
“CARO LINDER…”: I LIBRI DIETRO LE QUINTE

DIALOGANDO DI GIUSTIZIA E VENDETTA
MAD…LA “FOLLIA” DELLA SCUOLA

Non è mai semplice e neanche buono e giusto parlare di scuola guardandola dal di fuori: la scuola, che dovrebbe essere perno e cuore pulsante di una società intelligente e lungimirante, da tempo non gode in Italia di ottima salute e con orrore si sente ancora parlare di tagli agli organici… Con questo racconto, non intendo giudicare la scuola: io amo la scuola e farei di tutto per vederla tornare vigorosa e sapiente; voterei con slancio entusiasta qualsiasi partito ponesse la scuola al centro del suo programma elettorale; soffro di scuola, con la scuola e per la scuola! E ai bambini e ai ragazzi che vanno a scuola dedico la mia vita da decenni.
Tempo fa ho incontrato un vecchio amico che nel mondo della scuola è appena entrato, in età adulta, dalla porta di servizio. Mi ha raccontato la sua esperienza e l’ho inondato di domande che mi sono sgorgate dal cuore come un torrente in piena.
Racconto questa storia qui di seguito, con lo spirito di chi continuerà sempre a fare il tifo e a lavorare per una scuola pubblica bella e intelligente che traini il paese a un rinnovamento e a una crescita sana, equa e autenticamente colta in ogni suo ambito: se va bene la scuola oggi, andrà bene il mondo domani!
Partiamo dall’antefatto.
Era l’inverno di un anno fa, 2023–2024, quando, stanco del mio lungo lavoro da economista in studi di avvocati e commercialisti, dopo lunga pausa di riflessione, ho pensato di coronare un antico sogno e dedicarmi all’insegnamento ai più piccoli. Così è cominciata la mia avventura… Il primo pensiero, non avendo un titolo di studio specifico, ma una buona laurea, è andato alla supplenza nelle scuole, e un lungo buon tempo l’ho trascorso scervellandomi per scoprire come compilare una MAD (acronimo di Messa A Disposizione, ma trovo pertinente il significato che la parola ha in inglese, “pazzo o pazza”). Ho anche provato a partecipare a un bando del PNRR per un progetto volto a contenere l’abbandono scolastico, classificandomi quinto su cinque candidature. Non ho mai capito in base a quale criterio siano stati variamente distribuiti venticinque incarichi; 25 è un numero agevolmente divisibile per 5, e invece no, è stato diviso sulle prime quattro candidate, con resto zero, per me. Osservo che la mia domanda è la prima che la scuola ha ricevuto, un giorno prima della scadenza, e anche l’unica ma, all’ultimo istante utile, la scuola ha ricevuto altre quattro candidature, balzate in testa alla graduatoria per i punteggi, e una sesta dopo la scadenza, pertanto fuori graduatoria. Delle cinquanta domande di supplenza (MAD) inviate alle scuole, oltre al messaggio di sistema che ne confermava l’acquisizione, non ho mai più avuto notizia.
Stavo rinunciando a malincuore, quando, del tutto inaspettatamente, ricevo una telefonata da una vecchia amica che conosceva la mia situazione e il mio stato d’animo, la quale, anzi, aveva avuto una certa parte nel fare crescere in me l’idea che fosse tempo che la mia strada intersecasse l’insegnamento e la scuola. La telefonata, alquanto balzana, mi dice che un’amica insegnante le ha chiesto aiuto perché nella sua scuola elementare c’è estremo, urgentissimo bisogno di un insegnante… lunedì: «Ma oggi è giovedì, giovedì 1 febbraio e sono le diciotto e trenta: come può avvenire tutto questo?» Racconto, a partire da questo antefatto, la mia nuova avventura, e lo faccio rispondendo alle tante domande che in tanti, oltre a Beatrice, increduli, mi hanno posto. Questo mi permetterà di seguire un filo logico, più logico forse del vorticare dei pensieri nella mia testa.
