
QUANTO VALE UN METRO CUBO DI CONOSCENZA?

DIRE E FARE
MILANO ILLUMINATA

A Milano si è soliti passare e si ripassare di corsa lungo le vie del centro, senza quasi badare alle case o ai palazzi austeri che fiancheggiano le strade. Poi, un giorno si ha la fortuna di essere invitati a varcare la soglia di uno di questi edifici e la reazione è sempre la medesima: “ci sono passato davanti mille volte e mai avrei immaginato che questi muri racchiudessero un tale tesoro”.
Privilegio toccato, sabato scorso, ai ragazzi dell’Accademia della Pb, guidati alla scoperta della sede storica di Edison di Foro Bonaparte 31, una delle gemme dell’edilizia milanese di fine Ottocento.
Progettato dall’architetto Combi, per conto della Società Strade Ferrate del Mediterraneo, il palazzo divenne sede di Edison nel 1923. Ci accolgono nel maestoso atrio d’ingresso Marina Faggioni, che ci guiderà nell’arte e nella storia dell’edificio, Matteo Marullo e Laura Savoia, di Fondazione EOS, Marina Dal Fabbro e Emanuela Gatteschi che racconteranno le origini e la storia dell’azienda e Giuseppe Pasquino, rappresentante del GES, l’associazione dei “seniores” e degli ex dipendenti in pensione dell’azienda. Insieme a loro, Valentina Morelli, della divisione Sostenibilità, che ha adottato l’Accademia di quest’anno grazie al progetto Cultura dell’energia, energia della cultura.
Percorriamo le grandi sale del piano terreno con il naso all’insù, per ammirare le tre vetrate liberty del 1922. La prima vetrata, piana, copre l’atrio, in posizione centrale rispetto a due grandi sale laterali all’interno, coperte da due volte di vetro e ferro quasi gemelle. Assemblate dai maestri vetrai della ditta Corvaya-Bazzi di Milano, contano 18.000 pezzi di vetro colorato: la superficie vetrata pesa venti quintali e ricopre più di cinquecentometri quadri. In stile liberty sono anche i numerosi elementi in ferro battuto: corrimani, lampadari, profili delle porte.
Nell’atrio si trova una delle batterie originali con cui, per la prima volta in Italia, Edison illuminò il Teatro alla Scala nel 1883, usando l’energia generata dalla prima centrale elettrica europea, sita in via Santa Radegonda e demolita solo nel 1926 per far posto al cinema Odeon. Milano fu infatti la prima città del vecchio continente a essere illuminata dall’elettricità, grazie al genio dell’ingegner Giuseppe Colombo, fondatore dell’azienda. L’illuminazione con le lampadine a incandescenza, che oggi a noi appare legata al consumo energetico, rese in realtà, in quegli anni, le città luoghi più salubri, puliti e vivibili, eliminando i fumi nocivi dell’acetilene e del petrolio che alimentavano prima tutte le fonti luminose di una città.
Giuseppe Colombo, patriota e garibaldino, conobbe personalmente Thomas Alva Edison: lo incontrò la prima volta alla Mostra internazionale dell’elettricità di Parigi del 1881. Poi nel 1882, si recò in America dove partecipò all’inaugurazione della prima centrale elettrica del mondo; affascinato dalla personalità dell’uomo e del genio americano, Colombo acquistò il brevetto della lampada a incandescenza e, rientrato in patria, fondò un’azienda intitolandola all’amico e collega; Colombo divenne così un protagonista indiscusso della crescita tecnologica e economica del nostro Paese: solo dieci anni dopo l’illuminazione del centro, Edison impiantò a Milano la prima tramvia elettrica sperimentale.
