
IMPARARE POESIE A MEMORIA

ENERGIA: MATERIA PRIMA E MODO DI PENSARE
PROMETEO — parte 2

L’incontro tra Prometeo, nelle diverse versioni del mito, e i ragazzi dell’Accademia approda — come è giusto che sia — alle grandi domande universali: di volta in volta, le opere ci spiegano quanto sia complessa la realtà, ma ci mostrano anche che gli uomini stanno, a distanza di secoli, di fronte alle medesime questioni. Può forse stupirci che l’ambiguità del progresso riguardasse già i Greci, che non dovevano certo affrontare il cambiamento climatico o il sovraffollamento del pianeta, ma questo stupore ci aiuta a riflettere sul fatto che le grandi imprese dell’uomo, gli arditi balzi in avanti, hanno sempre proiettato ombre di squilibrio: la scoperta del fuoco nel Paleolitico inferiore deve avere destabilizzato le prime comunità umane non meno dell’introduzione del nucleare nel secolo scorso. E questo un po’ ci acquieta.
Ci traghetta dal mito al presente la ripresa filosofica che Platone, all’interno del Protagora, fa della storia di Prometeo. Dopo aver ripercorso la favola, il filosofo intuisce che alla hybris del titano si può rispondere con due virtù: la giustizia e il rispetto. Sono queste le virtù che Zeus, pentitosi del severo castigo, comanda a Hermes di diffondere fra gli uomini. Il pensiero si fa qui molto fine: Platone immagina che il messaggero degli dei chieda se distribuire tali virtù come aveva fatto per tutte le precedenti arti, cioè solo ad alcuni uomini. Un solo uomo, ad esempio, può curarne molti essendo l’unico depositario dell’arte medica; un marinaio sa navigare a vantaggio di molti, un artigiano, custode dell’arte di forgiare il ferro, serve l’intera comunità. Il re degli dei risponde: «a tutti! E tutti ne siano partecipi, infatti non esisterebbero città se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti». La filosofia compie il mito, riportandoci alla responsabilità di tutti nei confronti del destino: insieme, i cittadini possono superare l’ambiguità del progresso e costruire un mondo giusto nel rispetto reciproco.
Molti secoli dopo Platone, un grande autore italiano come Giovanni Verga, nell’introduzione al suo capolavoro, I Malavoglia, parla del progresso come di un «cammino fatale, grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme da lontano». Tuttavia, visto da vicino, esso svela «deboli che restano per via, vinti che levano le braccia disperate, fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda»; non solo: il vincitore di oggi probabilmente sarà il vinto di domani. Proprio per questo, tanto più il progresso avanza, tanto più pressante si fa l’appello alla giustizia: è il compito di chi, come noi, si trova di fronte ai cambiamenti climatici che mettono a repentaglio così tanti, tra i più deboli del pianeta.
Dopo esserci chiesti insieme se il progresso tecnico risolva i mali dell’uomo o, al contrario, ne sia causa, ci accorgiamo che la risposta non può essere teorica, ma deve necessariamente essere pratica: il futuro è responsabilità nostra, di ognuno di noi, non della tecnica.
Il messaggio del mito, tuttavia, non finisce qui: nel vaso di Pandora, dopo che tutti i mali ne sono usciti, è rimasta la speranza. Essa è uno sguardo sul futuro molto diverso dal calcolo dei costi e dei benefici ed è ben diverso dall’illusione che tutti i mali scompaiano. Già Filone d’Alessandria, nel I secolo, definisce la speranza come una «gioia prima della gioia» e la paura come un «dolore prima del dolore». Speranza e paura sono, dunque, due termini opposti e tuttavia «lo sperare è superiore all’aver paura, non è né passivo come questo sentimento, né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla», scrive il filosofo Ernst Bloch che alla speranza ha dedicato uno dei suoi testi più ambiziosi. La speranza mette in moto, attiva la libertà, «allarga gli uomini invece di restringerli».
Proprio la speranza, che rinasce anche di fronte alle vittime del progresso, è ciò che caratterizza l’agire di Epimeteo. Egli non vede prima, come il fratello maggiore, ma vede bene dopo, si accorge, cioè, di ciò che il progresso ha violato e se ne prende pazientemente cura. Egli crede più nella speranza che nelle aspettative, ama la gente più dei prodotti. Epimeteo non è nemico del fratello, né con lui contende. Piuttosto è capace di collaborare ad «accendere il fuoco e a forgiare il ferro, ma lo fa per accrescere la propria capacità di assistere e aiutare gli altri». A chi agisce in questo modo, Ivan Illich, nell’opera tanto amica del nostro centro di cultura Descolarizzare la società, attribuisce il nome di uomo epimeteico: di uomini così abbiamo bisogno perché il progresso cammini nel rispetto e nella giustizia.