
DONNE MONUMENTALI

DEMOCRAZIA E MEMORIA
“LIBERA” DI CREDERE NEL CAMBIAMENTO

Stazione di Sessa Aurunca-Roccamonfina (CE), ore 13.37: scendo dal treno con la preoccupazione di non trovare nessuno che venga a prendermi e rimanere sola, seduta sulla panchina della stazione di un paese che, fino a qualche settimana prima, non avevo mai sentito nominare. Invece, pochi istanti dopo, vedo un ragazzo con un grande zaino sulle spalle e capisco subito che la nostra destinazione è la stessa: il bene confiscato alla camorra e ora gestito dalla cooperativa “Al di là dei Sogni” a Maiano di Sessa Aurunca. Aspettiamo insieme, finché non vediamo venirci incontro un’auto bianca guidata da un uomo basso, con i capelli scuri e uno sguardo intenso che a me ricorda immediatamente quello di Al Pacino nei suoi primi film; mette in moto e dopo pochi minuti siamo davanti al Bene: il lotto, sede dei campi di “E!State Liberi!”, occupa solo 7 dei 17 ettari di terreno che nel 1994 vennero confiscati al clan Moccia e ospita gli edifici in cui si svolgono le principali attività della cooperativa sociale, una fattoria, un laboratorio per la preparazione e il confezionamento di marmellate e prodotti sott’olio, una cucina, un dormitorio per i campisti e un grande gazebo in legno.
Sono tra i primi arrivati, così ho tempo di sdraiarmi sul letto e ripensare al motivo per il quale ho deciso di partecipare a questo campo estivo: avevo sentito parlare per la prima volta delle iniziative estive di Libera durante un incontro nel mio liceo di Milano, da qualche anno sede di un presidio dell’associazione; ho sempre pensato che l’interesse verso i problemi della realtà che ci circonda prima o poi debba sfociare nella determinazione a fare qualcosa di concreto per risolverli; per questo, il giorno dell’incontro, appena arrivata a casa, avevo acceso il computer per iscrivermi a uno dei campi di “E!State Liberi!”. Ho scelto il campo di Sessa Aurunca perché il programma prevedeva attività manuali, il lavoro nei campi e in cucina e la manutenzione degli edifici e “fare fatica” mi sembrava il modo più autentico per rendermi utile.
Entro sera arrivano tutti gli altri ragazzi: oltre a un gruppo di Scout di Bari ce ne sono molti partiti da soli, come me. Ci chiamano “i singoli”, veniamo da tutte le regioni d’Italia: in un attimo, studenti di Bologna, Roma, Prato, Ravenna, Varese, Trento, Livorno, Como e Milano iniziano a scambiarsi idee, impressioni, emozioni. Ci riuniamo sotto il gazebo e scopro che l’uomo che mi ha raccolto alla stazione si chiama Simmaco ed è il presidente della cooperativa: ci racconta la storia del territorio ed è subito evidente che coraggio e determinazione sono qualità indispensabili per chi voglia tracciare una strada su un terreno dominato da accordi invisibili e silenziose intese.
Le giornate trascorrono veloci. Le mattine ci riuniamo alle otto e, guidati dai volontari della cooperativa, che da anni affiancano Simmaco, in gruppi svolgiamo una diversa attività: un giorno dipingo il vecchio magazzino, un giorno affianco i cuochi, un giorno raccolgo pomodori provando sul mio corpo una fatica nota solo attraverso immagini televisive. Così conosco Francesco, Ciro, Gaetano, Eraldo, Vincenzo e il cuoco Niso. Dopo pranzo, ci viene lasciato del tempo libero, poi arriva il momento della formazione: ogni sera, due testimoni esterni ci raccontano il loro impegno contro la mafia, il lavoro per l’umanizzazione della detenzione, l’esperienza con tossicodipendenti o malati psichici: è durante una di quelle sere che scopriamo che Niso, oltre a essere il cuoco della cooperativa, è un antropologo appassionato delle vicende dei popoli. Un’altra sera ci viene raccontata la storia di Erasmo, il primo ospite della cooperativa sociale: rinchiuso in un ospedale psichiatrico, grazie a Simmaco è stato integrato all’interno della cooperativa, lontano da quel contesto che ormai lo aveva etichettato come “caso disperato, pericoloso per se stesso e per gli altri”; a poco a poco i farmaci non sono stati più necessari e ora Erasmo, sordomuto e sempre sorridente, partecipa alacremente alle attività come tutti i volontari. Come lui, molti ospiti che vediamo passeggiare per il Bene hanno trovato nella cooperativa una famiglia accogliente e priva di quei taglienti pregiudizi che inquinano la società.
L’ultima sera, ci riuniamo chiassosamente sotto l’ormai amatissimo gazebo di legno. Mai avrei immaginato che di lì a poco mi sarebbe stata impartita una delle più importanti lezioni di vita di sempre.
Siamo seduti in cerchio; aspettiamo che, come sempre, arrivino i relatori esterni. Francesco e Gaetano, i volontari, sono seduti insieme a noi e quasi non faccio caso a loro, tanto sono abituata alla loro allegra presenza. Ma ecco che Gaetano e Francesco si alzano in piedi, raggiungono il centro del cerchio. Gaetano stringe nervosamente un fazzoletto tra le mani; non capisco, dovrà forse aggiungere qualche dettaglio all’organizzazione logistica della serata? No, con la voce un po’ rotta, comincia a parlare di sé, alternandosi con Francesco: il primo ex detenuto, ex tossicodipendente il secondo, da una vita immersa nella illegalità e nella emarginazione, sono oggi tra i più tenaci e attivi volontari del centro.
Un pugno nello stomaco.
Quella sera non riesco a trattenere le lacrime e a cena il silenzio generale comunica più di mille parole.
Perché noi uomini non siamo capaci di concepire che una realtà possa evolvere; perché anche chi pensa di essere libero da pregiudizi non lo è veramente; perché abbiamo paura degli altri e siamo naturalmente portati a diffidare delle persone che hanno commesso errori; perché al telegiornale sentiamo parlare della “Terra dei fuochi” e ci teniamo alla larga dal casertano, perché lì le persone sono cattive e pericolose e tutte colluse.
Sul treno per Milano, ripenso a una delle prime sere: su un tandem mezzo arrugginito, con Francesco ho pedalato all’unisono in un giro pieno di risate e di amicizia. La simpatia e l’affetto che mi ha suscitato da subito hanno fatto sì che mi fidassi ciecamente di lui, trovando una bella sintonia, e divertendomi moltissimo.
“Al di là dei sogni c’è una realtà sognata” è il motto della cooperativa: perché per cambiare una realtà, non basta credere in qualcosa ed essere determinati a fare fatica, come pensavo io; bisogna avere la forza di sognare un cambiamento che sembra impossibile, bisogna diventare “liberi di credere nel cambiamento”.