
AMICI DI QUARTIERE: CHIACCHIERATA CON GIANNI BIANCHI

LORENZO, SU MAJORANA
BEREN E LUTHIEN

Diciamo la verità: che il nostro lavoro a proposito dell’energia dell’amore finisse con Martin Eden, che sprofonda nelle fredde acque dell’oceano, non ci va proprio giù. È vero che Jack London ci ha regalato pagine memorabili, così come è vero che anche da questa fine drammatica abbiamo imparato molto, ma ci dispiaceva lasciare al dramma l’ultima parola.
Nelle nostre librerie, c’è un testo breve ma che ci permette di fare un confronto, senza costringerci a mettere altra carne al fuoco: è un testo lontanissimo dal realismo di Jack London, dalla sua lettura profonda e disincantata delle dinamiche sociali degli Stati Uniti dell’inizio del Novecento: un testo pieno di incanto e di magia, così lontano dalla realtà da aver costruito un intero mondo, popolato da nani e da orchi, da elfi e da maghi. Eppure, quel mondo così lontano e strano, pieno di nomi impronunciabili e di realtà soprannaturali, Tolkien lo ha creato proprio per capire il nostro; lo ha creato in un tempo in cui il nostro mondo, tra guerre mondiali, crisi economiche e industrializzazione, stava perdendo ogni incanto e rischiava di rassegnarsi, come Martin Eden, a non trovare più riposo in alcuna bellezza. Da professore e linguista, incomincia per gioco a inventare delle lingue e, sempre per gioco, a creare personaggi che le parlassero; ma presto, da uomo sensibile qual è, le traiettorie dei suoi personaggi gli permettono di ricostruire una seconda realtà che, come accade nei grandi romanzi Fantasy e fantascientifici, diventa specchio della nostra.
Tra le pagine del Silmarillion, che abbiamo già frequentato lo scorso anno, ascoltando il grande racconto della creazione intitolato La musica degli Ainur, c’è una storia d’amore: «la più bella alle orecchie degli elfi è pur sempre quella di Beren e Luthien». Poiché le orecchie degli elfi sono abituate a frequentare luoghi incantevoli, incominciamo il racconto…
Beren è un eroe, uno degli ultimi grandi eroi tra gli umani; ha combattuto fieramente contro il nemico (proprio Melkor, che in La musica degli Aiunr produsse la grande stonatura del male nella grande musica della creazione) e contro i suoi servi (primo tra tutti il suo luogotenente Sauron, l’invincibile e potentissimo cattivo del Signore degli anelli), che avevano sterminato la sua nobile famiglia. Egli è così fiero e valoroso che, per stanarlo, il nemico mette una taglia sulla sua testa e manda orde di orchi e di lupi mannari ad ucciderlo; ma per tutta risposta Beren affronta i nemici uno dopo l’altro, da solo, e li sconfigge tutti.
È proprio al termine di una battaglia che, stanco e carico di dolore, finito per caso nel reame degli Elfi, esseri bellissimi e immortali, incontra Luthien, la più bella di tutte le creature. Luthien canta e danza e alla sua voce la natura si ridesta e ogni dolore svanisce: è così che Beren, proprio come il nostro Martin, si innamora perdutamente di lei. Anche Luthien è affascinata dal suo valore, nascosto sotto il velo delle sofferenze patite; lei che, essendo immortale, non conosce il dolore, decide che nel suo cuore non ci sarebbe stato posto se non per lui. Dopo aver vissuto per qualche tempo lontani da tutto e da tutti, i due finiscono per essere notati e portati alla corte del re degli elfi, che di Luthien è padre. Anche in questo caso, due mondi diversi si incontrano: quello nobile, elegante e immortale degli elfi e quello doloroso, ma pieno di vita e di valore degli umani. Anche in questo caso, l’incontro non è idilliaco: il re non vuole cedere in alcun modo la mano della figlia e, per liberarsi di lui, gli propone una missione impossibile: riportargli un Silmaril, una delle pietre magiche incastonate nella corona di Melkor. Sa bene, il re, che una simile impresa chiede non meno della vita; ma dimentica che i Silmaril, ancorché potentissimi nella loro magia, recano una maledizione: rendono crudele chiunque li possieda, crudele come l’oscuro signore che li aveva forgiati. È un tema ricorrente, nel mondo di Tolkien: esistono potenze che rendono malvagi, esistono poteri che neppure gli uomini più giusti e saggi dovrebbero usare, perché contengono in sé un male irreversibile. Così, d’altra parte, era accaduto anche nel nostro mondo reale, negli anni in cui Tolkien scriveva: la potenza dell’atomica stava muovendo i primi passi e avrebbe presto mutato per sempre gli equilibri della storia.