Il palazzo di Edison ben rappresenta il suo fondatore: sobrio e solido, attraversato ancora oggi da centinaia di uomini e donne impegnate in un febbrile lavoro quotidiano. Lo salutiamo omaggiando il grande busto del primo piano e il ritratto posto al centro della così detta Sala della fontana, da sempre dedicata alle riunioni dei consigli di amministrazione. I ragazzi vengono invitati a sedersi attorno all’immenso tavolo ovale dove sprofondano, quasi sparendo, in grandi poltrone di pelle: le stesse poltrone su cui i dirigenti di Edison da sempre prendono decisioni importanti, in momenti favorevoli e in momenti bui. Due guerre mondiali, in particolare, durante le quali l’energia elettrica era fondamentale sia per usi militari, sia per usi civili, e durante le quali le centrali erano – allora come oggi – obiettivi strategici da proteggere. Alla fine della Seconda guerra mondiale, alcuni dirigenti riuscirono a distogliere l’attenzione dagli impianti produttivi di cui i Tedeschi avevano previsto la distruzione, presentando una documentazione appositamente poco chiara. Un comitato vero e proprio, clandestino, era nato con lo scopo di difendere tutti gli impianti industriali, non solo di Edison.
Ai tempi, la grande sala si riempiva del fumo di sigari e pipe: proprio per purificare l’aria, fu costruita la sofisticata fontana di marmo con numerose bocchette, al centro di una delle pareti lunghe. Si era soliti dire che ogni zampillo rappresentasse una centrale in attività.
I nostri accompagnatori ci mostrano anche gli spazi di lavoro moderni, pensati come open space e, proprio nello spirito del fondatore, attrezzati con i più avanzati sistemi fonoassorbenti e illuminanti, per rendere il lavoro più semplice e sostenibile. Di come sia cambiata Edison negli anni ci parla, in particolare, Giuseppe Pasquino, che mostra con commozione ai ragazzi il cedolino del suo primo stipendio, del 1968, quando, ancora ragazzo, incominciò a lavorare. Poco tempo dopo portò avanti l’eredità di Ermanno Olmi, ai tempi non ancora regista famoso, che guidava la sezione Cinema Edison dal 1953. Giuseppe ha lavorato nell’azienda, con diversi ruoli, per l’intera sua carriera e ancora oggi, in pensione da qualche anno, anima il gruppo degli ex-dipendenti con attività culturali, ludiche e aggregative che nascono dalla tradizione di cura di Edison per chi ha dedicato parte della sua vita ai progetti aziendali. Raccontando di sé, non può fare a meno di invitare i nostri ragazzi a impegnarsi seriamente nello studio e a mettere sempre passione in ciò che imparano, lui che, orfano di padre, dovette lavorare e non poté proseguire gli studi se non impegnando le sue sere e il poco tempo libero.
Un invito ad affrontare lo studio di materie scientifiche è stato rivolto in particolare alle ragazze della Piccioletta Barca da Emanuela Gatteschi, ingegnere e amministratore delegato di una delle aziende del gruppo, che ritiene decisiva la presenza di donne nell’azienda, a tutti i livelli. L’uguaglianza di genere e l’inclusione sono valori che una grande azienda non può più ignorare, anche a motivo degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
Proprio a questo tema è stata dedicata l’ultima parte della visita in Edison. I ragazzi, divisi in tre gruppi, sono stati invitati a esprimere il loro parere sulla sostenibilità dell’azienda. A ciascun tavolo di lavoro sono stati assegnati due o tre degli undici SDGs a cui Edison è chiamata a contribuire. Quasi per gioco, ma con la promessa di prenderli sul serio, i manager della sostenibilità aziendale hanno ascoltato i nostri ragazzi, li hanno aiutati a ragionare e li hanno coinvolti in una responsabilità comune. Le considerazioni emerse saranno raccolte nella ricerca che la divisione Sostenibilità sta portando avanti per le future strategie di raggiungimento degli obiettivi.
Davvero Edison, con l’affascinante storia della sua origine, il suo impegno in prima linea lungo un secolo, la sua visione sul futuro è un esempio della Milano illuminata di cui possiamo essere fieri…