
LA MUSICA AL CENTRO

LEGGERE A UN CANE PER LEGGERE MEGLIO
EDIPO RE — parte 1

C’è una favola antica che, con grande sapienza e con suprema poesia, racconta il futuro. E, riguardo al futuro, si chiede se sia un bene oppure un male per l’uomo conoscerlo in anticipo.
Prima di presentare ai ragazzi il grande e travagliato Edipo, poniamo loro proprio questa domanda, innescando un affascinante dialogo: se tu conoscessi il tuo futuro staresti meglio?
L., di anni undici, risponde che nella vita di ognuno c’è un equilibrio che la conoscenza del futuro distruggerebbe. Esplicita questo pensiero un’amica di seconda media, sostenendo che, una volta noto il proprio futuro, se fosse brutto si farebbe di tutto per cambiarlo e se invece ci fosse gradito, non ci si sforzerebbe in nulla.
«Sarebbe angosciante sapere sempre cosa sia necessario fare», commenta un accademico di terza media, seguito dallo sportivo della compagnia che chiosa dicendo: «non ha senso e non è per niente divertente guardare una partita o una gara automobilistica, conoscendone il risultato; conoscere il futuro distruggerebbe le emozioni!»
Emozioni che il grande Edipo, invece, non smette di donare ai suoi lettori e ai suoi studiosi da duemila cinquecento anni. Esempio sommo dell’arte tragica greca, come viene concordemente considerata dalla tradizione antica e dalla critica moderna, l’intricata vicenda del povero Edipo interpella l’uomo pensante riguardo a molti aspetti dell’esistenza: il sapere, i legami familiari, la responsabilità, la colpa, la tensione fra cecità e pretesa di vederci chiaro – la stessa che tesse l’episodio del cieco nato nel vangelo di Giovanni –, l’identità. Scrittori, poeti, filosofi, psicanalisti, drammaturghi e attori hanno abbracciato e continuano ad abbracciare Edipo e a portarlo sulla scena del mondo perché il mondo con lui si confronti e grazie a lui si interroghi.
La storia di quest’uomo, complicata da dipanare, era parte del dna greco e non richiedeva di essere raccontata a chi andava a teatro. Ai nostri accademici invece la presentiamo nel modo più snello possibile, impresa non banale. C’è un antefatto rispetto alla tragedia sofoclea:
Edipo è figlio di Laio, re di Tebe, e della sua sposa Giocasta. L’oracolo di Delfi rivela a Laio che il figlio avuto da Giocasta, da grande, lo ucciderà. Laio dunque consegna Edipo a un pastore perché lo uccida, cosa che il pastore non ha cuore di fare, tanto che consegna il piccolo a un altro pastore che lo porta a Corinto, dove Edipo viene cresciuto come un figlio dal re Polibo. Divenuto adolescente, Edipo viene insultato con l’epiteto di bastardo. Offeso, interroga l’oracolo di Delfi che, invece di rispondere riguardo al suo passato, gli predice che ucciderà suo padre e sposerà la madre. Per non dare seguito alla profezia, Edipo abbandona Corinto e si dirige a Tebe. Lungo la strada, incontra un carro guidato da un uomo che gli ordina di lasciargli il passo: ne nasce un litigio, al termine del quale Edipo uccide il vecchio, senza sapere che in realtà si tratta del padre Laio. Si è realizzata la prima parte della profezia. Nei pressi di Tebe, Edipo incontra la Sfinge, mostro che affligge la città uccidendo tutti quelli che non sanno rispondere ai suoi enigmi. Edipo subito risolve l’enigma, il sortilegio è spezzato, la Sfinge si getta dalla rupe e i Tebani accolgono Edipo come il liberatore e, poiché il loro re Laio è stato ucciso, il reggente Creonte gli offre il trono della città e la mano di Giocasta, vedova del re ucciso (e madre di Edipo). Si è realizzata la seconda parte della profezia.
