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LA PAROLA DATA
IL VISIBILE E L’INVISIBILE DELLA LEGGE

Guardare alle epoche remote della storia ci permette di scoprire in che modo gli esseri umani hanno pensato le loro istituzioni e il loro dimorare nel mondo. Leggere i codici più antichi, poi, ci mette in contatto con ciò che le prime società hanno ritenuto necessario scrivere e rendere a tutti visibile. Per questo diventa così interessante confrontare tra loro i grandi testi legislativi, comprendere il significato delle differenze e imparare noi, oggi, a fare la differenza.
Così, risulta quasi inevitabile accostare il grande codice di Hammurabi al più conosciuto di tutti i codici: quello delle Tavole della Legge, la cui consegna a Mosè è raccontata nel libro dell’Esodo e poi, una seconda volta, nel libro del Deuteronomio (che significa proprio questo, in greco: la seconda legge). Lo facciamo, però, non senza notare la differenza sostanziale tra questi due codici; la intuisce per prima Lora: le leggi di Hammurabi, dice, non sono più seguite da nessuno, mentre un cristiano o un ebreo ancora oggi fa riferimento alla legge di Mosè.
Entriamo sempre in punta di piedi nell’ambito della religione anche perché, nel nostro gruppo, tutti abbiamo posizioni diverse: cattolici, ortodossi, musulmani e molti ragazzi che non seguono nessuna religione. Ci piace molto sentire dai ragazzi che due persone di fede diversa possono comunque parlare insieme: l’importante è il rispetto reciproco, dice Matilde, e la disponibilità a mettersi nei panni dell’altro, suggerisce Viola. Resta il fatto, però, che la Bibbia è anche un testo, oltre a essere un testo sacro; non solo, è il testo più letto e tradotto della storia: perché non leggerlo così, semplicemente come una collezione di racconti? Usiamo per questo una recente edizione della Bibbia pubblicata da Einaudi, per la quale molti grandi studiosi, partendo dai testi antichi in aramaico o in greco, hanno lavorato con grande serietà.
Incominciamo dalle somiglianze: i dieci comandamenti, proprio come il codice di Hammurabi, sono scritti su pietra. Le tavole della legge, tuttavia, non le abbiamo più tra noi, non possiamo vederle: dobbiamo fidarci di un racconto. È tipico di questo testo, la Bibbia, che per la maggior parte è proprio una collezione di racconti, attraverso i quali Dio parla al suo popolo; torniamo in un ambito a cui siamo abituati, noi dell’Accademia, che dai miti, dalle storie e dai romanzi riusciamo sempre a trarre dei pensieri per vivere il nostro presente. “Bibbia”, in greco, è proprio il plurale di ‘libro’: più che di fronte a un testo, siamo di fronte a una biblioteca. Ciascun libro della Bibbia ha il suo nome da cui, talvolta, si riesce a intuire il contenuto. Proprio così è per il libro dell’Esodo e il libro del Deuteronomio, nei quali è raccontata la consegna della legge con delle differenze: mentre per l’Esodo la legge è data sul monte Sinai, la narrazione del Deuteronomio si inserisce prima dell’ingresso nella Terra della Promessa, nella pianura di Moab. Il contesto è però il medesimo: Israele era schiavo dell’Egitto e Dio ha suscitato in mezzo al popolo un condottiero, Mosè (dal nome curiosamente egiziano) per liberarlo. In questo cammino di liberazione Dio fa dei segni molto grandi, ma, sebbene aiuti sempre il suo popolo, lo invita anche a un percorso molto impegnativo: ben quarant’anni nel deserto. Non è una punizione, però; piuttosto, è come insegnare a un bambino a camminare: bisogna fargli fare una strada lunga. La libertà (questo è forse il messaggio più grande della vicenda) non è una passeggiata: la libertà è più bella della schiavitù, ma è molto più difficile. Un midraš antico dice proprio così: Dio ci mise una notte a fare uscire Israele dall’Egitto, ma ci mise quarant’anni a fare uscire l’Egitto dal cuore di Israele.
Le somiglianze tra il codice di Hammurabi e le tavole della legge, dunque, si fermano qui: sono molto più vistose le differenze. Chiara nota subito che il primo era molto più complesso e articolato, Mattia intuisce che il decalogo si limita a dire cosa non fare, ma non ha quelle descrizioni dettagliate che aveva il codice di Hammurabi. Si deve però ricordare, suggerisce Lora, che tutti i testi sono legati: forse non avremmo il decalogo se non avessimo avuto, secoli prima, il codice di Hammurabi.
Proviamo a proporre loro un paragone: come il codice babilonese recava, nella parte superiore, un bassorilievo in cui era raffigurato il dio intento a dare al re il compito della giustizia, il decalogo è immagine della fonte della legge. Le leggi vere e proprie, infatti, nella Bibbia ci sono, ma occupano soprattutto due grandi libri: il libro dei Numeri e il Levitico. Lì si trovano centinaia di norme, dettagliatissime. Ma, proprio come le leggi di Hammurabi avevano bisogno di una legittimazione (rappresentata nel bassorilievo), così il decalogo dà voce non tanto alla legge, quanto allo spirito della legge. Non c’è legge, infatti, senza lo spirito della legge, ossia quel principio in qualche modo originario e assoluto a partire dal quale le diverse norme possono essere scritte.
