
PER VIOLENZA, PER DESIDERIO, PER GIOCO (parte 2)

LA PICCIOLETTA BARCA, PICCOLA BARBIANA
WE FAILED YOU

Caro piccolo socio, cara piccola socia,
cara ragazza, caro ragazzo,
ormai ci conosciamo da un po’ e sai bene che né io, né gli altri soci grandi della Piccioletta Barca siamo soliti mentirti. Ti parliamo sempre come si parla a una persona adulta. Qualche volta, facendoci trascinare dal discorso, ci facciamo persino scappare qualche parolaccia; forse capita anche che risultiamo un po’ complicati. Ma una cosa è certa: facciamo di tutto per non mentirti, per non raccontarti mezze verità, per dirti – nel modo migliore, certo – come stanno le cose.
Questa volta, allora, siediti un momento e ascolta, perché devo dirti una cosa un po’ difficile da dire per un adulto e non facile da ascoltare nemmeno per un ragazzo. Ma noi, insieme, facciamo moltissime cose difficili rendendole facili; perciò, io credo che potrai capire e conto sul fatto che, una volta detta, anche questa cosa diventerà facile. Da sopportare, da vivere e magari anche da rimediare.
Se parlassimo inglese te lo direi così: «we failed you». È un’espressione intraducibile, ma molto profonda, anche se piuttosto triste. Letteralmente significa «ti abbiamo fallito», ma ovviamente in italiano non si dice così; forse la traduzione migliore è questa: «ti siamo venuti meno». Non sto parlando di me, di Beatrice, di Lucia, di Silvia, di Elisabetta, di Dorotea o di Luca, né dei nostri volontari. Anzi, per dirla tutta, noi abbiamo dedicato la vita a cercare di non venire meno ai ragazzi, tant’è vero che abbiamo fatto la Piccioletta Barca. Ma noi siamo pur sempre adulti e non ci sembra corretto tirarci fuori così in fretta. Infatti siamo noi adulti, tutti insieme, noi della generazione dei grandi, ad aver fallito il compito di costruire un mondo bello per te.
Ora, tu sicuramente sai già tante cose, non sei mica alle elementari. Sicuramente sai già che il mondo che abbiamo costruito non va molto bene. Sai, per esempio, che è inquinato, che il clima sta cambiando perché noi non siamo stati attenti: te lo dicono tutti, non puoi non saperlo. E questa, ovviamente, è una cosa vera. Però non devi essere troppo severo con noi su questo: siamo stati un po’ ottusi, ma eravamo proprio convinti di fare bene. Eravamo convinti che tu avresti avuto bisogno di molte cose: viaggiare, vestirti bene, non patire il freddo d’inverno e non soffrire troppo l’afa estiva; eravamo convinti, con le nostre costruzioni, che avresti avuto una casa più grande; con le nostre fabbriche speravamo che tu potessi essere circondato da oggetti utili e funzionali; sapevamo che con le nostre automobili ti avremmo portato in giro a scoprire le bellezze del nostro Paese e che con i nostri aerei ti avremmo dato la possibilità di scoprire i paesi più lontani. È vero, non siamo stati attenti e in realtà anche adesso non ascoltiamo abbastanza te e i tuoi amici più grandi. Però, ammettilo, non avevamo proprio tutti gli elementi per capire. Devi sapere che molti di quelli che appartengono alla generazione precedente alla nostra, quella dei tuoi nonni, sono nati in case senza energia elettrica, senza acqua corrente, con il riscaldamento a legna (che, lo sai bene, inquina ancora più dei caloriferi). Noi siamo i figli di quella generazione, quella che ha visto arrivare in casa la lavatrice, il tostapane, la televisione: l’ubriacatura del progresso l’abbiamo imparata da loro, non è proprio tutta colpa nostra. Non essere severo per questo, dunque.
Ma per altro sì, devi esserlo, devi rimproverarci e devi avere il coraggio di dirci «you failed me». Ciò a cui siamo venuti meno noi è il compito della pace. Per questo, davvero, non abbiamo scuse. Pensa: quando eravamo piccoli gli israeliani e i palestinesi avevano già iniziato a farsi la guerra. Non solo: c’era una strana guerra (la chiamavamo fredda) che vedeva da una parte la Russia e altri paesi, dall’altra gli Stati Uniti e altri paesi, proprio come oggi. Durante quella guerra più di una volta il mondo si è trovato sull’orlo di un abisso. In Africa, poi, tantissime persone morivano di fame, esattamente come sta accadendo oggi. Noi tutte queste cose le sapevamo benissimo: anche se non c’era internet avevamo i giornali e la televisione; a quel tempo non c’erano i blog, ma c’erano tanti giornalisti molto bravi, più di oggi. Noi sapevamo tutto. E non abbiamo fatto nulla.
