
C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA — capitolo 5

COS’È LA CULTURA?
NON BASTA MAI!

Il nome turco della Basilica Cisterna di Istanbul è Yerebatan Sarayi, che significa ‘palazzo sommerso’, ma il suo prodigioso fascino, a mio avviso, è piuttosto quello di una foresta magica. Della Basilica Cisterna serbavo, a quasi trent’anni di distanza dalla prima visita, un ricordo bellissimo, delicato, mistico direi: una passeggiata sotterranea, lenta e dolce in un fitto bosco incantato di colonne di marmo belle come betulle, una diversa dall’altra, ognuna con la sua storia da raccontare. E sono tante le storie da ascoltare, perché trecento trentasei sono le colonne, alte nove metri, disposte in dodici file, dodici filari ordinatissimi, di ventotto colonne ciascuno, a una distanza di poco meno di cinque metri l’una dall’altra. E sono tante le storie, perché le colonne sono di spoglio, provengono cioè da altri monumenti classici, in virtù di quel riciclo non sempre ortodosso, che ha caratterizzato tanti secoli di architettura. Bisogna camminare piano piano, a naso in su per ammirare le piccole volte di mattoni a spina di pesce e i ricami preziosi dei capitelli, e poi a naso in giù per osservare le poderose basi delle colonne e il lago trasparente e fatato in cui nuotano le carpe, e poi, su e giù, abbracciare con lo sguardo ogni fusto e i poderosi muri perimetrali murati con malta impermeabile…
Le colonne più famose sono certo quelle che poggiano su due colossali teste di Medusa, entrambe capovolte, forse a evitare generosamente all’ignaro turista di venire pietrificato incrociando il loro sguardo; ma bellissima è pure la colonna del pianto, sulla quale grandi lacrime scolpite disegnano una struggente disperazione; e, deliziosa, la colonna del teatro il cui capitello, invece, ride con una piccola maschera comica.
La costruzione originaria risalente al grande Costantino, divenne, con Giustiniano, la riserva d’acqua del palazzo imperiale e dei lussuosi edifici del centro di Costantinopoli, alimentata dal grandioso acquedotto di Valente che, a sua volta, si riempiva delle acque delle colline nelle immediate vicinanze della capitale. Un po’ utilizzata, un po’ no, dopo quel fatidico maggio del 1453, quando Costantinopoli cadde nelle mani di Maometto II, la cisterna servì a lungo per irrigare i grandiosi giardini del Topkapı, sontuosa residenza dei sultani. Nel XVI secolo fu riscoperta e divenne meta turistica dei viaggiatori che ne leggevano strabilianti resoconti di viaggio. Fu curata e restaurata più volte, consolidata, pulita, bonificata, aperta definitivamente al grande pubblico nel 1987, richiusa nel 2018, riaperta proprio quest’anno. Fino a qui la descrizione e la storia, non poca cosa…
Ma più imponente e misteriosa ancora è la seduzione che avvolge chi penetra in questo ventre gigantesco: una lenta passeggiata mistica, a pelo dell’acqua, dicevo, che coinvolge tutti i sensi: la vista, certamente, che, abituandosi lentamente a una luce calda e morbida, con i movimenti alterni di una cinepresa, si apre su un insieme di sorprendente fascino, per poi chiudersi sul delicato particolare di una base o di un capitello, per poi perdersi di nuovo nell’infinito; l’udito, perché nell’acqua depositata sul fondo nuotano pesci di cui si sente un guizzo improvviso, alternato al chiocchiolio di piccole gocce che sgorgano e scorrono dalla volta alla base; l’odorato certamente, per quello straordinario profumo che emana dalle strutture ipogee, le cripte notoriamente, e che io amo molto: un misto di umido, di arcano, di sacro, non saprei dire, che riempie in modo inebriante i polmoni. E infine il tatto, perché si possono poggiare i palmi delle mani sulla fredda pietra delle colonne, seguirne le scanalature, sfiorare i ricami di pietra, traendo un benefico refrigerio, che perdura una volta riemersi nella calura estiva della città.
Un tesoro immenso, se fossi riuscita a darne anche la minima idea…! Un’opera commovente, dove la storia si combina con l’arte, il mito, l’ingegneria, la natura: una meraviglia in cui perdersi e sognare e godere della grandezza del genere umano e sentirsi orgogliosi di farne parte.
Tanto, tantissimo, o no? No, perché non basta mai…
E così, con l’ultimo prestigioso restauro, la Basilica Cisterna è stata “arricchita” e “impreziosita” da stupefacenti giochi di luce, grazie a un rivoluzionario progetto di illuminazione all’avanguardia assoluta. Wow! Durante il percorso, a intervalli inattesi, la luce si trasforma, dipingendo l’ambiente delle atmosfere caratteristiche della Turchia, trascolorando dall’acquamarina all’ambra, e le colonne si vestono di azzurro e poi di rosa e poi di arancione e di rosso. Ma non basta, ed ecco la musica, banalmente orientaleggiante, l’immancabile musica che deve sempre e ovunque inghiottire il silenzio, l’antico retrogrado silenzio. Ma non basta, non basta ancora: improvvisamente cala il buio assoluto, accolto da un urletto corale e stupito, tutti fermi: uno dei poderosi muri antichi si trasforma in maxi schermo ed ecco un video, l’immancabile video che deve sempre e ovunque colmare gli occhi di immagini. Queste, da lontano, sembrano banalmente new age: il volo di un uccello, lo scorrere di un torrente, l’infrangersi delle onde sulla spiaggia. E anche a non volersi unire agli spettatori inebetiti, il singolo non può più proseguire il cammino perché rischia di inciampare, non può più ammirare una scultura perché non vede nulla, non può più sognare e riflettere perché c’è chiasso, non può isolarsi perché deve stare al ritmo imposto dall’avanguardistico sistema di illuminazione. Non gli resta che attendere che la meraviglia tecnologica faccia il suo corso e la meraviglia, quella vera, torni a regnare.
Non basta mai: deve sempre succedere qualcosa, deve sempre intervenire la sorpresa, che modifichi e amplifichi la realtà, lo scoop che geli la schiena con quel brivido tanto folgorante quanto effimero.
Ora, non che mi importi dei visitatori della Basilica Cisterna di Istanbul, evidentemente; e, tutto sommato, poco mi importa anche degli adulti che hanno già percorso un buon tratto di strada; ma quanto mi importa dei nostri ragazzi che la tecnologia sta abituando alla subitanea irruzione dell’artificio, che aumenti la loro realtà, potenzi la loro esperienza sensoriale, crei prodigiosi effetti speciali nel loro quotidiano. Meno di così, la noia.
Ma, ragazzo mio, la vita non è così! Nella vita, grazie al cielo, non interviene di continuo lo straordinario e lo psichedelico, non succede quasi mai, a dire il vero: e questo, non perché la vita sia povera e noiosa, ma perché, al contrario, la vita è già bella così com’è, è già straordinariamente ricca in sé — come magnifica in sé è la Basilica Cisterna -, è già preziosa e sovrabbondante di doni enormi, grandi, piccoli, minuscoli da scoprire e curare. Nel mondo e nella vita quotidiana c’è già tutto, e, prodigio ancora più stupefacente, c’è già tutto in te: quando solo imparerai ad ascoltarti e ad ascoltare, a osservarti e a osservare, saprai fondere il dono che sei tu con i doni sempre nuovi che la vita ti offre ogni giorno e, commosso, scoprirai che la tavolozza della tua vita, l’orchestra della tua giornata non hanno bisogno di un colore artificiale né di un accordo virtuale; non hanno bisogno né di un colore, né di un accordo in più…