
ENERGIA DELL’ENERGIA

ENUMA ELISH: IL PRIMO MITOLOGICO BIG BANG
OGNI ‘MPIDIMENTU È GIUVAMENTU

C’è una canzone italiana famosa in tutto il mondo che recita:
… Odio l’estate
Il sole che ogni giorno ci donava
Gli splendidi tramonti che creava
Adesso brucia solo con furor
Si tratta di “Estate”, un brano musicale pubblicato nel 1960 e cantato dal noto jazzista italiano Bruno Martino.
Mi sono sempre chiesta come si faccia a odiare la stagione delle vacanze, del riposo, dell’attesa di un tramonto sul mare, dei tuffi in mare aperto e delle serate spensierate con gli amici.
Ti avevo già raccontato un anno fa, mio piccolo amico della PB, milanese solo di adozione, di quanto mi diverta la traversata che tutte le estati compio in auto, accompagnata dal mio amico Paolo, per raggiungere la Sicilia, la mia terra natale, che è diventata ormai luogo delle mie vacanze.
Ogni anno, mentre percorro la strada, penso a te e sempre di più mi convinco che tu e io condividiamo lo stesso destino: siamo entrambi ospiti della città più importante d’Italia, ma il nostro corpo, come attratto da una forza centripeta, continua a dirigersi irrefrenabilmente verso la terra d’origine, per noi il centro del mondo. Come me, anche tu, alla fine della scuola, chiusi i battenti del nostro amato centro di cultura, sei teneramente “obbligato” a raggiungere i parenti e, al tuo rientro a Milano, alla fatidica domanda «dove sei stato in vacanza?» risponderai sempre allo stesso modo: sono stato dai miei parenti!
Mai come quest’anno ho sentito mia quella malinconica canzone, che sembra quasi esprimere rancore e risentimento nei confronti della stagione estiva. Certamente, il cantante la odiava per un amore finito dopo le promesse estive, il mio risentimento invece deriva da quella sorta di pretesa, che l’estate porta con sé, di far viaggiare tutti, seppur per un piccolo lasso di tempo che dura al più quindici giorni, alla ricerca di angoli lontani e nascosti del mondo, la cui bellezza dovrebbe regalarti la felicità eterna. Noi no, andiamo sempre dai parenti e questo, stupidamente, è come se svilisse il luogo delle nostre vacanze. Tutto pianificato, tutto previsto nei minimi particolari. Eppure, per quanto tutto sembri previsto e prevedibile, ci sono eventi nella vita, pronti a sorprenderci: uno di questi è un vento che soffia a 80 km/h (non faccio per dire, è la verità) che scompiglia non solo i capelli ma anche tutti i piani.
Nel mio immaginario avevo già pregustato una divertentissima gita al mare con le mie amiche sulle mie adorate spiagge sabbiose e morbide al tatto.
Chissà se anche nella tua lingua madre esiste un proverbio simile a quello che sto per citare. In Sicilia si dice «Ogni ‘mpidimentu è giuvamentu!», che letteralmente significa “ogni impedimento è giovamento”, suggerendo che non tutti gli ostacoli rappresentano un vero impedimento, anzi, talvolta, sono una vera e propria benedizione! Forse sei ancora piccolino per averlo potuto sperimentare, ma ti assicuro che non c’è gioia più grande che godere di un evento inaspettato!
E così, in quella giornata di vento furioso che mi ruba la spiaggia sabbiosa, quando ormai la tristezza sembra prendere il sopravvento, le mie amiche e io decidiamo di anticipare di qualche ora il viaggio a Messina, dove dobbiamo accompagnare la calabrese del gruppo che ha prenotato la sera il famosissimo traghetto Messina – Villa San Giovanni.
Devi sapere, mio caro amico, che da quando sono bambina, Messina per me è sempre stato il passaggio obbligato verso il continente — così ci si riferiva un tempo all’Italia -; conosco solo quella lunga strada in discesa che, imboccato lo svincolo di Boccetta, porta direttamente agli imbarchi Caronte & Tourist. Pensa quanto è strana la vita, per più di quarant’anni, per mia disattenzione certamente, mi sono preclusa la possibilità di ammirare il più grande e complesso prodigio meccanico del mondo: l’orologio astronomico del Duomo di Messina.