Al principio della tragedia Edipo regna felicemente a Tebe, quando improvvisamene scoppia una terribile pestilenza. Edipo ancora una volta ricorre all’oracolo, che svela che il contagio terminerà quando sarà cacciato dalla città l’uccisore di Laio;subito dopo, interroga l’indovino Tiresia per identificare il colpevole. Tiresia, dapprima reticente, svela a Edipo che il colpevole è proprio lui: tanti anni prima, aveva ucciso sulla strada un vecchio ma quel vecchio era il re Laio, suo padre; poi ne aveva sposato la vedova, ma quella vedova era sua madre. Inizialmente Edipo rifiuta le parole dell’indovino Tiresia, immaginando un complotto ai propri danni per privarlo del potere. Cresce piano piano la consapevolezza, le tessere della vicenda si combinano fra loro, finché l’interrogatorio dell’unico servo sopravvissuto alla strage in cui aveva perso la vita Laio, incrociato con quello del pastore incaricato di ucciderlo quand’era ancora neonato, convincono Edipo dell’orrenda realtà. Giocasta, la moglie-madre, intuisce tutto un attimo prima del marito-figlio, e s’impicca. Edipo si acceca con la fibbia del vestito di lei e si avvia in volontario esilio.
È evidente come tutta la vicenda si dipani sull’illusione generata dalla pretesa umana di decifrare gli oracoli circa l’avvenire: ma negli oracoli, si sa, la parola divina nasconde l’ambiguità del reale, fingendo di svelarla. Il vecchio re di Tebe, Laio, innesca la spirale dell’azione: è lui che, conoscendo il proprio futuro – un brutto futuro – si muove goffamente per modificarlo. Lo segue il giovane Edipo che, offeso dall’ingiuria di un coetaneo, chiede conto all’oracolo del proprio passato: chi sono io davvero? E l’oracolo, invece di parlare di passato, parla di futuro: perché passato e futuro sono legati, non indissolubilmente (se no, nemmeno La Piccioletta barca avrebbe ragione di esistere), ma certamente in modo importante. L’oracolo predice sventura e morte; se Laio, che nel vaticinio di sua competenza, risultava essere la vittima, si sbarazza in fretta e furia del suo potenziale assassino, Edipo, che nelle parole dell’oracolo risulta invece il carnefice, sbarazza di sé la sua potenziale vittima, il padre putativo. A un futuro sgradito i due fanno fronte con un’operazione di sottrazione alla realtà, non con un lavoro di comprensione profonda. Di fronte all’indovinello della sfinge – il primo grande indovinello della cultura occidentale – Edipo non esita: l’animale che all’inizio della vita si muove con quattro gambe, poi con due e, alla fine della vita, con tre è certamente l’uomo. Bravo Edipo, che però risolve l’enigma dell’Uomo come essere fisico, biologico, ma non capisce che, per la seconda volta, la sibillina sfida del sovrannaturale – poco importa se oracolo o mostro – riguarda la sua stessa identità: chi è l’uomo, cioè chi sei tu, che senso ha la tua vita, dove stai andando e perché? A questa domanda, la più difficile che l’esistenza ci ponga, non una ma infinite volte, non è dato all’uomo rispondere facilmente, e certamente non gli è dato rispondere investigando furtivamente le carte del futuro. Di fronte a ogni difficoltà, sia da giovane spensierato sia da adulto carico di responsabilità, Edipo interroga oracoli e indovini, reagisce a una parola esterna e agisce di conseguenza, sulla scia della paura di quel che potrà essere e accadere. Soltanto di fronte all’evidenza terribile di quello che è, di fronte alla sua colpevolezza, smette di indagare il futuro, si acceca, si allontana e in terra d’esilio troverà la redenzione.
Dalla cecità dell’anima, dal buio della mente non lo libera dunque la conoscenza del futuro, bensì la cecità fisica e il buio reale: non vedere fuori da sé lo aiuta a vedere dentro di sé. Edipo finalmente riflette, si raccoglie e trova la sua verità e il suo spazio nel mondo.
Perché il futuro, lo abbiamo detto, ha a che fare con quello che siamo ora e non con quello che saremo domani.