
MAMMA, HO L’ANSIA

DONNE MONUMENTALI
MA, ALLORA, DI SHAKESPEARE COSA DICONO?!

Sono convinto che la gran parte delle recensioni letterarie in cui ci si imbatte in rete e soprattutto quelle che hanno per oggetto testi poetici costituiscano la causa principale delle affezioni gastriche e cutanee che colpiscono i lettori italiani ma di questa, come di altre evidenti verità, i media nulla ci dicono, tacciono colpevolmente e lo stesso fanno le sempre più frequenti pubblicità televisive che promettono rimedi efficaci e rapidi per le più disgustose manifestazioni della fragilità, dell’imperfezione e della caducità del corpo umano, micosi delle unghie dei piedi compresa. Eppure perfino i bambini sanno che la maggior parte delle recensioni dei sedicenti critici contengono tre pericolose tossine.
La prima a essere stata isolata dai ricercatori è quella dell’esibizionismo egocentrico spudorato. Il recensore che la secerne si dimostra largamente disinteressato al libro di cui finge di occuparsi e ancor più alla presentazione di questo a un ipotetico lettore. Utilizza la pagina per comporre un testo (sovente infarcito di frasi a effetto, citazioni dotte e programmatiche oscurità) che renda evidente quanto il suo autore sia colto, talentuoso, estroso, sensibile e profondo.
Altrettanto nociva è la tossina della deriva mistica, che si sviluppa per la quasi totalità dei casi maneggiando la poesia, cui vengono attribuite proprietà salvifiche, taumaturgiche, redentrici, purificatrici, lucifere e così via. Premesso che per il sottoscritto la poesia è una vera e propria necessità di lettore e scrittore e, in quanto vertice del linguaggio, una delle più alte espressioni della vicenda umana, mi chiedo perplesso come e di chi possa salvare la vita – dei poeti no di certo, vista l’ampia casistica contraria – e se chi le assegna straordinari poteri ci creda davvero alle proprie affermazioni, anche quando ha mal di denti, il cuore spezzato o è in attesa dell’esito di una biopsia, se legga i quotidiani e se abbia mai attraversato un reparto oncologico pediatrico o un memoriale della Shoah, non perché dopo Auschwitz non si possa fare poesia, si può e si deve bensì perché le parole sono davvero importanti e quando se ne pronunciano riguardo alle questioni cruciali dell’esistenza, affinché non divengano barzellette o stucchevoli favolette, è necessario poterle ripetere anche dentro luoghi simili. Esiste pure una variante oscura di questa tossina, nella quale si sovrappongono orinatoi e fonti battesimali, secrezioni corporee e testi sacri, creando una truculenta insalata per chi cerca emozioni forti, evidentemente incapace di afferrare il tutto e il niente, il troppo e il troppo poco, lo splendore e l’orrore che già ogni giornata contiene. Ancora una volta del libro, di scelte stilistiche, costellazioni letterarie di riferimento e insomma di tutto ciò che ci premerebbe davvero sapere, non ci viene detto quasi nulla.
La terza tossina, che condivide parecchie molecole con la precedente, è stata identificata da poco ma pare sia in realtà la più antica. E’ stata provvisoriamente denominata iperbole del sodale, perché le recensioni più che elogiative sono rivolte a testi di amici e compagni di scuderia (non si sa bene quanto nella logica del do ut des) e vedono un uso incontrollato di superlativi, attribuzioni di grandezza senza alcuna riserva e alcun dubbio e apparentamento “del compagno che compone” di morettiana memoria con i giganti della letteratura, alla cui stessa altezza il sodale viene rapidamente posto senza esitazioni. Mi raccontava un ricercatore che la perniciosità di questa tossina lo ha sinceramente allarmato e lo ha indotto a porre al sofisticato software con cui stava lavorando una domanda che gli è sorta spontanea e accorata: “Ma allora di Shakespeare cosa dicono?! Quando devono parlare di Shakespeare quali termini possono usare?!” Pare che dopo una lunga elaborazione il programma abbia risposto: ZXCVBNM alla ventisettesima potenza.