
CANTARE E’ ALTRO RESPIRO

DISCORSO DI INIZIO ANNO DEL PRESIDENTE. Ai ragazzi dell’Accademia
SAREBBE COSI’ SEMPLICE LA PACE…

Durante le vacanze, mi è capitato tra le mani un piccolo libro, regalatomi qualche settimana prima di Natale da uno dei suoi autori, lo storico Sergio Tanzarella. Ne parlo per consigliare a tutti la lettura – soprattutto ai nostri ragazzi di terza media – ma anche per proporre una riflessione. Il testo è di qualche anno fa: l’edizione che ho tra le mani è stata pubblicata nel 2018, in occasione delle celebrazioni del centenario della fine della Grande guerra. È un testo di storia, ma con una dichiarata inclinazione educativa, non a caso, oltre a Sergio Tanzarella, storico e docente universitario, gli altri due autori, Valerio Gigante e Luca Kocci, sono docenti nelle scuole superiori. Il testo si intitola La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima guerra mondiale. Non lasciatevi ingannare dal titolo: non si tratta dall’ennesimo testo complottista che raccoglie leggende metropolitane senza alcun fondamento: è frutto di una approfondita indaginestorica, di una paziente raccolta di fatti, di documenti, di testimonianze; sebbene si legga con facilità, tra le pagine emerge il lavorio del ricercatore che è capace, appunto, di distinguere infallibilmente la verità dalla menzogna. Ho avuto la possibilità di invitare il professor Tanzarella nella mia università per una lezione agli studenti: mi ha sorpreso scoprire in lui una formidabile pacatezza, quella che ci si attende da un grande studioso, ma insieme una determinazione invincibile a favore della verità, una caparbia volontà di svelare le mistificazioni di cui i potenti si servono per nascondere al mondo i loro scopi e un coraggio sorprendente nell’usare i crimini del passato per smascherare quelli del presente.
Non intendo qui svelare i contenuti del libro, per non privare nessuno della necessaria e lieta fatica della lettura; è sufficiente però ricordare che il testo, uscito per la prima volta nel 2015, centenario dell’entrata in guerra dell’Italia, è stato poi appositamente ampliato e nuovamente pubblicato nel 2018, mentre in Italia si rispolveravano ancora una volta gli ideali patriottici che avevano guidato, cento anni prima, milioni di cittadini verso una vita orribile, quella della trincea, condannando buona parte di loro a una morte ancor più tremenda. Durante le celebrazioni delcentenario, Sergio Tanzarella e gli altri autori sono stati una delle pochissime voci a ricordare la distanza tra la narrazione patriottica – quella consueta: una guerra giusta, eroica e necessaria – e la realtà dei fatti. Ricordando, per esempio, che l’Italia – che pure da quella guerra è uscita vincitrice – ha finito di pagare i debiti che aveva contratto per le spese militari solo negli anni Ottanta: non tanto per l’ingente investimento bellico, quanto per le sorprendenti e vergognose ruberie perpetrate dai colossi industriali (Ansaldo e Ilva tra i primi) ai danni dello stato. Spese triplicate, armi e mezzi militari inutilizzabili per la qualità scadente, fatture false fatte pagare più volte: imprenditori e intermediari sottrassero al popolo italiano cifre da capogiro, prelevate per anni dalle tasche dei nipoti di chi in quella guerra aveva perso la vita. Non a caso, raccontano gli autori, subito dopo la guerra, si aprì un’inchiesta parlamentare, presto chiusa con l’avvento del regime fascista e poi dimenticata. Di verità scomode presto cadute nel dimenticatoio, lo studio ne raccoglie moltissime: dall’abbandono dei nostri prigionieri da parte dello Stato alla fucilazione di chi, dal fronte, mandava a casa lettere che raccontavano le vere condizioni della vita in trincea.
Ciò che lo studio dimostra, in ogni caso, è che la guerra ha sempre bisogno di una elaborata macchina di propaganda, fatta di menzogne e di mistificazioni, tesa a convincere i cittadini che alcuni di loro devono sacrificarsi per la giusta causa, per una guerra inevitabile e necessaria. È così da sempre: già nelle pagine immortali dell’Iliade, dieci anni di guerra sanguinosa sono il prezzo necessario per salvare l’onore di una donna. Oggi come allora, le guerre iniziano ben prima che la prima ferita venga inflitta: iniziano quando si costruisce la narrazione dell’odio, ma anche quando si avviano i grandi piani economici per la produzione industriale delle armi, come ha ricordato anche il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno.
In questo scenario così drammatico, però, mi sembra ci sia una buona notizia. Se davvero le guerre, per esistere, hanno bisogno di questi complessi meccanismi di occultamento della verità, significa che la guerra non è l’esito naturale della conflittualità umana, ma un prodotto di un grande e costoso artificio politico. Nel Natale del 1914, a guerra già iniziata, sul fronte occidentale accadde qualcosa che è spesso raccontato come un miracolo: i soldati tedeschi e britannici, schierati su fronti opposti a pochi metri di distanza, uscirono dalle trincee e incominciarono a scambiarsi auguri e canzoni, abitarono la terra di nessuno per poche ore e organizzarono persino delle partite di calcio. Qualche anno fa una catena di supermercati britannici usò l’episodio in una pubblicità, con un video quasi magico. L’episodio, però, è accaduto realmente e non fu un miracolo, ma l’invincibile desiderio di pace dei soldati. Non a caso le gerarchie dei diversi esercitidovettero imporre regole ferree affinché nulla di simile potesse ripetersi. Il generale Cadorna –notoriamente responsabile di decine di migliaia di morti e al quale, nonostante ciò, sono dedicate decine di piazze italiane – ordinò di fucilare chiunque osasse fraternizzare con il nemico.
Una narrazione fin troppo diffusa, resa famosa dal filosofo inglese Thomas Hobbes, sostiene che gli esseri umani sono naturalmente in competizione (homo, homini lupus) e che la complessa macchina delle istituzioni è necessaria per impedire che si divorino tra loro. La storia ci insegna che questa visione potrebbe essere capovolta: difficile non è la pace, difficile è tenere in piedi quella macchina che genera, alimenta e mantiene vivo l’odio tra gli umani con la scusa dell’etnia, della religione o dell’ideologia. Ma, se mantenere vivi i conflitti richiede una tale raffinata opera di mistificazione, significa che il cuore degli uomini e delle donne ha in sé un insopprimibile desiderio di pace, di bene, di riconciliazione.
Georges Rouault, uno dei maggiori pittori del Novecento, dedica una serie di acqueforti al primo conflitto mondiale: sono immagini forti, in bianco e nero, che mostrano la devastazione della guerra. Una, bellissima, spicca tra tutte: rappresenta una madre accanto al suo bambino e ha questo titolo: «sarebbe così dolce amare…» (Il serait si doux d’aimer…, G. Rouault, Miserere XIII, 1928). L’acquaforte dice di un bene insopprimibile nel cuore umano. Ecco: questa, nello scenario così preoccupante di questi anni, è la buona notizia che dovremmo coltivare. Se usassimo l’energia che oggi stiamo impiegando per sopprimerlo, per dare spazio a questo bene, forse ci accorgeremmo che fare la pace è più semplice che fare la guerra. La coltivazione dell’umano – ciò che ai nostri ragazzi continuiamo a dire essere la cultura – è sempre per la pace.