sono dei bambini, credo i nipoti. Intuisco che per quell’uomo si tratta anche di contemplare e mostrare un ordine dell’universo, una bellezza misteriosa quanto intessuta di senso e così osservo la scena con un’invidia dolorosa, acuminata.
Poiché il mio interesse è tanto silenzioso come evidente, mi viene presto offerto il turno di sedermi davanti all’obiettivo. Ascolto e metto in pratica i suggerimenti ma all’inizio non riesco a distinguere nulla, poi ecco comparire sette punti luminosi disposti in orizzontale: le lune di Giove. E’ uno spettacolo affascinante che però la mia mente fatica a percepire reale — come dentro un caleidoscopio, affiorano dispettose, sovrapponendosi allo scenario cosmico, improbabili reminiscenze di ingenui film fantascientifici e di diorami museali. Forse quello che sto contemplando è semplicemente troppo per la mia povera mente.
Mi viene adesso proposta una differente osservazione, una nuova piccola finestra aperta sull’universo. L’estemporaneo e generoso cicerone riposiziona e rimette a fuoco il telescopio, quindi si fa da parte. Non ne comprendo le ragioni ma questa volta per me tutto cambia: distinguo e contemplo gli anelli di Saturno con la sensazione quasi fisica, corporea, di essere una microscopica presenza dentro gli sterminati spazi siderali. Ho l’illusione di potere avvertire una minima eco dei venti gelidi e violentissimi che attraversano quelle colossali e inospitali distanze e mi accorgo di avere la bocca aperta per lo stupore, la pelle d’oca e una vertigine chissà perché felice che mi suggerisce il paragone con il primo ascolto di una sinfonia inaudita, straordinaria.
Mi alzo e lascio il posto ad altri ma resto nei paraggi, cercando di cogliere i riflessi dello stupore in chi dopo di me si siede davanti a quel piccolo quanto magico strumento.