
LEGGERE A UN CANE PER LEGGERE MEGLIO

DALL’ASSISTENZA ALL’AMORE, ATTRAVERSO L’AFFETTO
EDIPO RE (parte 2)

Come ogni uomo, così ogni testo ha un futuro imprevedibile. Sofocle non avrebbe mai potuto immaginare che la sua tragedia avrebbe attraversato i secoli, suscitato domande tra i più grandi pensatori di ogni tempo, né che sarebbe stata protagonista di uno dei passaggi più noti della psicoanalisi, per arrivare infine a Baggio, nel mezzo della nostra accademia. Nel loro imprevedibile futuro, le opere assomigliano a quegli oggetti perduti nel mare, che si coprono di concrezioni; a differenza di questi, tuttavia, il materiale alieno non ne divora le forme, ma le custodisce e le rivela, portando in superficie la potenza racchiusa tra le loro pagine, compiendo la promessa che portano in sé. Non si può leggere un’opera come l’Edipo Re senza far cenno a questa ricchezza: non è solo erudizione, ma la consapevolezza di un processo di cui noi stessi, nel nostro piccolo, siamo parte. Non siamo Freud, ma le nostre domande sono state le domande di tanti: Edipo ha colpa di ciò che è accaduto? Se il futuro non si può evitare, che ruolo ha la nostra libertà? E, se si può evitare, in che modo possiamo realizzare ciò che Edipo ha fallito?
La nostra lingua ci insegna che da sempre l’uomo sta di fronte al futuro con sguardi diversi. Destino, fato, futuro, avvenire, fortuna, sorte… ciascuna di queste parole mette in luce un profilo particolare: il peso del passato o l’ombra di ciò che è già scritto, l’evoluzione del presente o l’irruzione imprevedibile di ciò che verrà, l’intervento degli dèi o il capriccio del caso. Tanto basta per incominciare a riflettere insieme.
A proposito del destino non facciamo fatica a riconoscere quanto alcune scelte che non abbiamo fatto noi condizionano la nostra vita: siamo, come diceva un grande pensatore a una poesia già iniziata. Il nostro nome, che ci seguirà tutta la vita, non l’abbiamo scelto noi; né abbiamo deciso dove abitare: molti genitori dei nostri ragazzi sono venuti in Italia consapevoli di cambiare, così, il destino figli che sarebbero nati. Mette i brividi pensare che, se solo avessimo preso casa qualche isolato più in là o se avessimo frequentato una scuola diversa, probabilmente non avremmo incontrato gli amici più cari. Ma non per questo ci sentiamo meno liberi: il passato è un’eredità che crescerà con le nostre scelte. A patto, però, come ci insegna Salvatore Natoli, che ha dedicato una piccola opera proprio a Edipo, di conoscere e di capire questo passato: altrimenti, come accade a Edipo, esso condanna il nostro futuro alla «ripetizione, alla reiterazione obbligata» (S. Natoli, Edipo e Giobbe. Contraddizione e paradosso, Morcelliana, Brescia 2008).
C’è allora una parte che spetta a noi, perché nessuno di noi accetta che la vita sia in mano ai capricci della sorte. Herman Hesse, nel romanzo Demien, fa dire a uno dei suoi personaggi «ogni uomo ha un suo compito nella vita, e non è mai quello che egli avrebbe voluto scegliersi». Non è il luogo in cui siamo a determinare il nostro futuro, ma il modo in cui scegliamo il nostro compito. Ancora Natoli ci suggerisce che, per non essere vittime del destino, dobbiamo «fare chiarezza sulle nostre intenzioni». Ai ragazzi di terza media viene in mente la scelta della scuola superiore, che li occuperà nei prossimi mesi e per la quale staremo loro vicini. Nessuno di loro può sapere cosa accadrà nei prossimi cinque importantissimi anni della loro vita, pieni di nuovi incontri e di nuove promesse, ma anche di salite da affrontare coraggiosamente; non esiste la scuola perfetta, ma questa soglia è il luogo in cui fare chiarezza sulle proprie intenzioni, sui desideri e le aspirazioni più grandi, sulle paure e sulle speranze: il modo in cui si sceglie sarà forse ancora più importante della scelta finale.
L’avvenire, d’altra parte, non lo conosciamo mai. A differenza di futuro — che, come ormai sappiamo, è un participio, ossia l’evoluzione di cui siamo già parte e a cui già partecipiamo —l’avvenire parla di una novità che verrà, che non c’è ancora, che non possiamo ancora indovinare. Il tempo che verrà ci riserva cose inaspettate e senz’altro anche noi cambieremo e saremo, forse, persone diverse. Ci aiuta Maria Zambrano, una grande e appassionata filosofa spagnola. Anche lei ha riflettuto sull’Edipo Re e ha letto in modo molto originale l’enigma della sfinge. In fondo la domanda del mostro indicava già, tra le righe, dove cercare la soluzione. All’indovinello Edipo aveva risposto in modo generico ‘tutti gli uomini’, ma avrebbe potuto scegliere un’altra via e parlare di se stesso. «Di fronte alla domanda della Sfinge, Edipo risponde in modo razionale, parla di ‘tutti gli uomini’, non di se stesso. Invece, egli doveva nascere; era questione di un istante». Il vero enigma, quello che è alla nostra portata e quello a cui dobbiamo rispondere, non è mai generico: il vero enigma siamo noi a noi stessi. Capire chi siamo, conoscere il nostro passato, abitare il presente, preparare il futuro: tutto questo significa avere il coraggio di nascere tante volte nella vita, di non rimanere attaccati «alla placenta oscura» (è questo, per Maria Zambrano, il senso del matrimonio di Edipo con Giocasta). Senza questo coraggio forse ci sarà un futuro per il mondo, ma non per ciascuno di noi. Nascere tante volte nella vita, rinascere continuamente, è il miracolo dell’essere umano, che è chiamato sempre a diventare ciò che egli già è. Noi, adulti della Piccioletta Barca, assistiamo quotidianamente a questo miracolo nei nostri soci più giovani, proviamo ad accompagnarne il travaglio. Ma sappiamo anche che nessuna tecnica pedagogica, nessun metodo e nessuno strumento potranno mai sostituire l’essenziale: degli adulti fedeli e seri, che sono essi stessi rinati molte volte, a prezzo di molti errori e di qualche sacrificio.
Edipo, in questo, è maestro: diventato cieco, rinascerà davvero; lo ritroviamo nell’Edipo a Colono, una delle ultime tragedie di Sofocle, a mendicare ospitalità agli ateniesi. Egli saprà diventare una benedizione per la città (così un nuovo oracolo ha predetto), non per la sua intelligenza, ma per la docilità con cui si lascerà accogliere e poi, silenziosamente, finirà la sua vita. È il compito di ogni adulto perché si compia il futuro dei giovani: lasciarsi accogliere e poi, silenziosamente, sottrarsi alla vista. Gli dèi sanno quanto ce n’è bisogno!