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I FINI DELLA SCUOLA ELEMENTARE

Premessa
Presupposto fondamentale di uno studio sull’insuccesso scolastico è una chiara visione del contesto in cui il fenomeno nasce e si manifesta. Il presente lavoro intende studiare tale fenomeno nell’ambito della scuola primaria e più precisamente nel secondo ciclo di tale scuola. È pertanto essenziale chiarire preliminarmente quali siano i fini della scuola elementare, onde potervi cogliere poi il significato del cattivo rendimento stesso. Infatti si potrà definire un certo tipo di rendimento come cattivo o negativo solo quando sia chiaro il criterio in base al quale lo si definisce tale.
Cattivo, negativo, insufficiente costituiscono termini con un valore di relazione, i quali esprimono infatti un discostarsi da una norma che si suole definire come buon rendimento o successo scolastico.
Il primo oggetto di studio sarà perciò la finalità della scuola elementare vedremo cioè quali sono le mete alle quali questa scuola si propone di fare pervenire i suoi allievi.
L’educazione e la società
Prima di esaminare i programmi del 1955, che attualmente [a.s.1969–1970 ndr] stanno alla base della scuola elementare, è utile considerare brevemente il rapporto intercorrente fra la scuola e la società. Infatti “l’educazione scolastica e i programmi che ne esprimono caratteri e tendenze sono condizionati dalla situazione economica politica e sociale di ciascun paese, come pure dalla cultura, dalla tradizione, dagli ideali nazionali” (R. Dottrens, La scuola primaria nel mondo, Armando 1964). La situazione della società contemporanea presenta caratteristiche salienti di instabilità e di rapida evoluzione che rendono il compito dell’educazione quanto mai arduo. Il Dottrens acutamente analizza la situazione, affermando che nell’attuale stadio dell’evoluzione dell’umanità, la rapidità dei cambiamenti in tutti i campi è la causa della crisi mondiale che tocca profondamente tanto le esigenze individuali e le collettività,quanto l’educazione, sia questa familiare o scolastica.
Nei periodi precedenti, caratterizzati da una relativa stabilità, si poté stabilire una certa corrispondenza tra le diverse esigenze sociali e la scuola, poiché questa riusciva, bene o male, benché sempre in ritardo, a preparare le giovani generazioni a quello che la società adulta si attendeva nel momento della loro inserzione nella vita attiva. Oggi, l’educazione riesce a ciò sempre meno, per la sua resistenza a evolversi (l’educazione è forza di conservazione) e per la complessità dei problemi che le si pongono, facendola esitare sulla strada per cui incamminarsi, onde raggiungere i nuovi obiettivi che l’evoluzione sociale le attribuisce. Nessuna riforma scolastica potrà rispondere al proprio obiettivo se non si prendonotutti i provvedimenti, se non si fanno tutte le ricerche per valutare la natura dei bisogni futuri dei quali l’attuale educazione deve tenere conto per mettere in opera i necessari mezzi di ordine materiale e umano.
La scuola elementare in Italia
Per l’ordinamento scolastico italiano è fondamentale la legge Casati del 1859 che stabiliva per la prima volta la ripartizione degli alunni per classi; la successiva legge Coppino, del 1867, portava a cinque anni il corso elementare e numerava progressivamente le classi, dalla prima alla quinta.
La legge Orlando del 1904 riduceva la scuola elementare a quattro classi e la completava con altre due classi, dette popolari, la quinta e la sesta, destinate ai ragazzi che non intendevano continuare gli studi dopo le elementari. Per frequentare le scuole superiori si doveva sostenere un esame di maturità dopo la quarta.
Nel 1923, la scuola elementare fu nuovamente estesa a cinque classi ad opera del ministro Gentile. Dopo la quinta, si poteva accedere direttamente ai corsi di avviamento professionale, affidati ad un maestro elementare, o, dopo un esame di ammissione, alle diverse scuole secondarie.
Dopo la legge Casati, la scuola elementare si divideva in due corsi, uno inferiore (1–2) e uno superiore (3- 4–5). In molte località vi era unicamente il corso inferiore, che si concludeva con un esame e con il rilascio di un certificato di proscioglimento dall’obbligo scolastico.
Attualmente la scuola elementare è ordinata dai programmi del 1955, i quali, per quanto riguarda il fine, hanno un carattere normativo, cioè prescrivono il grado di preparazione che l’alunno deve raggiungere, mentre, per quanto riguarda la via da seguire o metodo, non hanno il medesimo carattere normativo. I programmi poi riferiscono prescrizioni e avvertenze al processo della ricerca pedagogica e didattica e all’atto vivo dell’insegnamento; hanno una decisa impostazione psicologica, tendente a far aderire l’ordinamento didattico alla psicologia delle varie fasi dell’età dell’obbligo; segnano un sensibile spostamento di accento dalla didattica dell’insegnare alla didattica dell’apprendere, diretta a promuovere un sano attivismo nonché un sensibile alleggerimento dell’aspetto informativo contro la tendenza al nozionismo, e un’accentuazione dell’aspetto formativo, così da favorire una maggiore disponibilità del maestro per l’azione educativa.
Nella prima parte della premessa, troviamo la enunciazione di un fine educativo a cui lo stesso fine della scuola primaria è ordinato. Questo superiore fine educativo, sul quale si allinea il fine scolastico, è visto secondo due aspetti soltanto teoricamente distinguibili, ma di fatto strettamente correlati: l’aspetto individuale, ossia la formazione basilare della intelligenza e del carattere; l’aspetto sociale, in quanto tale funzione è condizione per una effettiva e consapevole partecipazione alla vita della società dello Stato.
La premessa poi qualifica ulteriormente tale formazione riportandola a un duplice senso della elementarità della scuola primaria, chiarendo che essa consiste nel “fornire gli elementi della cultura” e nell’ “educare le capacità fondamentali dell’uomo”.
Gli “elementi di cultura” sono quelli espressi nelle indicazioni dei contenuti relativi alle materie (educazione morale e civica, italiano, storia, geografia, scienze, matematica, lavoro, educazione fisica, insegnamenti artistici, religione), mentre le “capacità fondamentali” sono espresse nelle indicazioni degli abiti operativi considerati nel loro rendimento: capacità di osservare, di riflettere, di esprimere, di leggere, di scrivere, di calcolare, ecc.. Informazione e formazione, dunque.
Il fine educativo non può essere che legato non tanto a questa oquella materia di studio, a questa o quella attività, quanto a tutta l’opera educativa della scuola.
Il fine scolastico culturale invece consiste in precise conoscenze e altrettanto precise abilità alle quali l’alunno deve pervenire. I programmi fissano queste ultime mete per lo più come mete di ciclo.
Troviamo poi espressa, sempre nella premessa, la ragione d’essere della struttura per cicli là dove si dice: “tali cicli rispettano per la loro durata le fasi di sviluppo dell’alunno e rendono meglio possibile un insegnamento individualizzato in relazione alle capacità di ciascuno, cosicché in un periodo di tempo a più largo respiro ogni alunno possa giungere, maturando secondo le proprie possibilità, al comune traguardo.”
Da questa affermazione, si ricava il principio della individualizzazione e, per l’insegnante, si afferma la necessità di fissare mete intermedie (annuali, trimestrali, mensili). Tali mete intermedie non sono e non possono essere indicate dai programmi: è quindi impegno dell’insegnante, sulla base della conoscenza dei propri alunni, formulare un proprio piano di lavoro.