
UNA SCELTA DI VITA: LA CULTURA

AMICI DI QUARTIERE: CHIACCHIERATA CON GIANNI BIANCHI
MARTIN EDEN — PARLARE D’AMORE AI RAGAZZI

Siamo un po’ intimoriti nel proporre ai ragazzi una discussione sul romanzo di Martin Eden. Un po’ perché il finale tragico della storia li ha colpiti e un po’ scossi (ci si affeziona facilmente agli eroi dei romanzi), un po’ perché l’amore e la sua energia rischiano di essere un tema troppo personale, troppo intimo. In fondo, l’energia che un innamoramento risveglia la conosce solo qualcuno che l’abbia provato sulla sua pelle e la letteratura, in Piccioletta Barca, è utile anche per mantenere una distanza di sicurezza: non ci piace che un educatore entri senza rispetto nell’ambito della vita privata e non ci piace che, tra ragazzi, argomenti delicati si trasformino in gossip. Scegliamo, dunque, le domande con delicatezza..
Chiediamo anzitutto ai ragazzi se le persone cambino davvero per amore, se abbiano mai conosciuto qualcuno che, dopo essersi innamorato, sia diventato irriconoscibile, un po’ come Martin Eden.
David è un po’ perplesso, ammette che le persone possono cambiare per piacere all’altro e che questo possa a volte renderle migliori. Samuele, però, osserva che questi cambiamenti non avvengono solo per amore; a volte si cambia per paura, per non restare soli, per non essere isolati da un gruppo: quando succede, molte volte si cambia in peggio, come quando, per farsi apprezzare dai propri compagni, si fanno cose stupide. Arianna dice che a volte sono i traumi (lei pensa alle guerre, soprattutto) a cambiarci: le cose che accadono, più che le persone. Matilde ha qualche dubbio a proposito dei cambiamenti: quando cambi, dice, perdi sempre qualcosa di te. Forse cambiare è necessario, ma quello che si perde talvolta aveva un valore. In realtà, riflettiamo, Martin non è semplicemente cambiato: ha scoperto qualcosa che era già dentro di lui, l’amore per Ruth ha semplicemente attivato un’energia, non gli ha imposto nulla che non fosse già profondamente nascosto nell’anima.
Nonostante questo tesoro, il romanzo finisce in tragedia: che cosa ha sbagliato Martin Eden? David usa la parola ossessione: la bellezza a un certo punto diventa ossessiva, fino al punto da non permettergli più di capire la sua relazione con Ruth. Qualcosa di simile all’ossessione è ciò che i ragazzi hanno imparato a chiamare stalking: quando una persona è ossessionata al punto da non vedere più i desideri e i sentimenti dell’altro. È una parola nuova (quanto sono importanti le parole, per capire la realtà!): un tempo si diceva che fosse un eccesso d’amore, invece perseguitare l’altro è proprio l’opposto dell’amore. Arianna lo dice molto bene: amare gli altri significa lasciarli liberi ed è una cosa molto difficile. Forse uno degli errori di Martin è non aver mai costruito un vero dialogo con Ruth; tutto gli sembra bellissimo all’inizio e tutto gli sembra impossibile alla fine, ma degli errori di Ruth, delle ombre che crescono sul loro rapporto, Martin non parla mai con lei. Prima non affronta i problemi e poi, alla fine, inevitabilmente cade nel cinismo. Viola dice che l’amore è una cosa bella, ma che ci devono essere dei limiti, dei confini: forse proprio la negazione dei limiti ammala l’amore e lo fa diventare un’ossessione.
Anche Ruth, certo, sbaglia. Anzitutto perché non riesce mai a supportare Martin nelle sue scelte: non lo ascolta mai fino in fondo, non condivide il suo sogno di diventare poeta. Quando Martin incomincia a scrivere, dice David, lei non lo aiuta e non crede in lui. In fondo, dice Matilde, è stato un bene che si siano lasciati, perché i problemi di cui non parlavano mai sarebbero cresciuti, sarebbero arrivati alla superficie, anche se fossero vissuti insieme. Gabriele è molto irritato dal fatto che Ruth, verso la fine della storia, quando ormai Martin Eden è diventato ricco e famoso, torni da lui: lo fa per i soldi e per la fama e questo lui non lo sopporta. Ma tutti siamo colpiti dal fatto che, mentre Martin cambia tutta la sua vita per lei, Ruth in fondo è un personaggio statico, che non subisce nessuna evoluzione. Chissà, ci chiediamo, se davvero anche lei è stata innamorata veramente di Martin: se lo è stata, dove è finita l’energia del suo amore? Forse riteneva di essere già all’altezza di Martin, ma davvero un amore può lasciarci uguali a prima?
Proviamo anche a fare un gioco: immaginiamo di entrare nella storia e di poter parlare con Martin o con Ruth o con uno dei personaggi. Matilde si mette nella posizione della madre: non è una donna cattiva, ma con Ruth non ha un vero dialogo sull’amore e non le insegna nulla. Parla dell’amore della figlia per il giovane marinaio con suo marito, ma non è in grado di dire apertamente nulla alla ragazza: eppure lei è sposata da tempo, deve aver vissuto una storia d’amore, dovrebbe avere qualcosa da dire. Samuele prosegue il ragionamento e si chiede come si possa, da genitore, dire a un figlio qualcosa che lo ferisca: è necessario, ma non deve essere affatto facile: in questo senso lui capisce bene l’atteggiamento dei genitori. Viola si mette nei panni – forse più semplici – di un amico di Martin: gli direbbe di non fare tutto lui, di non cambiare tutta la vita per amore di Ruth, di aspettarla, di fare i passi necessari insieme a lei.
Finiamo con una domanda un po’ difficile. L’oggetto dell’amore di Martin non è, in realtà, solo Ruth: c’è qualcosa di più grande, c’è qualcosa di immenso nell’essere innamorati. È come se l’oggetto del nostro amore risvegliasse in noi una forza e ci mettesse in contatto con la bellezza stessa, del mondo, delle cose. Così, almeno, è accaduto a Martin. Eppure, quando Martin lascia Ruth, non riesce più a scrivere, il suo amore non ha più parole e lentamente diventa solo disprezzo per tutto ciò che non è bello. Ci chiediamo, con i ragazzi, se la sensibilità per le cose belle non rischi di impedirci di amare le cose così come sono, con i loro inevitabili difetti. Ci chiediamo, insomma, se si possa amare la bellezza senza diventare cinici. Qualcuno è convinto che per migliorare ci sia bisogno proprio di un’altra persona: non bastano i grandi ideali, perché i grandi ideali non ci parlano, solo le persone lo fanno. Per uscire dai nostri difetti, abbiamo bisogno pur sempre di qualcuno che ci chiami, che ci tiri fuori. Arianna parla del suo grande amore per la montagna: qualche volta per fare le cose che più contano per lei, è stata costretta a rinunciare a un pomeriggio con gli amici, qualche volta si è sentita sola. Ma le nostre solitudini non significano sempre che non sappiamo o non vogliamo confidarci: a volte stiamo solo aspettando qualcuno che ci chiami per nome, ci prenda per mano e percorra con noi un tratto della strada verso la bellezza.