
RENDICONTARE, CONTARE, RACCONTARE

LA PICCIOLETTA SCRIVE
VITA DI GALILEO (parte 1)

Il mito spiega il mondo narrando, la filosofia lo fa riflettendo su ciò che è universale. La terza grande forma simbolica con cui gli umani hanno pensato il mondo, la scienza, è germogliata dalla filosofia: Aristotele, che scrisse la metafisica, si occupava anche di fisica, senza mai ritenere che si trattasse di due modi differenti di pensare. Eppure, qualcosa accadde a un certo punto della storia, se è vero, come scrisse Whitehead, che «il pensiero accelerò la speculazione riguardo alla fisica, i manoscritti greci rivelarono ciò che gli antichi avevano trovato. Alla fine, mentre nel 1500 l’Europa ne sapeva meno di Archimede, che era morto nel 212 a.C., nel 1700 erano stati scritti i principi di Newton e il mondo entrava in pieno nell’epoca moderna». Il Seicento fu il teatro di guerre religiose che insanguinarono l’Europa come mai era accaduto prima: dopo la Guerra dei Trent’anni (1618–1648) si calcola che in alcune città boeme la popolazione si fosse ridotte di due terzi. Proprio in questo contesto gli uomini europei, alla ricerca di un sapere indipendente dalle opinioni, dalle fedi, dalle appartenenze religiose, scoprirono la forza della matematica e della geometria. L’incredibile cavalcata con cui la scienza attraversò gli ultimi secoli della nostra storia, fu dovuta probabilmente soprattutto a questo rinnovato credito nei suoi confronti, almeno in Europa.
Poiché noi al mito, comunque, abbiamo deciso di non chiudere la porta, abbiamo pensato di lasciarci accompagnare fino alla soglia della scienza da un racconto o, meglio ancora, da un’opera teatrale (sappiamo bene che i miti, almeno nel mondo greco, risuonavano nei teatri). Apriamo così il copione di un piccolo capolavoro che ha fatto la storia: Vita di Galileo di Bertold Brecht, consapevoli che non si tratti di un libro di storia, né di un trattato scientifico, ma di una narrazione ispirata al vero. Il suo autore, Brecht, nelle altre sue opere, sebbene abbia avuto una formazione anche scientifica e medica, si occupa più spesso di giustizia e di libertà: non a caso fu uno dei pochi intellettuali tedeschi che si oppose fermamente al nazismo. Proprio per questo, costretto all’esilio, pubblicò Vita di Galileo prima in Danimarca, poi a New York e, solo dopo la guerra, a Berlino.
Come in ogni opera teatrale che si rispetti, prima di iniziare la lettura diamo uno sguardo ai personaggi più importanti: oltre a Galileo, il più importante è senz’altro Andrea, suo garzone ma anche amico e discepolo. Andrea non ha ancora undici anni, ma già disserta con il Maestro a proposito del sistema tolemaico. C’è poi la Signore Sarti, mamma di Andrea e governante di Galileo; il rettore dell’università di Padova, Priuli; l’occhialaio Federzoni; il mondo degli studiosi (filosofi, matematici, teologi); infine gli ecclesiastici: cardinali, inquisitori, ma anche discepoli (come frate Fulgenzio). I luoghi in cui si svolge la vicenda, nell’arco di alcuni anni, sono Padova (dove Galileo gode di una certa libertà di ricerca), Firenze (dove, sotto la protezione dei Medici – a cui dedicò le lune di Giove – spera di essere al riparo dal Sant’Uffizio), Roma (dove si confronta con i suoi avversari). Infine, c’è la villa fiorentina dove vivrà gli anni di reclusione e seguito della condanna).
Già dal primo atto, il vero protagonista non sembra essere Galileo, quanto i suoi legami, tra i quali spicca l’amicizia con il giovane Andrea. È solo un ragazzino povero, ma è curioso e in quella curiosità lo scienziato legge lo spirito di un’epoca: «da cent’anni è come se l’umanità si aspettasse qualcosa di nuovo… tutto è incominciato dalle navi…». Matilde non fatica a riconoscere che il secolo di cui l’opera parla è l’epoca moderna, che per gli storici incomincia proprio da quella straordinaria dilatazione del mondo prodotta dalla scoperta del Nuovo continente. Galileo fa di Andrea il suo interlocutore privilegiato e questa volontà di aprire a tutti i misteri della scienza a noi della Piccioletta Barca ispira da subito una grande simpatia. «Molto è già stato trovato, ma quello che è ancora da trovare è di più: questo significa altro lavoro per le nuove generazioni»: la ricerca di Galileo è subito contagiosa, convoca tutti gli spiriti curiosi attorno a sé, cercando i propri alleati tra gli ultimi, sapendo che la battaglia più dura è sempre la stessa: quella contro i potenti.
