
E IL NOME DI MIO FIGLIO?

DANTE NEL MONDO DEI BAMBINI
QUEI “NOSTRI” MOSTRI

Un’espressione odiosa che da sempre ci inorridisce è “prima i nostri”. I nostri chi? E prima di cosa e di chi?
A voler cercare di essere sapienti almeno un po’, di nostro al mondo non c’è proprio nessuno: lo sa bene, o dovrebbe saperlo, una mamma che, dopo nove mesi più un anno di vita simbiotica con il bambino che ha messo al mondo, inesorabilmente a quel mondo lo consegna e, volente o nolente, lascia che altri sguardi, altre voci, altre mani, altre menti si posino su di lui e collaborino a plasmarne la forma. Se nemmeno i figli sono nostri, chi mai è nostro? Non di certo quei connazionali che, un minuto dopo aver avvolto nel tricolore con questo paternalistico appellativo, vituperiamo nel peggiore dei modi, lapidandoli di luoghi comuni, critiche, insulti di ogni specie…
E poi, prima di cosa? Prima delle invasioni barbariche, prima della fine del mondo, prima della desertificazione? Prima forse di ricordare, studiando un po’ di storia, che i Romani prima e gli Europei poi hanno colonizzato il mondo intero e che gli Italiani, gli Italiani di ogni latitudine, si sono espansi ovunque, come materia gassosa? Prima di chi? Prima di uomini e donne e bambini di quell’unica razza umana che al pari di chiunque di noi hanno il diritto – e forse anche il dovere – di dare alla propria esistenza il colore più bello che ci sia?
Inorriditi proprio da questo mostruoso triduo lessicale, abbiamo pensato, voluto, creato e con fatica timoniamo La Piccioletta barca, centro di cultura dove tutti i ragazzi di buona volontà possono partecipare della passione educativa e culturale con cui abbiamo cercato di crescere quei famosi nostri biologici o d’elezione: figli, nipoti, discepoli.
Ma il vorace possessivo è sempre in agguato: e così anche i piccoli soci della Piccioletta barca rischierebbero, ad abbassare la guardia, di diventare dei nuovi nostri-mostri! I nostri ragazzi, quelli che vanno a scuola e fanno una figura straordinaria perché sanno cose che i coetanei neanche immaginano…
Di nuovo, non ci interessa. Non siamo noi e per questo cominciamo l’Accademia ogni sabato mattina guardando al mondo intero, chiedendo ai piccoli soci quali notizie abbiano sentito, di cosa si sia parlato in classe o in famiglia (sempre poco o niente…).
«Avete sentito che in Iran da novembre avvengono misteriosi casi di avvelenamento respiratorio di giovani studentesse?» Seguiamo la notizia, per altro poco considerata dai mass media; la seguiamo nel tempo nel suo progredire, cercando fonti autorevoli. La più autorevole, certo, è la giovane studentessa iraniana che, qualche domenica fa, è venuta a raccontare la storia e l’attualità del suo paese.
Ora, per quanto nessun ragazzo sia profondamente appassionato di scuola, questa notizia, questa folle modalità di scoraggiare l’istruzione, in particolar modo quella femminile, scuote tutte le giovani anime, le investe di un senso di responsabilità, risveglia il potente senso di giustizia che nei ragazzi è più genuino e forte che negli adulti. Cosa possiamo fare, oltre a indignarci? Scriviamo una lettera, raccogliamo firme, facciamoci sentire: il consenso è unanime.
Lo abbiamo fatto sabato scorso: i ragazzi, rapidi come folgori, sono riusciti a rintracciare nella rete i nomi propri del console iraniano a Milano e dell’ambasciatore a Roma e gli indirizzi degli uffici.
E insieme abbiamo composto un testo che fosse rapido e efficace: lo hanno composto ragazze e ragazzi di undici, dodici, tredici anni. Abbiamo chiesto se le ragazze se la sentissero di pronunciarlo, una frase ciascuna davanti alla telecamera (https://youtu.be/fvQRXfSmKw4).: sì, di nuovo consenso unanime, benché la dimestichezza con quella telecamera abbia generalmente a che fare con balletti-scherzetti, non certo con seri appelli a esponenti della diplomazia. E la resa è quella che è: non importa, non sono veline le piccole socie della Piccioletta barca…
Consenso unanime lo abbiamo ricevuto anche dalle famiglie, cui abbiamo chiesto un’autorizzazione supplementare rispetto alla consueta: «permetti che il volto di tua figlia compaia in questo video? Sì con piacere, grazie di questa cosa bella che fate!» Tutti sì, perché, piano piano, le famiglie capiscono che colore abbia la Cultura che cresce in Piccioletta barca: capiscono, mamme e papà italiani e stranieri, che il nostro lavoro, la nostra passione non mira a creare sapientoni che tirino in testa ai coetanei il loro piccolo sapere, né a riempire la pagella di voti a due cifre, né a forgiare tante solitudini di piccoli numeri uno.
Noi studiamo, lavoriamo, parliamo, lottiamo per spalancare gli occhi dei ragazzi, per insegnare alle loro menti il senso critico rispetto a tutto quello che sentono, per seminare il seme della consapevolezza, del coraggio, della lotta all’indifferenza. Tutti valori che si nutrono di cultura: conoscere, sapere, capire, approfondire, cercare e creare connessioni.
«Non si può fermare la cultura – dice C., prima media –. Chi non studia la storia è destinato a ripetere gli stessi errori del passato». Forse non conoscono a fondo la Storia i ragazzi di oggi, forse nessuno gliela fa amare abbastanza, eppure quel gas che fluttua nelle aule per fare del male fa risuonare in tutti l’eco sinistra di una pagina di storia troppo vicina e troppo drammatica per essere dimenticata.
L’appello dei ragazzi della Piccioletta barca a favore delle studentesse iraniane verrà inviato a console e ambasciatore iraniani insieme a decine e decine di fogli che i ragazzi hanno fatto firmare a compagni e amici: sono firme di minorenni, non hanno alcun valore legale, ma hanno un meraviglioso valore simbolico che ci auguriamo raggiunga qualche anima adulta
Al momento, non abbiamo alcun ragazzo iraniano con noi, ma ci auguriamo che un giorno ne salgano a bordo molti: il giorno in cui muoversi e studiare come e dove si vuole sarà diventato un bellissimo diritto universale.