
LORENZO, SU MAJORANA

IN-CONTRO TRA TITANI: VERDI SCRIVE PER MANZONI
…QUANDO ALCUNA ANIMA MONDA SENTESI, Pg XX — XXI

Concludere un anno di Accademia con la Divina commedia è proprio come tornare a casa dopo un lungo viaggio: ricchi di esperienze nuove, di luoghi e di personaggi, si approda in un posto familiare e sicuro, dove versi meravigliosi aiutano sempre a ripensare e coronare in sapienza e bellezza tutto il cammino percorso.
I canti centrali del Purgatorio – e quindi centro dell’intero poema – sono il perno attorno a cui ruota il senso del viaggio oltremondano di Dante, il nocciolo della questione, la spina dorsale che dovrebbe consentire a un uomo di stare bene dritto nella vita: la dottrina dell’amore nel canto XVII (centro del centro), il libero arbitrio nel XVIII, la sapienza di conoscere se stessi e di sentirsi maturi e pronti alla beatitudine cui siamo tutti destinati, in questi due canti, dai quali sprigiona la più bella e potente energia che si possa immaginare. Vediamo… Siamo nella quinta cornice che accoglie avari e prodighi: legati mani e piedi, procedono a bocconi, lo sguardo rivolto a terra, a significare il loro attaccamento ai beni materiali.
Dante e Virgilio sentono una voce invocare esempi di povertà virtuosa: Maria che partorì il divino bambino in una misera stalla, il console Fabrizio Luscino che, incurante della ricchezza, non soggiacque alle lusinghe di Pirro e San Nicola. A parlare è Ugo Capeto. A lui si rivolge Dante pellegrino chiedendogli chi sia e ponendogli una strana domanda: perché sola tu queste degne lode rinovelle? (v. 36). Che fine, che bravo Dante poeta, che con questa domanda, focalizza la nostra attenzione sul tema del suono, tanto rilevante poco più avanti! Ugo si presenta come radice della mala pianta, capostipite della dinastia capetingia di cui condensa in pochi versi la storia e risponde che i tre esempi di virtù sono in realtà pronunciati, durante il giorno, da tutte le anime penitenti, come responsorio alle preghiere collettive; quando viene sera si cantano invece sette esempi di avarizia punita
Generalmente – spiega Ugo – uno parla più forte e uno più piano, a seconda dell’affetto che lo spinge a forzare o a attenuare il suo impeto vocale: alle lodi della povertà non partecipava lui solo, ma così è parso perché, evidentemente, lì attorno, nessuna anima alzava la voce come lui.
Visualizzano bene la scena i ragazzi: si rendono conto che anche loro, sentendo citare un loro beniamino musicale o sportivo, gridano forte il loro entusiasmo, ma sono più freddi rispetto a un nome che meno li coinvolge. Moti spontanei del cuore, autentici nei confronti di buoni e di cattivi…
Congedatisi appena dall’anima di Ugo, i due pellegrini avvertono il più violento dei terremoti! La montagna trema come se crollasse e Dante è colto da un gelo simile a quello di chi è condotto a morte. Al tremore forte della terra si unisce un grido fortissimo, da ogni parte, un rintrono colossale:
Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal, che ‘l maestro inverso me si feo,
dicendo: «non dubiar, mentr’io ti guido.»
“Gloria in excelsis”, tutti, “Deo”
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi
onde intender lo grido si poteo. (133–138)
Energia dirompente della terra e dell’uomo insieme, movimento e suono: un grido all’unisono, corpi che scattano in un moto di gioia – sembra un coro greco –, cui si unisce persino il monte e poi, di colpo, tutto torna immobile e le anime tornano al loro lamento abituale.
Dante passa dalla paura allo stupore: lo stesso dei pastori quando udirono cantare gli angeli nella notte santa.