Il mondo delle MAD: come ne sei venuto a conoscenza e come gli ti sei accostato?
È facile venire a conoscenza del mondo delle MAD, per sentito dire o con la più semplice ricerca su web. Sempre per sentito dire, c’è gran bisogno di personale nelle scuole. Con sufficiente motivazione, ci si può districare fra siti, che non corrispondono ai plessi né ai nomi “popolarmente” noti delle scuole, tipologia di MAD offerta fra decine di variabili, qualificate da titoli, specialità, esperienze, abilitazioni secondo codifiche che variano in diverse ere legislative, mischiandosi e sovrapponendosi.
Faccenda di lana caprina. Forse sarebbe meglio se le candidature alle scuole pervenissero con CV, e ci fossero colloqui di selezione così come accade nella maggior parte delle attività lavorative. Sembra che il sistemone di pubblico accesso per candidarsi alle supplenze scolastiche non sia né facile né utile. Gli archivi (database) delle scuole che ricevono e protocollano la MAD potrebbero essere inondate di “record” ossia profili che possono elettronicamente essere filtrati per “campi” che rimandano la selezione a criteri che non conosco. Ma di svariate decine di MAD inoltrate per un paio di mesi, non ho mai avuto altro riscontro che un numero di protocollo. Ho la certezza che cercando informazioni su come inviare una MAD, la prima cosa che si trova sul web è una grande offerta di intermediari, che, a pagamento, compilano al tuo posto la MAD prendendo di mira quasi in un click comuni, province, regioni, a tariffa debita e sconto per quantità. Ed ecco che gli archivi delle scuole vengono bombardati dalle candidature più improbabili. Il servizio offerto non è di per sé banale: dopo averci passato del tempo, con ferma risoluzione a venirne a capo, e aver più o meno capito come funziona la messa a disposizione spontanea, ho pensato anche io di offrire consulenza in materia.
E quindi come sei entrato a scuola da MAD, se non attraverso questo kafkiano percorso?
Dopo che l’amica, pregata dalla sua amica, mi ha sottoposto la cosa, ho inviato incredulo il mio cv alla scuola indicata e sono stato convocato subito, il venerdì all’alba per un colloquio conoscitivo. Poi più nulla per l’intera giornata, né certamente nel week end. Di nuovo avevo deposto il cuore, fino a quando il lunedì, ore 10, la voce di una segretaria mi ha detto: «si presenti per favore». Non so cosa quella amica avesse detto di me, lei stessa conosceva la scuola solo obliquamente, attraverso la sua amica. “Raccomandare” è parola decaduta nello spregio perché banalmente abusata; molto diverso è dare segnalazione di affidabilità e competenza che significa “offrire referenze”; immagino che l’amica della mia amica, fidandosi di lei piuttosto che di me, mi abbia segnalato come una risorsa riconosciuta abile e affidabile là dove era utile.
Da tanti anni eri lontano dalla scuola elementare, come alunno e come papà. Che differenze vedi fra i tre momenti storici e i tre modi di vivere la scuola?
Ordine, complessità, caos. Che potrebbero anche essere le fasi della vita. Finché sei piccino te la raccontano abbastanza facile, se sei fortunato come me, non è difficile stare nell’ordine. La mia generazione è quella che ha coniugato il verbo dovere. In classe eravamo in trentacinque, la Maestra Rosa era grande, occhi dolci e ciglio espressivo. Non ho memoria di un solo vaffanculo fra bimbi e tanto meno alla maestra. C’erano, ora come allora, i più vivaci, quelli di temperamento più fisico, quelli più svelti nell’apprendimento, chi nella piccola pratica (pacchetti da regalo…), chi più lento e con maggior bisogno di attenzione. La Rosa era grande ma era una e non avrebbe potuto prendersi cura in sicurezza di tutti i suoi bimbi, facendo spiegazioni e compiti, se questi non fossero almeno stati seduti in silenzio.