Fortunatamente quel giorno decidiamo di visitare un poco la città; incuriosite dal capannello di turisti stanziati davanti al Duomo, decidiamo di aspettare anche noi, come loro, i dodici rintocchi di mezzogiorno che, si vocifera, daranno il via a uno spettacolo. Non siamo preparate all’evento, tant’è che attendiamo sbirciando tra le calamite di un negozietto e chiacchierando amabilmente sotto il sole cocente di un agosto siciliano. Non appena la gente attorno a noi inzia a sollevare il braccio, posizionando immancabile il proprio smartphone di ultima generazione, ormai prolungamento naturale del corpo impedendo agli altri la visuale, ci rendiamo conto che il momento è arrivato: per i successivi quindici minuti vedremo una meraviglia inimmaginabile!
Iniziano le due eroine di Messina, Dina e Clarenza, due enormi statue di bronzo che, vegliando dall’alto la città di Messina, suonano dodici rintocchi di campane, in memoria del coraggio delle due donne durante la Guerra del Vespro del 1282.
È il turno poi del simbolo della città di Messina: il maestoso leone posto alla sommità della torre, con forza e solennità, ruggisce per tre volte consecutive e aziona un delicatissimo meccanismo interno, permettendo il movimento della coda, del capo a addirittura della bandiera che impugna con orgoglio.
Neppure il tempo di metabolizzare la possenza di questa statua che la mia attenzione viene catturata dal “chicchirichì” di un fiero gallo che, posto tra le due eroine, con il movimento delle ali e il suo prolungato canto, intima il risveglio alla città di Messina.
È incredibile l’emozione che questo capolavoro di alta ingegneria riesce a suscitare durante l’attesa tra una scena e l’altra. I movimenti, i suoni, le pause sono così minuziosamente studiati che la successiva apparizione di una colomba in volo circolare e, successivamente, della chiesa di Montalto, che si erge dalla roccia sulle note dell’Ave Maria di Schubert, riempie gli occhi di commozione e il cuore di pura bellezza.
Secondo la tradizione, nel 1294, la Madonna apparve in sogno a fra’ Nicola, chiedendogli di radunare le autorità cittadine sul colle, perché, a mezzogiorno, una colomba avrebbe tracciato, con il suo volo, il perimetro sul quale sarebbe dovuta sorgere una chiesa a lei dedicata.
“Vos et ipsam civitatem benedicimus” è la frase che ancora oggi è riportata sul basamento della stele della Madonna, situata al porto di Messina, e che dà il benvenuto a tutti i visitatori che arrivano dal mare. “Benediciamo voi e la vostra Città” è infatti l’augurio che la Vergine Maria, divenuta in seguito patrona della città con l’appellativo di Madonna della Lettera, rivolge in questa nuova scena dell’orologio, agli ambasciatori messinesi, consegnando loro una lettera in segno di gratitudine per la loro conversione al Cristianesimo.
Segue poi la scena biblica della discesa dello spirito santo sugli apostoli ma rimango esterrefatta dalla genialità del progettista, il maestro Théodore Ungerer, quando davanti ai miei occhi si susseguono le scene del carosello dell’età. Quattro statue a grandezza naturale, raffiguranti le fasi della vita, l’infanzia (un bambino), la giovinezza (un giovane), la maturità (un guerriero) e la vecchiaia (un vecchio), sfilano davanti alla morte, rappresentata da uno scheletro munito di una falce che si muove al loro passaggio.
Il tema dello scorrere del tempo viene inoltre ripreso nel carosello dei giorni della settimana, un avvicendarsi di divinità, portate in trionfo da un carro, ciascuno trainato da un animale diverso.
È così, con gli occhi all’insù, la bocca spalancata, il cuore pieno di gioia bambina che ho trascorso quindici minuti di puro incanto! Non ci crederai, mio caro piccolo amico, ma in quel momento la mia gratitudine per il vento-‘mpedimentu, che mi ha fatto cambiare piano, è alle stelle. Anche il più piccolo imprevisto, se la mente e il cuore sono sempre all’opera, può davvero diventare un grandissimo giuvamentu.