Tutti si interrompe e Dante poeta, genialmente, interrompe anche il canto e ci lascia lì, timidi e pensosi, come i due pellegrini. Mai Dante pellegrino è stato tanto curioso: con la sete di sapere che arde le sue viscere si apre il canto XXI. Appare improvvisamene un’ombra che si mette sulla scia dei due poeti, i quali non si accorgono della sua presenza, finché ella non rivolge loro un saluto di pace. Dopo avere presentato all’anima la loro condizione, Virgilio le chiede conto degli scrolli del monte e di quel boato da stadio. L’anima comincia a spiegare: il santo ordine del Purgatorio non subisce nulla che non risponda a un’armonia suprema o deroghi alla religione, la religio loci, che è il sistema di legami (religo è il verbo latino di questa parola) sacri fra Dio e l’uomo. Il monte non è soggetto ad alcuna perturbazione naturale: niente pioggia, né nuvole, né neve, né arcobaleno, nessun meccanismo terreno al di sopra dei tre gradini dell’ingresso, solo il reciproco influsso dei cieli può produrre effetti: e infatti là in Purgatorio, la terra trema quando un’anima si sente monda, pulita dei suoi peccati e si muove per volare su, in Paradiso. E il grido del Gloria asseconda e accompagna questo movimento di liberazione gioiosa. Il verbo più importante di questo canto, ci pare, è quel si sente che, da solo, dice tutta la grandezza, la potenza, la libertà dell’uomo dantesco.
Perché la volontà di salire, di per sé, è prova della avvenuta purificazione: la volontà, libera di cambiare sede e comunità, investe l’anima di improvviso e la fa gioire. Anche prima, certamente, l’anima desidera raggiungere una sede più alta e bella, ma glielo impedisce il desiderio di espiare la propria colpa. Dopo un lungo lavoro di riflessione interiore, la pulsione innata al Bene non è più condizionata dal pur giusto desiderio di pentimento e espiazione e l’anima è libera, pulita e, leggera, vola su fra i beati. E il canto all’unisono del Gloria è la più potente e spettacolare rappresentazione della solidarietà e coralità unanime che è uno dei tratti distintivi del secondo regno. Nessuna differenza di tonalità, nessuna preferenza, non più chi canti piano e chi canti forte, facendo il tifo per l’uno o per l’altro: solo un’esplosione di energia di affetto e partecipazione al bene altrui. Che bello! Quanto hanno da insegnare ai ragazzi e a noi tutti questi versi meravigliosi.
Siamo tutti vincolati al giudizio altrui: da un altro attendiamo sempre una parola di assoluzione, di conferma, di liberazione, che sia un sacerdote, un genitore, un insegnante… Aspettiamo addirittura che qualcuno ci consegni l’autorizzazione a essere felici! «Va bene, ora puoi andare e essere contento! Ora hai capito. Ora sei sufficientemente bravo, ora sei a posto…». Eccoci qui, in costante attesa di un giudizio positivo che raddrizzi la nostra postura dimessa, che ci confermi a noi stessi, che sia viatico al nostro sentirci a posto. Ecco qui il voto che ci rassicura, la restituzione del cellulare requisito per la centesima volta dalla mamma che ci riconferma la sua fiducia, ecco il messaggio tranquillizzante rispetto a quel poco che dovevamo fare. Non ci sentiamo mondi finché qualcuno non ci conforta. Non è necessariamente umiltà questa: è soprattutto dipendenza e comodo adagiarsi sempre e comunque nelle braccia altrui.
Dante ci insegna che l’energia più bella, quella che dà gioia all’intero creato, è la consapevolezza del bene che ognuno di noi è. Quando un uomo cresce? Quando sa di essere cresciuto! Quando un ragazzo è bravo a scuola? Quando sa di essere preparato nel modo giusto, quando sa di avere fatto il suo dovere fino in fondo, quando con gioia infinita raggiunge con i denti e le unghie quel 6 che sembrava non arrivare mai.
Certo, a tutti noi è gradito e spesso utile il consenso altrui, ma guai a chi ne fa il metro della propria esistenza: quelle catene pesanti che ci schiacciano al suolo e che ci fanno avanzare con timore e tremore nelle nostre giornate, dobbiamo riuscire a scioglierle da soli, lentamente e sapientemente, finché non maturi in noi la consapevolezza di avercela fatta e noi stessi ci alziamo in volo, certi del nostro cambiamento positivo, l’energia più bella che l’uomo possa sperimentare.
Dal nostro cuore deve esplodere la gioia di sentirci finalmente bene, a posto con noi stessi, riconciliati con le nostre ombre e le nostre mancanze e la comunione più bella e autentica che possiamo sperimentare è quella di chi non è solo felice per noi, ma è felice con noi, proprio come tutte le anime del Purgatorio che gridano insieme e gioiscono con il poeta Stazio – è lui l’anima monda del XXI canto! – per la sua ascesa al regno dei beati!