
ESPLICITA E IMPLICITA

C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA MEDIA (parte 7)
VIVERE IN MODO DA POTER ESSERE FELICI

La Città di Dio non è un testo importante solo per chi è religioso: ogni religione, espressione delle speranze più profonde di chi crede, lascia segni profondi nella cultura, nel modo con cui gli uomini di un’epoca guardano la realtà. Così è stato quando abbiamo incontrato Prometeo ed Epimeteo: sebbene nessuno di noi, verosimilmente, rivolga le sue preghiere a Zeus, abbiamo guardato al progresso con occhi greci. Il cristianesimo di Agostino ci ha lasciato un’eredità importante: per esempio ha dato accesso a una dimensione di interiorità (in interiore homine habitat veritas) prima sconosciuta; riguardo al futuro, ha indicato per la prima volta ciò che è ultimo (l’eschaton). Ultima è quella realtà che non può essere una tappa del progresso, perché è il punto di arrivo della storia, ma anche, in fondo, il suo motore principale. La religione cristiana ha insegnato agli uomini ad attendere un compimento di gioia, un Paradiso in cui possano finalmente essere allo stesso tempo liberi e felici, insieme e con Dio.
Ma Agostino, rilanciandola, ha anche intuito quanto possa essere pericolosa una simile speranza, se viene predicata come una possibilità della storia. Per questo infinte volte egli ripete che la Città di Dio è pellegrina, su questa terra: non può essere qui realizzata, né costruita, né guadagnata in alcun modo. La sua realizzazione, invece, è la promessa di tante ideologie; affiora, per esempio, nei totalitarismi del Novecento: la tecnica politica e un tempo di terrore per dar vita, in fine, alla ‘razza pura’ del nazismo o alla società ugualitaria del comunismo. Gli orrori più inimmaginabili e le ingiustizie più odiose vengono compiute in nome dell’infinita promessa di bene, di fronte alla cui realizzazione un po’ di violenza, in fondo, è un prezzo accettabile. Scrive Hannah Arendt, nel suo testo sul totalitarismo (1951), che «i crimini contro i diritti umani, che sono diventati una specialità dei regimi totalitari, possono sempre venir giustificati con l’affermazione che diritto è quanto è bene o utile per il tutto, tenuto distinto dalle sue parti». Ci fermiamo insieme a riflettere: anche la Piccioletta Barca è un progetto entusiasmante, ma non è il paradiso sulla terra perché è inteso anzitutto a rimandare ciascuno di noi alla sua vita, di ragazzo di oggi e di adulto di domani.
Un’altra lezione preziosa di Agostino è la sua riflessione sulla felicità: per essere felici, occorre vivere in modo da poterlo essere. Ci affascina scoprire che le nostre gioie più grandi sono possibili solo a fronte di una fatica quotidiana, talvolta molto lontana dalla felicità. Se, come ci racconta una delle ragazze, la gioia più grande è l’ora del suo sport preferito, vivere in modo da poter essere felici comporta, ad esempio, aver terminato i compiti, aver custodito la concordia con i genitori, essersi preparata e allenata, altrimenti la gioia di quell’ora di sport non arriverebbe mai. Gli esempi più pratici e banali mostrano che vivere all’altezza della felicità sperata è questione molto seria. La felicità, in fondo, non arriva mai semplicemente: essa, così come il nostro stesso desiderio, va preparata.
Non manca, in fine, una riflessione sullo studio. Agostino ha precisato che «non si deve essere dediti allo studio al punto che non si pensi al bene del prossimo, né così attivi che non si attui la conoscenza». Azione e studio sembrano, spesso, in concorrenza. Non solo nella retorica degli adulti ma, questa volta, anche nell’esperienza quotidiana dei ragazzi. Studiare, in particolare, risulta spesso una delle attività più faticose e apparentemente aride. Ci fermiamo a riflettere: è un nodo importante per la Piccioletta Barca. Ciò che rende lo studio più difficile, a detta di alcuni, è il fatto che è obbligatorio: non si può scegliere l’argomento, né la quantità, né il tempo. L’università, in cui si possono finalmente concentrare le proprie energie su ciò che davvero appassiona, sembra lontanissima, vista dalle medie.Qualcuno aggiunge che essere giudicati rende tutto meno bello; qualcun altro confessa che, mentre lo studio è astratto, le cose più felici sono concrete. Per la verità non possiamo non essere d’accordo con loro: questi sono tra i temi che anche Ivan Illich, quando parla della scuola, mette in luce. Sarebbe forse bello che la scuola fosse un po’ come la Piccioletta Barca, che i ragazzi hanno scelto e di cui sono soci, ossia responsabili insieme agli adulti.
Il nodo, però, non si scioglie così facilmente: la scuola dell’obbligo è anche una strategia fondamentale per superare le disuguaglianze del passato, dopo secoli in cui l’accesso agli studi era possibile solo ai più ricchi.
Tuttavia, anche in questo apparente impasse tra obbligo e interesse, c’è una lezione da imparare: forse lo studio della scuola secondaria serve anche a ricordarci che siamo noi a dover rispondere alla realtà, così com’è e non essa a doverci corrispondere. Il mondo non è perfetto: ce lo sta dicendo Agostino fin dall’inizio; ma imparare ad abitarlo significa lavorare su di sé: è nell’uomo interiore che sono tracciati i confini tra il bene e il male, la città degli uomini e la città di Dio.