
MALATI DI GUERRA

UNA LETTERA DALL’INFERNO
Un musicista non fa alcuna fatica a riconoscere nel suo lavoro l’intreccio formidabile di creatività e legge. Le leggi non sono mai un ostacolo alla fantasia: questa importante che la musica ci suggerisce è una metafora di quanto dovrebbe accadere nella vita di tutti gli uomini, fra i quali invece l’obbedienza e il rispetto della legge sembrano spesso sinonimo di noia e scarsa autonomia.
Ai giorni nostri, avendo a disposizione musiche estremamente eterogenee per provenienza, stile e formazione, l’idea che un’opera musicale abbia una precisa struttura è un qualcosa a cui ci siamo ampiamente abituati. La maggior parte dei brani pop che possiamo ascoltare quotidianamente contiene quegli elementi strutturali, come strofa, bridge e ritornello che, anche se sperabilmente impiegati in maniera sempre nuova e originale, creano immediatamente un senso di familiarità e comfort all’ascolto. Ciò in parte accade anche nella musica classica, dove diverse forme sono state consolidate e categorizzate in un percorso ormai pluricentenario. Così è anche per moltissimi altri generi e stili musicali, dove elementi formali comuni a gran parte del repertorio costituiscono una parte strutturale del genere stesso.
https://www.youtube.com/shorts/yU9-1Ti7HqU
Anche se naturalmente un’idea così precisa di struttura non è presente che da pochi secoli rispetto alle origini della musica nella nostra specie, possiamo comunque affermare che il concetto di base esistesse già anche nelle espressioni musicali primitive. La musica nasce basandosi sul ritmo, che nei secoli è andato ad affinarsi e a definirsi, ma, già di per sé, ritmo e struttura non sono concetti dissimili: il ritmo è un evento ciclico nel tempo, qualcosa che per essere definito necessita della ripetizione, di elementi che si susseguono e ritornano su loro stessi. Quindi, una sorta di proto-struttura.
Con l’avanzare della ricerca musicale, non solo ritmica ma anche armonica e melodica, abbiamo definito una grande varietà di generi con le proprie peculiarità, e di conseguenza con le proprie strutture. Facendo un balzo avanti di qualche millennio, possiamo osservare un esempio lampante di definizione della forma nel blues, genere musicale nato soprattutto dalla popolazione afroamericana nelle zone rurali del primissimo ‘900.
Inizialmente, un cantore, accompagnandosi con la chitarra o il banjo, suonava una sequenza armonica che accompagnava delle parole, senza quantificare in maniera precisa la durata di ciascun accordo. La musica seguiva, con le sue ripetizioni, l’andamento del testo, che trattava dei più svariati argomenti. Nel tempo, questo genere ha sempre più adottato una forma standard per la durata degli accordi, sulla quale poi il testo si adattava: dodici battute, spesso precedute da un’introduzione e seguite da una coda/finale, all’interno delle quali troviamo tre accordi distinti, corrispondenti al primo, al quarto e al quinto grado della tonalità d’impianto (quindi un Blues in Mi conterrà gli accordi Mi, La, Si). Nella forma più arcaica il primo grado occupava le prime quattro misure, il quarto grado la quinta e la sesta, seguite da altre due battute di primo grado, e per finire due battute di quinto grado, una di primo, una di quinto. Osserviamo perciò come in questo caso la struttura sia composta da un’unica sezione reiterata un numero libero di volte, al cui interno però avviene una precisa suddivisione armonica. Tale struttura, data la sua enorme versatilità, è stata successivamente impiegata, rielaborandola, dal mondo del jazz. Mantenendone la scansione di dodici misure con al loro interno tre distinti “eventi”, i jazzisti ne hanno però arricchito ampiamente la griglia armonica ampliando gli accordi preesistenti con estensioni e aggiungendo cadenze di passaggio, ottenendo dal vecchio sistema un suono nuovo e originale. Esistono, già nel blues ma ampiamente adottati nel jazz, anche dei brani in tonalità minore, con meno accordi e con armonie più cupe e malinconiche.
https://www.youtube.com/shorts/wstzKe9s9J4
Se abbiamo visto una forma in cui si ripete sempre e solo la stessa struttura di dodici battute, rimanendo sempre nell’ambito della musica jazz possiamo trovare forme diffusissime con più sezioni distinte che si alternano tra loro nel creare la struttura unica che si ripeterà sempre uguale, detta “Chorus” (ritornello). È il caso delle forme canzone di trentadue misure come l’AA’ (analizzabile anche come ABAC) di brani celebri come All of me e There Will never be another you, o dell’AABA di brani come It don’t mean a thing di Duke Ellington.
Proprio su questa tipologia di struttura AABA di trentadue misure si basa una delle forme più impiegate dai jazzisti: l’Anatole, anche detto rhythm changes. Il celebre compositore George Gershwin scrisse infatti per un musical il brano I got rhythm, con una sezione A che si ripete due volte, una sezione B a spezzare e nuovamente una sezione A a terminare.
Anche se la forma AABA era già consueta, i diversi brani del repertorio jazzistico impiegavano ciascuno sul numero di misure a disposizione armonie diverse e peculiari della composizione. Nel caso dell’Anatole, invece, i musicisti hanno deciso di mantenere sempre la struttura armonica sottostante, sovrapponendo nuove melodie e usandola come base per le loro improvvisazioni. Ciascuna sezione di otto misure ha un preciso giro armonico che viene rispettato, ma le sezioni che fanno un intero ritornello non sono una sola come accade nel blues, ma due distinte A e B che si intrecciano come indicato nell’AABA.
Questa naturalmente è solo una minuscola porzione di un genere inserito fra i moltissimi presenti nel mondo di oggi. Abbiamo musiche diversissime che ci concedono una ricchezza culturale, complice la facile fruizione, mai esistita prima. Comprendere come funzionino alcuni meccanismi dei generi più ascoltati non può che arricchire la nostra consapevolezza della musica e magari portarci anche a scoprire nuovi brani con rinnovata curiosità, senza mai dover rinunciare a un ascolto emotivamente coinvolto.
https://www.youtube.com/shorts/UEoMnIBQXOM