Un esempio ci aiuta a spiegarci meglio. In Piccioletta Barca abbiamo una piccola ‘legge’: per provvedere alla pulizia, ogni mese, ciascuno dei ragazzi deve versare un euro, che verrà usato per pagare una persona che viene a sistemare la nostra sede. C’è uno spirito, dietro a questa richiesta: che la Piccioletta Barca è casa nostra e che è bello trovarla sistemata e pulita; avremmo potuto scegliere di fare noi stessi le pulizie (all’inizio funzionava proprio così), ma è troppo difficile coinvolgere tutti; così, da quando un esterno fa il lavoro per noi, abbiamo voluto tenere lo spirito di una cura condivisa. Tuttavia, di fronte a questa regola, possono accadere diverse cose. Anzitutto qualcuno potrebbe non contribuire, perché in fondo c’è solamente un piccolo salvadanaio; qualcuno potrebbe persino portare via delle monete. Qualcun altro potrebbe dare il suo euro (in fondo è una cifra irrisoria), ma non comprendere per nulla lo spirito della legge e, per esempio, attaccare una gomma da masticare sotto un tavolo. In quel caso, avrebbe adempiuto alla legge, ma ne avrebbe tradito lo spirito.
Lo spirito della legge, insomma, non si vede. Forse non è un caso che le due tavole, per Israele, non si vedessero mai, a differenza della stele che era piantata nel mezzo di Babilonia. Erano nell’arca dell’Alleanza, una sorta di scrigno che le conservava, ma le nascondeva anche alla vista di tutti. Erano scritte, come ogni legge, ma invisibili, come lo spirito della legge.
Proprio su questo tema del visibile e dell’invisibile si gioca il racconto biblico. Con una piccola differenza: nel libro dell’Esodo si racconta che Dio, nel dare le tavole a Mosè sul monte, domandò esplicitamente al popolo di non salire, perché «chi vede Dio, muore». Nel Deuteronomio, invece, Dio invita il popolo intero a raggiungerlo, ma sono gli israeliti a rifiutare per paura e a mandare il solo Mosè.
In entrambi i racconti, notiamo, c’è qualcosa di totalmente nuovo. Nel codice di Hammurabi solo il Re incontrava Dio; nella Bibbia, invece, viene messo a tema il rapporto diretto di ciascuno con Dio e con lo spirito della legge. Mosè stesso non è un re e non è nemmeno un mediatore. Questa novità non è da poco: se per i Babilonesi lo spirito invisibile di una legge visibile era rivolto solo ad Hammurabi, nel racconto biblico nessuno può sottrarsi al rapporto con colui che questo spirito ispira. Non a caso, mentre per Hammurabi il primo articolo dice essenzialmente di non mentire al re, nel decalogo il primo comandamento impone di credere in Dio. Questa nuova vicinanza tra ciascun cittadino e lo spirito della legge cambia davvero tutto: la legge non diventa più un’imposizione, ma incomincia a incidersi, per così dire, dentro a ciascuno. Non a caso molti profeti, nella Bibbia, parleranno di una legge che è scritta nei cuori e non sulla pietra.
Da subito capiamo che questa novità complica le cose. L’Esodo, infatti, racconta che Mosè, scendendo dal monte per consegnare le tavole al popolo, lo trova intento a adorare un idolo: un vitello tutto d’oro. Così, Mosè rompe le tavole, nel segno di un’alleanza spezzata.
Un midraš racconta così l’episodio: Mosè, scendendo dal monte con le due tavole sulle spalle, non ne sentiva l’immenso peso, perché le parole scritte da Dio erano come delle ali, capaci di alleviare la fatica del cammino. Quando si trovano di fronte al tradimento del popolo, però le parole stesse, inorridite e spaventate, volano via: allora il povero Mosè è schiacciato dalla pietra e, non resistendo alla fatica, fa cadere le tavole che si spezzano. È una bellissima immagine di ciò che noi tutti percepiamo: quando lo spirito della legge ci è chiaro, allora non facciamo fatica a seguire le norme; è solo quando ci sfugge che le regole ci schiacciano e diventano insopportabili. Che la legge sia uno strumento per vivere insieme o un peso insostenibile, dipende totalmente da noi e dal rapporto che abbiamo con lo spirito che la ispira. Proprio come in un’altra storiella ebraica: narra di una piccola colomba creata da Dio, che, spaventata dai predatori, riceve in dono dal creatore una bellissima coppia di ali. Tuttavia, la colomba non comprende il loro scopo e le considera un peso ulteriore. Dio, vedendola immobile, la incoraggia, spiegandole che le ali non sono solo un peso, ma il mezzo per sollevarsi e librarsi in alto.