
QUANTO VORREI DIVIDERE A META’… (dalla lettura de Il Visconte Dimezzato di Italo Calvino)

STORIE DI SORELLE E FRATELLI
L’ENERGIA DELLA NATURA

Abbiamo fino a qui seguito i modi con cui gli esseri umani hanno dato voce all’energia: il mito, la filosofia e la scienza. Abbiamo intuito che ciascuno di questi modi, ciascuna di queste forme simboliche, ha il suo linguaggio, i suoi strumenti, diversi l’uno dall’altro; abbiamo anche scoperto che esistono energie che, per essere comprese, hanno bisogno di miti, altre di filosofia, altre dell’indagine scientifica. Avendo raccolto anche noi, nel nostro piccolo, gli strumenti necessari, è ora di avvicinarci alle diverse energie che ci circondano, provando a farci strada, a raccoglierle, resi saggi dall’ultimo grande insegnamento che ha concluso la nostra lettura di Brecht: «finché sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, l’uomo non sarà capace nemmeno di sviluppare le energie della natura che le vengono svelate». È una grande responsabilità e noi, appena un poco intimiditi, non ci tiriamo indietro.
La prima energia, la più evidente, la più visibile, è l’energia della natura. Non solo è ciò che da sempre ha interrogato gli umani, nella loro storia e nella loro preistoria, ma è anche un tema che oggi torna prepotentemente alla ribalta di fronte alla crisi climatica, ai danni che l’azione umana ha inflitto agli ecosistemi.
Con i ragazzi ci poniamo la più semplice delle domande: la natura, con la sua energia, è buona o cattiva? Subito risponde Matilde, una ragazza di prima media che ha molto forte in sé l’esigenza di aver cura del mondo, anche perché ha vissuto parte della sua vita in Sudafrica, a contatto con una natura lussureggiante e incontaminata. «La natura è buona, dice, sono gli uomini a essere cattivi». Incalza subito Mattia, per dire che le cose sono un po’ più complicate di così, perché «anche gli esseri umani sono parte della natura». Gabriele, invece, fa una distinzione, suggerendo che il corpo umano sia un elemento naturale, ma non lo siano le nostre scelte e le nostre azioni. A tutti, comunque, ricordiamo che sono naturali anche i terremoti, le inondazione, le eruzioni vulcaniche e persino un piccolo insetto che depone le sue uova nel corpo di altri insetti così che, una volta dischiuse, le larve possano divorarli dall’interno, mantenendoli in vita però il più possibile… Darwin rimase scioccato da questo orrore naturale che, ammise, gli fece perdere la fede in Dio. Non ci resta che ammettere la complessità del tema e affidarci a chi, prima di noi, si è lasciato interrogare da queste contraddizioni.
Il primo autore da cui ci lasciamo guidare è Giacomo Leopardi, già incontrato alcuni anni fa, parlando di desiderio. Sappiamo di lui che dalla nascita nel 1798, fino al 1823 non uscì mai dalle mura di Recanati: nella prima parte della vita, totalmente dedicata allo studio, la natura per lui rappresentava una possibilità di fuga dalla biblioteca paterna. La siepe di Recanati, davanti alla quale passava i pochi momenti liberi dallo studio, diventa l’immagine tanto di un limite, quanto di una porta spalancata sull’infinito. Quando finalmente, nel 1823, ebbe la possibilità di andare a Roma e di frequentare i salotti colti della città, la sua delusione fu tale da segnare il passaggio da un pessimismo storico, ancora legato alla sua esperienza, a un pessimismo cosmico, senza scampo alcuno. Dapprima, infatti, Leopardi aveva abbracciato le idee romantiche che confidavano nella bontà della vita naturale. Da Jean-Jacques Rousseau in poi, la critica alla società europea a ci vincoli della civiltà, spingeva a idealizzare la condizione naturale degli esseri umani, nella figura del buon selvaggio. La tesi, in breve, è questa: se le nostre istituzioni non fossero intervenute, se fossimo rimasti in una incolpevole ignoranza, saremmo semplicemente felici e buoni. Questo naturalismo fece il giro del mondo: lo troviamo, sebbene in forma più elaborata, anche nel Nuovo Continente, negli scritti di Henry David Thoreau. Leopardi lo abbracciò con entusiasmo per un certo periodo, come testimoniano diversi passaggi dello Zibaldone, ma presto si spense anche questa luce. La rovina del mondo precede la civiltà umane o la rivoluzione industriale: è una caratteristica del cosmo intero. Una delle espressioni che più leghiamo a Leopardi è l’idea di una «natura matrigna», l’alterazione dispregiativa dell’idea della Grande Madre Natura, immagine primordiale (e ricorrente) di generazione, cura, fecondità. Nulla, dice il poeta, conferma questa celebrazione: la natura è piena di energie cattive, di distruzione che genera dolore non solo nell’essere umano ma in tutti i viventi.Saranno le sue stesse parole ad accompagnarci, nell’operetta morale intitolata Dialogo della Natura e di un Islandese.