
IN-CONTRO TRA TITANI: VERDI SCRIVE PER MANZONI

L’OCCHIO AZZURRO DELLA FORTUNA
MA NOI RIUSCIAMO A “SENTIRCI” MONDI?

Mentre l’etere si riempie di sterili e inutili polemiche riguardo a un gruppo di ragazzi esonerati dallo studio di Dante che offenderebbe la loro religione – in uno dei più grotteschi e provocatori autogoal della scuola italiana (che di ben altro avrebbe bisogno!) –, noi in Piccioletta barca, anche grazie ai nostri giovani soci musulmani, diamo vita a un bellissimo dialogo che segue l’approfondimento dei canti XX e XXI del Purgatorio.
Metà del gruppo dell’Accademia è assente, perché impegnato nella festa di fine anno della scuola media di zona, bacino principale del nostro centro, ma i ragazzi presenti sono comunque dodici e con loro ci accomodiamo in una disposizione a cerchio, più conviviale; noi adulti siamo cinque oggi.
Il tema ampio e delicato è il giudizio degli altri su di noi, la nostra capacità di auto-giudizio e, infine, la capacità di gioire autenticamente del bene altrui e parteciparvi con adesione spontanea.
Molta carne al fuoco, quindi, e come sempre, per agevolare la conversazione, ci facciamo guidare da domande e suggestioni di altri pensatori.
L’anima di Stazio, improvvisamente, si sente monda, sente cioè di avere fatto pace con il peccato che dimorava in lei, sente di essere degna di raggiungere la pace eterna cui era destinata. Non ha bisogno dell’autorizzazione di nessuno, nemmeno del giudizio di Dio: l’auto liberazione dal male, la volontà di essere felici e volare verso il luogo dove esserlo, la solidarietà e l’affetto dei compagni sono tutti ingranaggi del meccanismo del perfetto ordinamento del Purgatorio, della religio loci, dove tutto è, appunto, legato in sequenza di bene e di giusto.
Ma per noi terrestri, dai corpi pesanti, non è facile sentire quasi nulla, men che meno la pace interiore e la dignità di essere parte di un grande disegno cosmico di verità, giustizia pace: non è facile per noi adulti, sembra impossibile per i ragazzi della scuola media, sempre a caccia di conferme e consensi.
La prima domanda suggerisce: “il giudizio degli altri ha sempre un grande peso nella nostra vita: quello negativo ci ferisce e lo subiamo, quello positivo ci esalta e lo cerchiamo. Chiunque esprime un giudizio su di noi è degno di ascolto allo stesso modo? Sono più credibili i giudizi di chi ci vuole bene o quelli di chi ci guarda con distacco?”
Gioia, stropicciandosi gli occhi ancora assonnati, sostiene che siano più veri i giudizi di chi ti guarda con distacco; sono più obiettivi e coraggiosi. Elisabetta si schiera diametralmente: se una persona ti vuole bene ti dice anche se sbagli e, siccome ti è vicina, il suo giudizio è più fondato. Viola sostiene che bisogna ascoltare solo le persone che ci formano, i giudizi costruttivi che provengono da qualcuno di fidato, ma Gabriele ribatte che forse è utile ascoltare tutti e poi decidere.
Sì, probabilmente è così: l’arte del vivere suggerirebbe di accogliere le parole di ognuno e di esercitare dentro di noi la virtù del discernimento: un setaccio che, sapientemente utilizzato, separi il giudizio autentico dal superfluo, il ponderato dall’improvvisato, il fondato da quello campato per aria. Non è semplice, perché una parola dura o mal pronunciata da chiunque offende e ci toglie libertà, ma certamente, piano piano, si piò imparare a essere lucidi. Anche i giudizi buoni, o apparentemente buoni, non dovrebbero subito mandarci alle stelle. Ci aiuta a capirlo Martin Eden, incontrato poco tempo fa. Eccolo lì con l’amata Ruth, in trepidante attesa del giudizio di lei sulla sua scrittura:
Martin attendeva soddisfatto il verdetto. Non aveva dubbi sul giudizio e rimase attonito quando la sentì dire: «È bello». «È bello», ripeté Ruth con forza dopo una pausa. Naturalmente lo era, ma conteneva qualcosa di più, un’ansia splendida e tormentosa al cui servizio si era posta la bellezza. Egli si lasciò scivolare sul terreno in silenzio, guardando sorgere davanti a sé l’enorme e sinistra ombra del dubbio. Aveva fallito.
A Martin non basta un aggettivo positivo pronunciato con distacco, Martin conosce la passione e la fatica che ha profuso nel suo lavoro; il giudizio di Ruth non coglie nulla e non gli dà alcuna soddisfazione, anzi! Come è amara questa sensazione, ma come è vera! Noi soli conosciamo con fatica noi stessi, da noi deve scaturire il giudizio ultimo sul nostro operato.
Proseguiamo domandando: quali sono i contesti in cui ti senti giudicato, nel bene o nel male? Li ritieni credibili?
