
PROMETEO (parte 1)

PANEM ET CIRCENSES
C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA (parte 6)

Dopo il mio primo – e unico – calcio nel sedere a un alunno, il giorno successivo devo affrontare la classe II C. Sono un po’ pentita dell’avventura del giorno precedente: quando mai una giovane insegnante inaugura la propria carriera con un calcio?
Questa volta il Preside non mi accompagna, devo entrare in classe e auto presentarmi: “Buongiorno ragazzi, sono la vostra nuova insegnante di lettere”. Boato e risate … incominciamo bene. Però nessuno mi insulta e i ragazzi rimangono seduti al loro posto. Forse c’è qualcosa di diverso. Guardandoli, mi rendo conto che sembrano molto più piccoli dei ragazzi della III C, hanno ancora i tratti del volto un po’ più infantili e solo tre ragazzi si alzano con aria di sfida per dare il via a un po’ di confusione: in seguito scoprirò che sono i tre “ripetenti”: Carlo, Franco e Giacomo.
Rassicurata, scelgo una strategia molto soft: mi siedo dietro la cattedra, tolgo dalla valigetta il Corriere della Sera, lo apro e incomincio a sfogliarlo, guardando i titoli. Lentamente il boato e le risate si trasformano in un brusio… continuo a sfogliare il giornale fino a quando mi rendo conto che i ragazzi sono un po’ “spiazzati”. Cosa sta facendo la nuova insegnante? Non si arrabbia, non sgrida, non guarda in faccia nessuno. Abbasso finalmente il giornale, guardo i ragazzi e dico loro con aria annoiata: “Beh, ragazzi, io sono venuta qui per insegnare, questo è il mio lavoro. Se voi non avete voglia di imparare qualcosa, pazienza! Resterete ignoranti, sarete rimandati nelle mie materie e io continuerò a leggere il giornale, tanto ricevo ugualmente uno stipendio”.
Nel silenzio guardo i ragazzi e mi rendo conto che sono stupiti e anche un po’ mortificati. Incomincio così a parlare con loro e l’atmosfera si sgela: mentre li guardo, mi rendo conto che sono poco più che bambini e mi sorridono disarmati. Non era stato necessario ingaggiare alcuna battaglia, racconto chi sono io, dove abito, qualche avventura scolastica e dico che mi piace incontrare le persone, che loro sono persone preziose ai miei occhi e che la loro vita mi interessa molto. Quella II C anni ’70 è stata per me un’occasione di grande amicizia, la prima di una serie di incontri che hanno accompagnato la mia vita di insegnante.
Avevo anche un prezioso “asso nella manica”: l’uomo che l’anno successivo sarebbe diventato mio marito. Già negli anni precedenti, avevamo lavorato insieme, seguendo e portando in vacanza i ragazzini più difficili del nostro quartiere, soprattutto i bambini provenienti dal Sud, arrivati con gli occhi spaventati e smarriti. Grazie a quella esperienza, mi era chiaro che la cosa migliore da fare fosse stabilire un rapporto di familiarità con i ragazzi. A pochi giorni dall’inizio della scuola, chiesi ai tre ragazzi “ripetenti” se fossero disposti ad aiutarmi nella preparazione di una gita. Il sabato pomeriggio successivo partimmo per Laveno e Stresa: il mio futuro marito al volante, io accanto a lui e dietro i tre più monelli della classe: con una gita fuori porta, conquistai per sempre il cuore dei tre giovani che divennero miei fedeli alleati. L’anno scolastico volò via: ricordo un bel legame con le famiglie, che mi invitavano spesso a pranzo e anche a cena nelle loro modeste case. Nel frattempo, fra tutti gli insegnanti attempati della scuola, incontrai e divenni amica di un paio di colleghe poco più grandi di me e, soprattutto, di un giovanissimo sacerdote, don Giacomo, con cui l’estate successiva, in compagnia della mia II C, trascorsi una vacanza in campeggio a Planpincieux, ai piedi del Monte Bianco. Un anno scolastico speciale e vorrei poter dire che l’anno successivo fu ancora più bello, ma non fu così in realtà, perché talvolta la scuola commette grandi ingiustizie: piansi e lottai tanto allora e altre volte l’ho fatto per combattere scelte che danneggiavano i ragazzi: ma del motivo del mio dolore e del seguito della vicenda narrerò nel prossimo capitolo…