Torno brevemente a me. Credo sia importante riferire che nella mia vita non c’è stata una TV fin quasi a trent’anni. In quarta elementare avevo letto tutto Salgari, a undici Hemingway, Steinbeck e qualsiasi altro libro trovassi in salotto. I miei genitori mi hanno letto favole e alcuni libri quando ero piccolo, e spesso mi regalavano libri per ragazzi, anche bellissimi fumetti (Asterix!).
Alle elementari, almeno nel triennio, avevo non più di due libri, che si potevano leggere in ordine logico. La maestra spiegava, faceva leggere e chiariva, c’era un quaderno a righe e uno a quadretti, e sì, ecco una cosa che forse i bimbi di tre generazioni hanno in comune: i grandi astucci colorati pieni di ogni cosa.
In realtà, come dicevo all’inizio, i bimbi sono bimbi ora come allora. Ma oggi devono confrontarsi con una quantità di impegni in un tempo strutturato come fossero manager, e un bombardamento di stimoli che richiederebbero secoli per essere processati. È difficile aiutarli a orientarsi… gli stessi libri di testo — tanti, coloratissimi, riproduzioni fedeli di pagine web che, in tre righe, offrono decine di diverse opzioni — non sono di grande aiuto in un percorso che dovrebbe tendere all’organizzazione e strutturazione delle abilità cognitive, e di fatto produce caos e disintegrazione.
In aggiunta, oggi c’è la scuola inclusiva, quella per cui anziché consentire un percorso più lento e adeguato per alcuni, li si manda tutti insieme avanti, poi alle medie si arrangeranno. Si pratica una distorsiva forma di uguaglianza, pretendendo ipocritamente di trattare tutti allo stesso modo, anziché ciascuno secondo il suo bisogno.
Anzi no, o meglio quasi. Perché l’inclusività poggia sulle classificazioni. C’è un gran lavoro burocratico da fare ma alla fine quasi un terzo degli allievi è classificato secondo criteri psicodiagnostici e tanto la didattica quanto l’educazione comportamentale dovrebbero essere predisposte ad hoc. Dico dovrebbero, perché non è ovviamente possibile.
L’infanzia è diventata materia da neuropsichiatri? Eppure, fra un neonato di sessanta, dieci o diecimila anni fa non vi è praticamente differenza. Al massimo livello evolutivo possibile, per quanto sentiamo dire, i cuccioli d’uomo sono mai stati così fragili e inadatti alla vita?
Non ricordo benissimo cosa succedesse nella scuola primaria con mia figlia trent’anni dopo, ma certo non ricordo che ci fossero risse fra ragazzini di nove anni con lancio di trolley e minacce di morte. Una parentesi su quest’arma non convenzionale che entra nelle nostre scuole ogni mattina: il trolley.
A cosa serve? Cosa c’è dentro? Vedo solo io che dimensioni e peso non passerebbero il check-in di un imbarco aereo? I bimbi saranno otto ore in un edificio coperto e riscaldato, con servizi igienici, mensa e personale pronto ad assistere. I libri stazionano a scuola e non si muovono mai tutti insieme. L’uscita prevede una scala, lungo la quale i trolley sopportano quotidiano stress test, sbattuti da uno a più gradini. A volte, sogno che si ribellino spatasciandosi e spargendo tutto quel che c’è dentro.
Mia figlia ha avuto accesso alla TV limitatamente ai cartoni o film presenti in casa, e per un tempo giornaliero limitato, fino alle scuole medie, e idem per quanto riguarda internet e accessori.
Non è stata subito appassionata alla lettura, ma poi pian piano ha trovato il genere che le piaceva. Ho rivisto un suo quaderno di terza elementare, un anno più giovane dei miei bimbi, dove scriveva temi, riassunti, storie inventate, e quasi tutto era perfetto, con una scrittura bella, fluida, ordinata. Ma soprattutto c’era un pensiero, anzi più pensieri collegati insieme nella logica e nel tempo.
(continua…)