
L’ARMONICA DEL SOLDATO

LE PAROLE SONO IMPORTANTI
“REUNION”, PIU’ FORTE DELLA MORTE È L’AMICIZIA

Riprendiamo con Hitler a capo del NSDAP nella famosa birreria Burgerbraukeller di Monaco di Baviera e Viola ci racconta del famoso putsch dell’8 novembre del 1923, il tentativo di colpo di stato il cui fallimento significò la messa al bando del partito e la carcerazione del suo leader, ma tanta, tanta visibilità per lui. Il tempo della prigionia, Hitler lo occupò dedicandosi alla sistematizzazione e alla scrittura del suo bellicoso pensiero che sfociò nell’opera Mein Kampf, la mia battaglia. Dal carcere, Hitler esce rinvigorito. La Germania intanto ha rialzato pian piano la testa: grazie al Patto di Locarno e al massiccio intervento degli Stati Uniti sul finire del ’25, i Tedeschi ritrovano il loro ruolo e la loro dignità, ma poi arriva il crollo di Wall Street e tutto precipita di nuovo nel caos: la fragile Repubblica di Weimar, odiata da comunisti e nazionalsocialisti, così come dai grandi industriali, non ce la fa e la Germania è di nuovo a terra. In queste condizioni di annichilimento, come sempre, c’è più spazio per chi grida, e i partiti estremisti, di destra e sinistra, si impongono con facilità fra le masse allo sbando. Se nelle elezioni del ’28, il NSDAP aveva ottenuto il 2% dei voti, nel ‘30 sale al 19% e nel ‘32 è il primo partito! Certo si tratta di un voto di protesta, nato dalla disperazione e dalla rabbia e da un contesto deteriorato. Il presidente Hindenburg non apprezza Hitler, ma se ne serve in funzione antibolscevica, sicuro di potersene poi sbarazzare: il 30 gennaio del 1933 lo nomina Cancelliere.
Più legale di così… Lo abbiamo già scritto in riferimento al nostro paese, in Germania è lo stesso: Mussolini e Hitler prendono il potere in seguito a regolari (più o meno) elezioni, complice la grande ingenuità degli uomini dei rispettivi governi e una loro imbarazzante miopia (come torna alla mente lo sguardo strabico del Cattivo governo di Siena…). Ma l’audacia, la spregiudicatezza, la furbizia di questi due individui non hanno confini, tanto che Hitler forma un primo governo di coalizione con solo due nazionalsocialisti oltre a lui. Un mesetto dopo, misteriosamente e clamorosamente va a fuoco il Reichstag e la furia di Hitler si scatena: il 5 marzo del ‘33 si svolgono le ultime elezioni della Repubblica di Weimar: il NSDAP è il primo partito in trentatré delle trentacinque circoscrizioni. Non ce n’è più per nessuno. Hitler ormai ha pieni poteri, emenda la costituzione e adotta misure straordinarie: dal partito unico al ripristino della pena di morte, all’apertura del primo campo di concentramento, Dachau, per gli oppositori politici. Nel ‘34, Hindenburg gli fa il piacere di morire: ora anche l’esercito è nelle sue mani.
Nessuno, ancora, si è occupato di Ebrei. A Dachau, i primi ospiti sono tutti tedeschi, oltre duecentomila: dopo gli avversari, “protetti dalla furia di linciaggio dei compatrioti” – così il capzioso lessico nazista giustificava il loro isolamento –, si passò alle “vite non degne di essere vissute” (tipicamente persone con disabilità) e poi agli asiozalen che rendevano brutta e sporca la società: prostitute, vagabondi, barboni. Emerge il terribile concetto di “pulizia”.
Ma ci voleva un nemico degno e ufficiale, responsabile del disastro economico e gli Ebrei, lo sappiamo bene, da secoli fornivano materiale interessante in merito. Giungiamo così alle famigerate leggi di Norimberga del 15 settembre del 1935 (due sole leggi: la Legge sulla cittadinanza del Reich, che divise la popolazione in “cittadini del Reich”, di sangue tedesco puro, e in “membri di razze esterne” e stabilì che solo i primi potessero godere dei pieni diritti politici, e la Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco, con cui vennero invece proibiti i matrimoni tra ebrei e non ebrei, e ogni relazione sentimentale tra questi venne criminalizzata), seguite, il 17 novembre del 1938, dalle tristemente note leggi razziali fasciste, con le quali Mussolini si mette a pari… Ne leggiamo alcune con i ragazzi: assurde, insensate, persino surreali quelle che elencano i lavori proibiti agli Ebrei. Primo a firmare i provvedimenti [R.D.L. 17/11/1938, n. 1728 (XVII) G.U. n. 264 del 19/11/1938. Convertito in legge il 5 gennaio 1939 n. 38] sua maestà il re.
Per la prima volta, nel corso dell’anno, ci occupiamo di leggi ingiuste: sul nostro tabellone delle parole dovremo scrivere dunque anche ingiustizia, discriminazione, errore, razza: fa effetto e mai lo avremmo detto al principio del nostro percorso.