I potenti, nell’opera di Brecht, sono rappresentati dalla Chiesa; ma i nostri ragazzi capiscono subito che non si tratta se non di un simbolo: da un lato le certezze indiscutibili, i dogmi, dice Davide sorprendendoci un po’; dall’altro c’è la ricerca libera e spudorata del sapere. Quanti dogmi ci sono ancora anche oggi, ben al di fuori delle religioni! Noi non abbiamo mai avuto a che fare con l’inquisizione, ma conosciamo tanti adulti che ai ragazzi non rivolgono nemmeno uno sguardo. Il Galileo di Brecht, invece, tratta il piccolo Andrea come un collega scienziato, convinto com’è che la credibilità delle sue teorie non si fonda sui dogmi, ma sulla possibilità di condividere insieme il discorso sul vero.
Così, nel giro di poche battute, Brecht ci ha già detto dove vuole condurci: a riconoscere il potere di liberazione, di uguaglianza e di riscatto che il nuovo sapere scientifico promette di portare con sé. Ma, dopo averlo fatto, subito ci mostra le prime inquietanti ombre in un dialogo sibillino: quello tra lo scienziato e il rettore dell’Università di Padova, Priuli. Mentre con Andrea si parla di astri, con il potente accademico non si parla che di soldi. Tenero e accondiscendente con Andrea, Galileo sembra non sopportare gli studenti ricchi e stupidi a cui è costretto a impartire lezioni, per potersi pagare da vivere. Per questo chiede al rettore un aumento del suo compenso: «a che serve la libertà di indagine se non c’è tempo per indagare?». A Padova Galileo gode di una certa protezione, ma il rettore gli fa capire in tutti i modi che tutto ha un prezzo. Chi paga lo scienziato, chi finanzia la ricerca? Il tema è tutt’altro che secondario, anche oggi. E le soluzioni, per quanto possa sorprendere, non sono poi cambiate così tanto. La ricerca si finanzia in parte attraverso la didattica (è uno dei motivi per cui esistono le università). In gran parte viene finanziata dalle istituzioni statali, ma qui le cose incominciano a farsi più complicate. Nei paesi sovietici, per esempio, i finanziamenti alla ricerca chiedevano una ferrea fedeltà allo Stato o, quanto meno, una bonaria neutralità. Oggi, nei paesi moderni, ci sono molte istituzioni private che supportano la scienza, ma davvero possiamo immaginare che i ricercatori possano mantenere l’indipendenza che Galileo sognava? Nel migliore dei casi si sentiranno dire proprio ciò che il rettore di Padova suggerisce nell’opera di Brecht: «perché non escogitate qualche bell’oggettino?».
Il bello del Galileo di Brecht è anche questo: lo scienziato non è dipinto come un eroe senza macchia e senza paura, ma come un uomo normale, capace però di una grande fiducia nei confronti del sapere. E così, approfittando dell’ignoranza altrui, egli vende a Priuli un’invenzione non sua: perfeziona un sistema di lenti creato in Olanda e lo vende alla flotta veneziana, raccogliendo – con ciò che oggi chiameremmo truffa – l’entusiasmo (e soprattutto i soldi) della Serenissima.
Sarà proprio questo strumento, il telescopio, a fornire a Galileo le prime prove a proposito della verità del sistema copernicano: insieme al giovane Andrea, in una sera limpida, guardando Giove, lo scienziato scopre dei satelliti che ruotano attorno al pianeta; sono la dimostrazione definitiva che il sistema tolemaico, che ipotizzava il movimento di sfere celesti attorno alla Terra, è terribilmente sbagliato. L’entusiasmo è alle stelle: per capire come stanno le cose, gli uomini e le donne non dovranno più credere alle sue teorie: basterà che credano ai loro occhi!
Ma è proprio qui che lo scienziato si illude perché, se le persone semplici (persino la governante, mamma di Andrea) partecipano entusiaste della sua scoperta, i filosofi e gli uomini religiosi non si danno per vinti: nei libri di Aristotele, nei manuali che la tradizione ha consacrato come ‘veri’, c’è scritto tutt’altro. Intuisce bene il sopraggiungere della crisi l’amico Salgado che, prevedendo la reazione del Sant’Uffizio, lo mette sull’avviso: «è un notte di sventura quella in cui l’uomo vede la verità!». «Io credo nella ragione perché credo nell’uomo», risponde Galileo. Ma già all’orizzonte si intuisce a quale prezzo egli dovrà mantenere questa fede.