Certo, un po’ di volte ci siamo emozionati: una volta, per salvare i bambini dell’Etiopia, abbiamo fatto un concerto bellissimo, con tutti i più grandi cantanti di allora (quelli che ancora oggi conosci) e abbiamo raccolto un sacco di soldi. Una sera abbiamo visto cadere il muro che divideva il mondo a metà, ci siamo emozionati moltissimo, abbiamo anche pianto e un gruppo rock ha fatto una bellissima canzone. Però noi queste emozioni le abbiamo assaporate intensamente, le abbiamo trasformate in spettacolo e poi ce le siamo dimenticate molto in fretta: abbiamo creduto, illudendoci, che i problemi si sarebbero risolti da soli. Per esempio, una volta raccolti i miliardi necessari a sfamare l’Etiopia, non ci siamo mica preoccupati che quei soldi arrivassero davvero alle persone giuste: moltissimi sono finiti in mano a uomini corrotti che ne hanno fatto motivo di ulteriore disuguaglianza. E pensa che noi lo sapevamo benissimo che il mondo è pieno di uomini corrotti: in Italia non si parlava d’altro; nonostante questo, adesso che la povertà in Africa non è finita, adesso che tanti uomini e tante donne vengono da quel continente a cercare un futuro nella nostra Europa, la cosa più intelligente che qualcuno di noi riesce a dire è «aiutiamoli a casa loro».
Sempre per farti un esempio: ci siamo illusi che sarebbero bastati i ragazzi della nostra età che picconavano il muro di Berlino a riportare un mondo unito, non ci siamo preoccupati più di tanto di diventare amici di chi viveva dall’altra parte, dei russi per esempio. E figurati che in Italia, dove il muro non c’era, eravamo lo stesso divisi (tra destra e sinistra, tra filo-americani e filo-russi): non potevamo non sapere che non è solo questione di muri.
Lo stesso vale per Israele e la striscia di Gaza. Tu non puoi saperlo, ma noi lo sapevamo benissimo che in questi ultimi decenni la tensione tra questi due popoli è andata sempre crescendo; sapevamo che le risoluzioni delle Nazioni Unite, che avrebbero dovuto condurre a una soluzione pacifica, non sono mai state realizzate. Potrei continuare a lungo con questi esempi, ma mi fermo qui. Però non posso mentirti e te lo devo dire: lo sapevamo e non abbiamo fatto nulla, perché se tutte le risoluzioni dell’ONU venissero applicate, se i diritti umani fossero rispettati, in tantissimi paesi dovremmo cambiare un sacco di cose. Anche in Italia, non credere…
Il fatto è che noi, a differenza di te – che forse fino a un anno fa non ci pensavi troppo – noi abbiamo conosciuto la guerra: non così da vicino come i nostri genitori, ma abbiamo vissuto la guerra fredda, le mille guerre che gli Occidentali hanno combattuto e la guerra dei Balcani, a due passi da casa nostra. Ma abbiamo pensato che si sarebbero risolte da sole, che non ci riguardavano più di tanto, che l’importante era tenere a bada lo spread, l’inflazione, l’importante era che aumentassero ogni anno i nostri soldi in banca (no, non siamo egoisti: sono i soldi per il tuo futuro) e costruire l’intelligenza artificiale. E ci siamo sbagliati.
Ecco, caro ragazzo, cara ragazza, «we failed you». Siamo venuti meno.
E adesso? Adesso che te l’ho detto? Io non so bene cosa cambierà in te, ma conto che, dopo averci sgridato, ci aiuterai a trovare la soluzione e imparerai, almeno tu, che con la guerra non si scherza, che se non si fa nulla, la pace da sola non arriva.
Però so cosa cambierà in noi, so cosa dovrebbe cambiare. Perché, vedi, noi adulti siamo un po’ così: quando pensiamo che tu non ci stia guardando, quando pensiamo che tu sia voltato dall’altra parte, allora spesso diamo il peggio di noi. Ma, invece, quando tu ci guardi, quando stai attento alle nostre azioni, quando con i tuoi occhi grandi ci chiedi di non venire meno, allora noi diventiamo migliori. Forse è solo perché ci vergogniamo, ma non importa: è comunque un grande miracolo, perché devi sapere che cambiare un ragazzo è molto difficile, ma cambiare un adulto è un’impresa quasi impossibile. Noi adulti della Piccioletta Barca, in questo senso, crediamo di avere imparato la lezione: cerchiamo di vivere immaginando sempre il tuo sguardo, lo facciamo da quando è nata l’Associazione e lo facciamo persino da prima. Lorenzo Milani diceva che un maestro è «chi non ha nessun interesse culturale quando è solo»: ecco, noi abbiamo interessi culturali quando tu ci guardi. La Piccioletta Barca è nata per te, per farti crescere, ma anche per noi, perché senza di te, senza il tuo sguardo, non sapremmo bene cosa farcene della nostra cultura.
Quindi, caro ragazzo, cara ragazza, facciamo così: tu guardaci bene, intensamente, noi adulti di questa generazione; guardaci con uno sguardo un po’ severo, guardaci come per dire «don’t fail me». Io non so se diventeremo migliori, ma sono convinto che, se ci guardi, ci proveremo fino in fondo.
E sono abbastanza certo che tu, quando sarai grande, te lo ricorderai e sarai un adulto diverso.