È ora il grande momento di Tiziano che, con la sua presentazione, ci illumina circa l’infondatezza scientifica del concetto di razza. Benché, certamente, tra gli individui della specie umana, siano riscontrabili evidenti differenze fenotipiche quali il colore della pelle, il colore degli occhi, alcuni valori antropometrici (altezza e forma del cranio), è impossibile, sotto il profilo biologico, identificare un individuo sulla base di questi marcatori genetici e dunque dividere l’umanità in razze. Se in passato era comune pensare che queste differenze fossero sufficientemente significative per categorizzare le persone, per la scienza, oggi, è semplicemente scorretto parlare di razze umane. Le razze esistono nei cani e nei cavalli, per esempio, perché negli ultimi due secoli sono state prodotte artificialmente con incroci selettivi: nell’uomo questo non è accaduto e non ve ne è stato neppure il tempo evolutivo necessario.
Tiziano — che, neanche a farlo apposta, è alto, biondo con gli occhi azzurri! -, ci racconta anche degli esperimenti scientifici operati sui disabili, del tristemente famoso Castello di Hartheim, uno dei centri di sterminio durante l’Aktion T4, il programma di eutanasia nazista; ci parla del Progetto Lebensborn (Fonte di Vita), ideato, parallelamente alle sterilizzazioni di chi era ritenuto geneticamente inferiore, per sostenere la crescita demografica tedesca con la nascita di bambini della più pura razza ariana. Ci introduce, infine, la losca figura del dottor Mengele, l’angelo della morte nazista che lavorò su migliaia di Ebrei, utilizzandoli come cavie umane, in esperimenti per trovare la purezza della razza ariana.
Basta. Abbiamo bisogno ora della nostra bella letteratura per riprendere un poco fiato, contenti di avere tutte le coordinate storiche che ci permettano di godere pienamente del romanzo scelto per trattare questo cupo argomento.
Chiara, seguendo il metodo di noi grandi, introduce i personaggi e i luoghi e racconta la trama del romanzo: Hans Schwartz, un ragazzo ebreo di sedici anni, vive a Stoccarda con i genitori e frequenta il liceo. È lui la voce narrante del libro. Un giorno, arriva nella sua classe Konradin von Hohenfels, rampollo di una importante famiglia della nobiltà tedesca, altezzoso e riservato e solo Hans riesce ad attirare la sua attenzione grazie alla sua collezione di monete antiche. Nasce una profonda amicizia: Hans invita spesso a casa sua Konradin e lo introduce in famiglia; Konradin invece invita a casa sua l’amico solamente in assenza dei genitori e una sera a teatro finge addirittura di non conoscerlo, pur di non presentarlo ai suoi. Dopo questo episodio, Konradin è costretto a confessare all’amico l’ostilità della sua famiglia versogli Ebrei, nonché una certa sua ammirazione nei confronti di Hitler. L’amicizia si incrina, finché la promulgazione delle leggi di Norimberga suggerisce ai genitori di Hans di mandarlo a vivere dai suoi nonni a New York.
Anni dopo Hans, ormai laureato e protagonista di una vita serena, riceve da Stoccarda un invito a donare dei fondi per la costruzione di un monumento in memoria degli alunni del suo vecchio Gymnasium caduti durante la guerra: i nomi di tutti i morti compongono un lugubre elenco. È questa la parte più intensa del romanzo: Hans è combattuto, ha paura di trovare il nome del suo amico, ha paura di riaprire pagine di vita lontane; resiste, esita, ma alla fine scorre tutti i nomi. Konradin c’è e il suo nome compare nel gruppo di quanti furono giustiziati perché complici di un attentato contro Adolf Hitler.
Questa è la bellissima ri-unione degli amici, separati dalla follia nazista e riavvicinati dal coraggio della verità.
Sono stati scelti davvero accuratamente i passaggi del libro che le ragazze leggono ad alta voce. Certamente questo è come un tuono che squarcia la serena atmosfera della nostra Accademia fuori
Afferrai l’opuscolo con l’intenzione di stracciarlo ma, all’ultimo momento, mi trattenni. Facendomi forza, quasi tremando, lo aprii alla lettera H e lessi: “VON HOHENFELS, Konradin, implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato.”
Ma il più commovente, quello su cui ci fermiamo di più, dice:
Ho esitato un po’ prima di scrivere che avrei dato volentieri la vita per un amico, ma anche ora a trent’anni di distanza sono convinto che non si trattasse di un’esagerazione e che non solo sarei stato pronto a morire per un amico, ma l’avrei fatto quasi con gioia così come davo per scontato che fosse “dulce et decorum pro Germania mori”. Non avevo dubbi sul fatto che morire pro amico sarebbe stato lo stesso. I giovani tra i sedici e diciotto anni uniscono in sé un’innocenza soffusa di ingenuità, una radiosa purezza di corpo e di spirito e il bisogno appassionato di una devozione totale e disinteressata. Si tratta di una fase di breve durata che tuttavia, per la sua stessa intensità e unicità, costituisce una delle esperienze più preziose della vita.
Quella innocenza soffusa di ingenuità, quella radiosa purezza di corpo e spirito, quel bisogno appassionato di una devozione totale e disinteressata sono materia preziosa e fragile nelle mani di noi adulti: un ragazzo fra i sedici e i diciotto anni, ma andiamo serenamente indietro ai quattordici, agli undici persino, è argilla da maneggiare e da plasmare con passione, intelligenza e cura infinite.
Un solo gesto brusco è sufficiente a compromettere un’opera d’arte.