«La scuola, la scuola, la scuola!» è la risposta corale, più corale del canto purgatoriale del Gloria! Eh sì, la scuola, purtroppo, è il luogo dei giudizi: inevitabili, ce ne rendiamo conto, ma dannosi, soprattutto perché espressi in quei tetragoni numeri della prima decina, rossi e verdi, perentori. Persino i verdi, quelli dal 6 al 10, tendono a essere dannosi tante volte. Non se ne viene a capo, ci piacerebbe molto che un illuminato Ministro dell’istruzione un giorno trovasse una soluzione. La socia grande Elisabetta racconta un aneddoto che fa riflettere: una mamma a colloquio con la famigerata professoressa della figlia, dopo essere stata lapidata con una manciata di voti rossi, non rossissimi comunque, domanda timidamente un giudizio complessivo sulla ragazza come persona e si sente candidamente rispondere: «in che senso, persona?». Non aggiungiamo commenti…
Dopo la scuola, chiaramente, sono i gruppi di amici i censori per eccellenza, con la terribile aggravante che la licenza di uccidere è oggi esponenzialmente aumentata dai social: sferrare un giudizio on line è più facile perché non si vede il bersaglio di persona, dice Stefano. Parlare a qualcuno guardandolo negli occhi intimorisce, prosegue Virginia… Certo, è così per tutti e forse proprio il fatto che qualcuno ci parli coraggiosamente, puntando i suoi occhi nei nostri potrebbe essere una discriminante per valutare il suo giudizio. Eduardo cita i gruppi appositamente creati per permettere il dialogo fra ragazzi in difficoltà, tipicamente quelli che aiutano chi vive dipendenze da fumo, alcool, gioco. È capitato a un amico che ha tratto beneficio da un confronto così. Elisabetta racconta allora che nella sua classe, instauratosi un clima di sospetto e inimicizia, i rappresentanti hanno proposto un momento di scambio fra tutti i compagni. Creati due cerchi concentrici, i due compagni che si trovavano faccia a faccia dovevano dirsi reciprocamente una cosa positiva e una negativa; poi il cerchio interno ruotava di una posizione, dando vita a una nuova coppia e a un nuovo scambio. Elisabetta ammette di avere ascoltato con più attenzione i giudizi e, allo stesso modo, di essersi sforzata di suggerire pensieri sapienti di e a persone a lei care; agli altri badava poco, ma pensa che in generale, l’esperimento abbia dato qualche risultato, almeno al momento.
Chiediamo agli altri chi abbia fatto o farebbe qualcosa del genere e i ragazzi rispondono senza grande entusiasmo ma neanche con un netto rifiuto. In Pb non si proporrà probabilmente mai un esercizio del genere, perché ci pare porti in sé una forzatura pericolosa: nel modo e nel tempo. Proprio la scelta del tempo opportuno, il kairos greco, è un aspetto fondamentale perché un dialogo abbia un esito positivo; imporre parole a chi non abbia orecchie disposte ad ascoltare è non solo inutile, ma anche dannoso perché quelle orecchie potrebbero chiudersi per sempre. Esprimere il proprio parere su una persona è questione di sapienza e di pazienza: va maneggiato con massima cautela il giudizio, in uscita e anche in entrata.
Mattia pensa che sia molto difficile esprimere liberamente un parere diverso da quello della maggioranza: immediatamente si viene tacciati di estremismo e lo stigma, sappiamo bene, è duro a morire poi! Ci ha provato una volta, ma è stato attaccato duramente, senza appello e questo, dice, fa passare la voglia di esprimersi. Ancora Mattia dice di sentire credibile il giudizio dei genitori, con i quali ci si può scontrare bene e fino in fondo! Chiediamo, un po’ fuori programma, quali giudizi vengano espressi, fra pari, circa la frequentazione della Piccioletta barca e molti soci, sogghignando, ammettono di essere presi un po’ per folli: lavoro di pensiero in più, oltre la scuola e i compiti? Però accade anche che qualcuno, incuriosito, chieda di poter provare. E con orgoglio possiamo dire che i ragazzi introdotti da loro compagni o fratelli sono sempre rimasti con noi! È il caso di Elisabetta, ormai grande e con noi da anni, sopravvissuta addirittura a chi l’aveva introdotta che, giunto alla scuola superiore, ha abbandonato. È il caso di Brissa che, inserita da Gioia nel gruppo della musica, da lì è approdata all’Accademia; è il caso di Anna, di Edu, di Adrian e Gabriel, di Monica ed è bello sapere che loro sono entrati fidandosi di un amico.
Passiamo alla riflessione successiva, accompagnati da un pensiero del saggio Piccolo principe: “È molto più difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicarti bene è segno che sei veramente un saggio”
Quando un’anima è pronta a salire in cielo, nessuno glielo comunica: è lei stessa a sentirlo, attraverso il suo volere. Cosa significa sentire di essere cambiati? Come si fa a dare credito a questo sentimento?
Yasmine (che, per la cronaca, è musulmana e da sempre segue con entusiasmo gli incontri su Dante e lo studia con affetto!) dice che garanzia di questo è guardarsi indietro e considerare come si fosse prima. Sì, senz’altro è così: avere buona memoria di sé, del cammino percorso, delle frequentazioni passate aiuta a cogliere le differenze fra un prima e un dopo. Per concludere – perché il tempo scorre in fretta fra amici che dialogo e siamo costretti a lasciare in disparte altri spunti di riflessione interessanti –, rivolgiamo ai ragazzi un invito che sgorga dal cuore: allenatevi a sentirvi belli, perché belli siete! Imparate a non dare per scontate le vostre capacità e i vostri talenti, anche quando non coincidano con gli esiti scolastici. Imparate a gioire delle piccole cose che vi capitano, anche se importanti solo per voi, anche se non riuscite a comunicarle agli altri: e se una voce buona a vostro riguardo risuona da dentro di voi, datele credito e custoditela, perché è giusta. Non si tratta di vantarsi – lo fanno solo le persone immature –, né di sopravvalutarsi – lo fanno solo gli stolti –, ma di apprezzare autenticamente il tesoro che ciascuno necessariamente custodisce: quando lo si conosce, quando lo si sente, non c’è nessun bisogno di sbandierarlo ai quattro venti. Quando ci si sente bene, si vola in alto e il mondo intero se ne accorge da solo, perché siamo più belli, il nostro sguardo brilla e il nostro sorriso è più radioso, proprio come accade a Beatrice quando, in Paradiso, sale di cielo in cielo.