
QUEI “NOSTRI” MOSTRI

COME SI DIVENTA VUOTI?
DANTE NEL MONDO DEI BAMBINI

Centosessantanni dopo la prima richiesta da parte di un comitato di cultori danteschi di istituire per legge una festa nazionale nel giorno di nascita del sommo poeta, nel gennaio 2020 il Governo Italiano ha finalmente proclamato il 25 marzo Dantedì. Mancano due giorni al 25 marzo, che non è in realtà il compleanno di Dante, bensì il giorno di partenza per il suo preziosissimo viaggio nell’oltremondo. E mancano pochi giorni anche al primo degli incontri che la Piccioletta barca dedicherà alla presentazione della Commedia ai più piccoli. È già avvenuto in passato, è stato e sarà stupefacente!
Del legame fondante del nostro Centro di cultura con Dante si è detto in innumerevoli occasioni; del legame di Dante con i bambini e la vita familiare è bello e bene parlare un po’, perché è un legame sorprendente e sempre fecondo, che agevola senza ombra di dubbio il dono ai più piccoli della sua somma poesia.
Prima di tutto, a un amore di bambini Dante dà credito tanto da farne miccia per innescare la più grande opera poetica italiana (e forse più): Dante si innamora di Beatrice quando gli compare nel suo bel vestito rosso a nove anni, prima ch’io fuor di puerizia fosse – dirà in Purgatorio.
Per anni e anni, Dante cerca di rivedere quella bambina, non la dimentica, lei sposa un altro, lui sposa un’altra, eppure dichiara che su di lei scriverà qualcosa che non è mai stato scritto da nessuno per nessuna. E scrive la Divina commedia e l’umanità intera conoscerà Beatrice Portinari, quella bambina vestita di rosso che ha folgorato per sempre il cuore del poeta: il suo primo amore, un amore da bambini.
Dante fu poi padre di quattro figli: Giovanni, Jacopo, Pietro e Antonia. Il primo morì presto, gli altri, accomunati al padre nella condanna, lo seguirono a Ravenna, almeno dal 1315 e il poeta forse divise con loro l’abitazione. Ma Dante fu sempre schivo e riservato e nella sua opera non compaiono mai riferimenti alla vita familiare. Antonia entrò in convento e divenne suor Beatrice; Pietro e Jacopo, curatori dell’opera del padre, furono sempre attenti a non lasciarsi sfuggire neanche il minimo dettaglio sulla vita privata del padre o sul suo carattere, trattandolo con reverenza, ma anche con distacco, come se si trattasse di un autore conosciuto soltanto attraverso lo studio. Eppure, non si può nonpensare a Dante come a un papà attento, acuto osservatore dell’infanzia, come tanti passaggi della Commedia lasciano trasparire.
È vero, del resto, che Dante fu osservatore acuto dell’animo umano nella sua interezza – nonché delle leggi del cosmo,dell’astronomia, della natura nei suoi regni animale e vegetale, di tutto… – , in ogni sua dimensione, in ogni sua tinta e per questo certamente parla con forza, da oltre settecento anni, al mondo intero: del mondo esperto e de li vizi umani e del valore, come voleva essere il suo Ulisse, tocca con uguale forza il cuore di cattivi e buoni, di ricchi e di poveri, di santi e peccatori, di chierici e laici, di scienziati e di poeti, di naviganti e di contadini e di pastori.
Ma la delicatezza con cui Dante ritrae il mondo e l’animo bambino è veramente sorprendente: la nascita e i primi passi dei piccoli uomini nel mondo, il rapporto fra genitori e figli sono per il poeta fonte di immagini importanti che denotano una sensibilità sorprendente e moderna.
Il rapporto con Virgilio, in primo luogo, ci fa sognare un Dante padre attento e intelligente almeno quanto il poeta latino che lo guida nei primi due regni. La relazione fra i due è dipinta con tratti di dolcezza particolarissma.
Sempre pronto a rincuorarlo e a spronarlo, Virgilio si muove autorevolmente in una tensione fra amore e severità, tenerezza e fermezza che lenisce ogni paura e ogni tormento del poeta, il quale ripetutamente chiama Virgilio dolce padre. Virgilio vede, intuisce, legge nel cuore del suo protetto, non ha bisogno che egli domandi: lui sa e previene e sprona Dante lungo l’intero cammino. Come fa, come dovrebbe fare, un padre.
