
SONO UN MARINAIO IN VIAGGIO CON CRISTOFORO COLOMBO

CARO AMICO, TI SCRIVO
DI FRONTE ALLA LEGGE — parte 2

Sono tantissime le riflessioni da fare… La prima: Sofocle, che di Antigone è l’unico vero padre, cosa ha voluto trasmettere con questi suoi versi sublimi? Per avvicinarci a una risposta plausibile, è necessario leggere il contesto creativo: siamo nella grande Atene di Pericle, dove la tematica della coesistenza di una legge scritta e di una legge naturale, consuetudinaria, non scritta (ἄγραφα νόμινα) era molto dibattuta in teatro, ma anche nelle opere storiche e nelle orazioni. Le leggi non scritte potevano trovare garanzia tanto nell’Olimpo, quanto nella coscienza comune o, ancora, nelle tradizioni avite, anche di carattere squisitamente locale.
Il diritto alla sepoltura certamente fa parte di un diritto superiore, più forte di qualsiasi legislazione umana, ma negli anni Quaranta vigeva da tempo il divieto di sepoltura per i traditori della patria.
Antigone, opponendosi a questa legge, compie un atto di pietas, obbedisce a un imperativo interiore e certamente richiama all’attenzione il valore della legge universale e non scritta. L’opposizione, calata nel suo giusto contesto, è quindi fra la vecchia società aristocratica — dove la legge è patrimonio del ghenos, del nucleo familiare e non è scritta — e la nuova società democratica, frutto della evoluzione economica e militare, testimone dell’affermarsi di una classe media che alla scrittura della legge affida l’equità della giustizia.
Sofocle, che in quel momento era attivo in politica con una posizione moderata, schierandosi dalla parte di Antigone, rivolge un appello al rispetto delle antiche tradizioni e sottolinea come le leggi scritte della polis democratica non siano di per sé garanzia di una giustizia interiorizzata e condivisa da tutti i cittadini. Antigone, dunque, lungi dall’essere una eroina moderna e rivoluzionaria, sarebbe in realtà paladina di un passato e di una classe aristocratica ormai decadente, dove i legami di famiglia – e in particolare quelli fra fratelli – erano il cuore pulsante e il valore fondante della società. C’è un passo che, in questo senso, tradisce Antigone, un passo che dispiacque tanto a Goethe da fargliene rimpiangere l’attribuzione a Sofocle. In questo passo la fanciulla dichiara con candida naturalezza che mai per un marito o per un figlio avrebbe osato tanto. È chiaro che a orecchi moderni tale dichiarazione suona spietata e innaturale, eppure agli spettatori ateniesi le parole di Antigone suonavano del tutto fondate e comprensibili: «non avrei affrontato questa fatica, non avrei agito contro la città, per un figlio o per un marito. Perché dico così? Per quale legge? Se mi fosse morto un marito, avrei potuto averne un altro. O fare un figlio con un altro uomo, se avessi perso il figlio che avevo. Ma mia madre e mio padre ormai sono morti, e un altro fratello non potrebbe più nascermi. Ho seguito questa legge e ho scelto di onorare te prima di tutto, o fratello mio».
Di più, Sofocle ammonisce l’uomo ateniese ad abbandonare l’illusione di essere misura e centro della vita reale e a tornare alla consapevolezza che c’è un mistero inscrutabile nel potere arbitrario degli dei, alla consapevolezza che Dike non è più grande di Themis e che ci sono forze che spietatamente limitano l’individuo…
Tutto questo, rifacendosi agli scritti del maestro Dario Del Corno, può verosimilmente essere lo spirito con cui Sofocle compose la sua Antigone. La quale, come già abbiamo detto, ispirò i pensieri di filosofi, poeti, storici e scrittori: di lei si occuparono già Aristotele e Platone che individuarono nell’opera il contrasto fra genos e polis, legge del sangue e legge della città, famiglia e collettività… Ma Antigone dalla sua grotta buia e fredda alle porte di Atene volò lontano dalla Grecia e vola tutt’oggi in lungo e in largo a offrire materia di riflessione.
È nel Novecento che l’interesse per il mito di Antigone si è fatto via via più acuto, proprio in virtù dell’opposizione che esso incarna fra potere imposto e legittimità della ribellione a tale potere: il Novecento è il secolo dei totalitarismi e delle rivolte sociali: è la Germania, non a caso, il paese dove l’eroina greca trova maggiore ospitalità, anche in virtù della fondamentale lettura che ne aveva fatto Hegel – tragedia superba la definì – nei primi anni del XIX secolo, individuando, sulla scia di Aristotele, nello scontro fra il re e la fanciulla l’opposizione insanabile di due categorie ugualmente grandi e legittime: lo stato e la famiglia.
Antigone perde le sue fattezze aristocratiche e incarna i più alti ideali democratici.
Fra le tante riletture, citiamo quella di Walter Hasenclever, la prima Antigone politica del XX secolo, composta in trincea durante la Prima guerra mondiale, come denuncia della follia di tutte le guerre e grido pacifista nel mezzo dell’orrore: Antigone come martire della violenza politica di ogni genere.
Più celebre, l’Antigone di Bertolt Brecht del 1948, autore che l’anno scorso i ragazzi hanno ascoltato raccontare la vita di Galileo. L’opera di Brecht muta l’antefatto: Eteocle e Polinice combattono uno a fianco all’altro al soldo del dittatore Creonte, che attacca Argo per impadronirsi delle sue miniere. Eteocle muore combattendo, Polinice fugge all’orrore e viene freddato da Creonte che incarna chiaramente il dittatore. La scena si apre con le due sorelle che escono da un rifugio antiaereo per rinchiudersi nella loro casa: da molti autori la tragedia di Antigone fu vista come profezia di un tempo di guerra in seguito al quale milioni di cadaveri sarebbero rimasti insepolti e milioni di persone costrette a vivere rinchiuse in rifugi, come in tombe. Un richiamo al mito di Antigone è ancora nel film tedesco Sophie Scholl, ispirato alla coraggiosa protesta dei ragazzi della Rosa bianca nel 1942.
Se in queste, e in altre simili, rivisitazioni, Antigone incarna la positiva e coraggiosa ribellione all’ingiustizia, non è mancato un filone diverso di interpretazione, dove l’eroe positivo è Creonte: serio e giusto, egli promulga leggi chiare, valide per tutti, oggettive, e Antigone gli si oppone dando voce a un sentire individuale, spontaneistico, che risponde a legami personali e a valori antiquati. La resistenza di Antigone, in questa linea interpretativa – che vede in Erasmo da Rotterdam uno dei protagonisti più illustri – è inutile sfoggio di coraggio, pura follia, dannosa utopia.
Antigone interpreta qui “il tipo” della vergine folle, di cui la ragazza iraniana Ahoo Daryanei, recentemente rinchiusa nella “Clinica per il trattamento della rimozione dell’hijab”, incarna l’ultima espressione.
Da lei eravamo partiti…