Beren, però, che nulla sa delle nostre miserie, accetta l’impresa e parte alla conquista del Silmaril. Lo aiuteranno alcuni amici elfi, un manipolo di compagni che, catturati da Melkor, perderanno uno dopo l’altro la vita. È nel momento più buio, mentre Berengiace prigioniero nelle segrete di Melkor, che la bellissima Luthien decide di andare in suo soccorso. Fugge dal reame paterno e si avvia nei luoghi più oscuri, pronta a dare la vita per l’amato. Anche Luthien, per strada, incontra un amico: è il cane Huan, una sorta di animale primordiale, generato nei luoghi degli dei. Fortissimo e gigantesco – al punto da lasciarsi cavalcare dall’elfa – Huan è fedele, proprio come un cane, ma è anche sapiente e dotato di straordinari poteri: tra tutti quello di poter comprendere la lingua degli altri viventi e di poter parlare, ma non più di tre volte in tutta la sua vita. L’elfa e il cane Huan scendono fino alle stanze più segrete del nemico e liberano Beren, dopo battaglie epiche e indimenticabili che gli elfi e gli umani non cesseranno di cantare. Si apre così un secondo tempo di pace: Beren sana le sue profonde ferite, Luthien gode della sua compagnia e di nuovo il mondo si riempie dei loro canti. Ma la sospensione dura poco: la fierezza di Beren gli impone di tornare alla ricerca del Silmaril, di sfidare ancora Melkor, costi quel che costi, per conquistare il diritto di sposare Luthien. È, questo, un momento bellissimo della storia: Luthien gli chiede di condividere con lui l’avventura e i suoi pericoli; l’eroe, come ogni eroe che si rispetti, rifiuta l’idea che l’amata possa correre i suoi stessi pericoli. Così interviene il cane Huan, ricordando che i loro destini sono ormai uniti, nel bene e nel male. L’avventura, allora, ricomincia: i tre affrontano il nemico e i suoi seguaci ma, quando ormai il Silmaril è nella sua mano, uno dei mostri di Melkor gli stacca la mano con un morso e inghiotte la pietra magica insieme alla mano di Beren.
È in questo stato, con lui quasi morto, che il re degli elfi ritrova Beren e Luthien: commosso dal loro amore e dal loro eroismo decide di aiutarli e lancia un’ultima grande battaglia contro il mostro. Sarà uno scontro epico, che costerà però la vita sia al fedele Huan, sia al valoroso Beren.
Ma c’è un altro personaggio che, nella storia, si lascia commuovere dall’amore: Mandos, il potentissimo dio che veglia sulle sorti degli uomini e degli elfi. A Mandos, Luthien canta un canto d’amore altissimo e profondo e, in un mondo creato proprio con la musica, in ogni musica c’è una magia. Così Mandos, ancora profondamente commosso, decide di lasciare all’elfa una scelta: abitare insieme agli dei e vivere per sempre della loro gloria o ricevere Beren di nuovo in vita, ma rinunciare per sempre all’immortalità. Nessuno avrebbe dubitato: Luthien sceglie l’amore e sacrifica a esso le mille vite che le erano permesse. Così termina la favola di Beren e Luthien, che non solo vissero, ma anche morirono, ormai anziani, felici e contenti.
Certo, la storia è piena di magia e di fantasia, ma è anche una risposta alla tragedia di Martin Eden e di Ruth. Perché, riflettiamo insieme ai ragazzi, questa volta la donna non è solo un oggetto dell’amore, ma un soggetto attivo che entra nella battaglia, rischia quanto l’amato e, per lui, rinuncia ai suoi privilegi. Se nel romanzo di London l’unico a modificare la sua vita è Martin, qui spetta a Luthien il cambiamento più drastico, che, da immortale la rende mortale. E questa è solo una delle differenze: Beren e Luthien sono circondati da amici che accompagnano, consigliano e ascoltano. Persino il padre di Luthien, alla fine, li aiuta nella loro missione: non sta a vedere da lontano, come fanno i Morse.
C’è qualcosa di bellissimo in questa storia e, soprattutto, di non scontato. Di solito le fiabe hanno un lieto fine che, quando c’è di mezzo l’amore, comporta sempre un’omologazione verso l’alto: la Cenerentola diventa sempre una principessa, quando passa il suo principe azzurro. La grande storia d’amore del Silmarillion, invece, termina verso il basso: Beren non diventa immortale, come forse ci saremmo aspettati, e Luthien preferisce l’amore di lui ai suoi poteri. Forse perché è proprio l’amore la fonte più generativa e rigenerativa delle energie umane.