In un passo importante, Dante pellegrino, proprio come un bambino, dice a Virgilio che quei diavolacci della quinta bolgia, gli fanno paura e lui risponde:
S’i’ fossi di piombato vetro / l’imagine di fuor tua non trarrei /più tosto a me, che quella dentro ‘mpetro. / Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei /con simile atto e con simile faccia /sì che d’intrambi un sol consiglio fei. (Inf XXXIII, 25–30)
Poi, subito dopo, per sottolineare la solerzia del “padre” Virgilio, Dante poeta ricorre alla solerzia di una madre, espediente che crea un bellissimo triangolo di affetto familiare:
Lo duca mio di subito mi prese, /come la madre ch’al rumore è desta /e vede presso a sé le fiamme accese, / che prende il figlio e fugge e non s’arresta, /avendo più di lui che di sé cura, / tanto che solo una camicia vesta (Inf XXIII, 37–42)
Alla relazione madre-figlio, Dante ricorre per raccontare il suo incontro con Beatrice negli ultimi canti del Purgatorio: è sorprendente che sia quel rapporto e non quello amoroso, come tutti ci aspetteremmo dopo tanto faticoso commino, a tingere il sospirato incontro fra gli innamorati più insigni della letteratura italiana. Beatrice, che non ha mai distolto il suo sguardo dall’amato, persino quando si perdeva dietro a giovincelle, Beatrice che intercede per lui nell’Empireo, che non teme di scendere nel limbo per coinvolgere Virgilio nel salvataggio del suo uomo, perduto nella selva oscura, appena lo vede, diventa madre e lo sgrida e persino un po’ lo umilia:
Così la madre al figlio par superba /, com’ella parve a me: perché d’amaro / sent’il sapore della pietade acerba. (Pg XXX: 79–81)
E lui, come un fanciullino, reagisce nel canto successivo:
quali i fanciulli, vergognando, muti / con li occhi a terra stannosi, ascoltando / e se riconoscendo e ripentuti, (Pg XXXI: 64–66)
cioè abbassa gli occhi per vergogna, ascoltando consapevole e pentito i rimproveri della mamma.
Infine, la delicata attenzione di Dante per il mondo bambino gli viene in soccorso quando, nella salita verso il Paradiso e verso Dio, perde lentamente ogni sicurezza, ogni capacità di espressione e lui stesso – secondo la magistrale lezione di Vittorio Sermonti – si fa bambino, balbetta, si volge a cercare forza e sicurezza in uomini adulti al pari suo. Era accaduto già con Virgilio. Non appena aveva scorto Beatrice, il poeta in un istante aveva perso tutta la forza acquisita fino ad allora ed era tornato il pellegrino impaurito e impacciato dei primi versi dell’Inferno
Tosto che ne la vista mi percosse / l’alta virtù che già m’aveatrafitto / prima ch’io fuor di puerizia fosse,/ volsimi a la sinistra col respitto / col quale il fantolin corre a la mamma / quando ha paura o quando elli è afflitto, per dicere a Virgilio… (Pg XXX 40–46)
Appena la potenza dell’amore, la stessa che già lo aveva colpito nella vita terrena prima di uscire dall’infanzia, prima cioè di compiere nove anni, colpisce nuovamente la sua vista, egli si volge a cercare soccorso, con lo sguardo ansioso e sospeso del bambino che si precipita dalla mamma quando è impaurito o turbato da qualche male.
Accade ancora in Paradiso:
Oppresso di stupore, alla mia guida / mi volsi come parvol che ricorre / sempre colà dove più si confida (Pd XXII, 2–3)
come un bambino, dunque, che cerca la madre. Eppure Beatrice ha la sua stessa età!
E infine, proprio in prossimità della visione di Dio,
Omai sarà più corta mia favella / pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante / che bagni ancora la lingua alla mammella. (Pd XXXIII, 105–108)
è diventato un lattante che ha ancora le labbra bagnate di latte materno. È sorprendente che per esprimere l’incapacità di dare voce al suo stato d’animo di fronte a Dio, al momento supremo di quel cammino e di quel lavoro che – ne è consapevole! – lo incoronerà per l’eternità sommo poeta, Dante ricorra all’immagine di un lattante mentre estasiato assapora il latte che ancora sgorga dal seno materno.
“Se non diventerete come bambini, non entrerete”: è inequivocabile, d’altronde, l’avvertimento del fondatore del Cristianesimo, di cui la Commedia si nutre.
Per parlare di Dante ai bambini non occorre semplificare la lingua: loro Dante sembrano davvero comprenderlo, forse in virtù di quella legge naturale per cui:
fede e innocenza son reperte / solo ne’ parvoletti; poi ciascuna / pria fugge che le guance sian coperte. (Pd XXVII 127–129)
L’onestà, l’innocenza, la capacità di affidarsi, di ascoltare e di credere abitano solo nei bambini; crescendo, mentre le guance si ricoprono di barba, gli uomini perdono le qualità più pure dell’animo e, forse, con esse si perde nei più anche la disposizione d’animo giusta per gustare appieno la divina meraviglia della Commedia.