
ITALO CALVINO, SCRITTORE IMMORTALE

IL BALLETTO: ENERGIA E GRAZIA
IL VILLAGGIO DELLA CULTURA

“Per crescere un bambino ci vuole un villaggio” recita un proverbio africano, assai utilizzato e salito agli onori delle cronache perché citato anche da Papa Francesco. In quanto inflazionato, il detto si presta a un uso retorico (non temere, non sei solo a crescere tuo figlio, ma attorno a te ci sono persone e realtà che ti sostengono e affiancano) o al suo opposto recriminatorio (mi dite che non sono solo, ma non è vero e se voglio aiuto, posso trovarlo solo a patto di avere i soldi per pagarlo). Eppure, la saggezza del proverbio racconta qualcosa che, quando viene realizzato, fa sentire tutta la sua forza. E’ l’idea di molteplicità di voci, opportunità, capacità di ascolto e aiuto che rende più ricca la vita di un ragazzo e con semplicità riconduce all’idea che anche nell’incontro educativo siamo inseriti in un sistema di relazioni e interazioni responsabilizzante: sistema bene esplorato dalla antropologia, dalla linguistica, dalla filosofia e, come spiega Carlo Rovelli nel suo saggio “Helgoland”, ormai conquistato anche dalla fisica, grazie alla meccanica quantistica. Nessuna azione, nessuna parola pronunciata e raccolta, nessuna lettura, nessuno ascolto è fisso e isolato, ma esiste e agisce all’interno di un flusso, incontrando il portato di quello che è stato prima e animando possibilità che trasformeranno il dopo.
Mi è tornato in mente quando, qualche giorno fa, Beatrice ci ha raccontato della mamma di una nostra piccola socia, che, anno dopo anno, ha costruito con noi un legame sempre più forte, fino ad offrirsi, ora, di darci un aiuto per quella attività difficile, amara e necessaria che è la raccolta fondi. E non è la sola. Nel tempo, molti genitori dei nostri ragazzi si sono stretti intorno alla Piccioletta Barca, non solo con la fiducia nell’affidarci i figli, ma anche riconoscendosi nei valori su cui fondiamo la crescita dei ragazzi, sentendosi sostenuti nell’educazione dei figli, riportandoci la gioia di vederli coinvolti, contenti, curiosi, stimolati. E’ un sentire virtuoso: fa bene a noi che crediamo che la cultura riguardi e interessi la vita e il futuro, ai ragazzi che trovano più forza nelle loro motivazioni e possono contare su più figure adulte di riferimento, alle famiglie che si sentono parte di una comunità Parallelamente, si è fatta ancora più forte la relazione con le scuole dove i ragazzi studiano e dove gli insegnanti che conoscono e stimano l’associazione la segnalano come opportunità ai loro studenti, alimentando un prezioso passaparola. E’ questo essere un villaggio che fa crescere un bambino. Una comunità sul territorio, una comunità allargata: arricchita dalle voci di chi porta cultura ai nostri piccoli soci (intellettuali, professori, studiosi, professionisti che incontrano i ragazzi e aprono orizzonti del pensiero) e della quale fanno parte anche i nostri sostenitori, privati e istituzionali, che con il loro contributo sono a fianco dei ragazzi e del loro futuro. Adulti uniti non dalla semplice intenzione di cura, ma dalla consapevolezza che insieme si nutre e costruisce la prima cellula della società l’individuo.
Al centro della crescita noi mettiamo la cultura, parola forte, grande e piena, che, come avevano spiegato Beatrice e Roberto ai nostri accademici ha origine dalla terra, dal coltivare la terra e in questa condivisione di sorgente etimologica trova ancora spunti altamente significanti.
Si racconta che nelle antiche tradizioni contadine europee, quando si piantava un seme o un germoglio, nel buco scavato per ospitarlo veniva messo un grande sasso. La pianta cresceva abbracciando con le radici il sasso, ancorandosi ad esso sia nello slancio dei rami verso il cielo sia nell’affondare nel terreno alla ricerca di ogni nutrimento. La presa salda, rendeva la pianta stabile e resistente ad ogni aggressione e intemperie. I ragazzi possono trovare nella cultura quell’ancoraggio che sostiene e rende liberi.
Ma la crescita di una pianta è lenta, richiede tempo e chi aveva messo quel sasso accanto alle radici, chi aveva seminato l’appiglio di forza, non avrebbe visto, molto probabilmente, la pianta grande, frondosa, fiorita. Seminava, fidandosi: del piccolo seme, del proprio lavoro, della sinergia che si sarebbe creata tra radici e sasso. E mi ha ricordato gli uomini che hanno contribuito a costruire Stonhange, che si sono fidati di un progetto di cui non hanno visto la realizzazione finale, ma al quale hanno portato il loro necessario contributo.
Viviamo in un mondo sempre più legato all’immediatezza, alla risposta pronta, alla necessità subito soddisfatta, mentre nutrire l’umano è un atto di fiducia, è seminare con cura, coraggio e passione, anche mettendo in conto di non riuscire a vedere il frutto, che potrebbe maturare in un tempo e in uno spazio lontani da noi. La cultura può trasformare una giovane vita in ogni momento della sua crescita: essere con e per i ragazzi significa non smettere di alimentare il loro desiderio di ascoltare, confidando che i semi piantati in ognuno di loro troveranno il proprio tempo per la fioritura.