
SCOPERTA, ASCENSIONE, RIFLESSIONE, CURA

CULTURA ALLE STELLE
LE REGOLE DEL GIOCO

Un mazzo di carte squadernato su un grande tavolo davanti a quindici ragazzi delle medie: sguardi che si incrociano e, un po’ curiosi, un po’ intimoriti, ammiccano ai vecchi compagni, schivano chi siede in Accademia per la prima volta; le ragazze rigorosamente vicine alle ragazze, i maschi vicini ai maschi, il tutto con le dovute cautele… Sconosciuto, oltre al compagno di fronte, è il grande tema dell’anno. E allora giochiamo. Primo gioco: vince chi ha più carte. Come? — chiede qualcuno, ma non ottiene risposta. E così, un ragazzo allunga le mani per primo, seguito a ruota da altri, gli interventisti, e le carte spariscono in un baleno: in tre ne hanno in mano la maggior parte, qualcuno due o tre, qualcuno una – spinta lontano dall’irruenza dei pochi –, molti nessuna. Fine del gioco: «Vi è piaciuto? Vi siete divertiti? – No!»
Allora cambiamo gioco: ne prendiamo uno dalla nostra ludoteca e leggiamo le istruzioni. «Il giocatore deve usare in modo creativo cambi, zeppe e scarti per indovinare il titolo del film». Proviamo. Abbozzi di risposte, balbettii… «Vi è piaciuto, vi siete divertiti? – No!!». Allora cambiamo ancora: Tabù, questo sì che lo conosciamo tutti, dai. Bene, maschi contro femmine, mentre sulla lavagna viene scritto a grandi lettere in stampatello: “in questa partita di Tabù è stato deciso che le femmine, per indovinare, abbiano a disposizione il doppio del tempo dei maschi”. Benché le ragazze stiano già vincendo, a un certo punto una socia adulta interviene al loro fianco e la vittoria è nettissima. «Vi è piaciuto? – Ma no, non è giusto!»
Scenari un po’ inquietanti che spiazzano i ragazzi finché non li analizziamo insieme: il primo gioco non ha funzionato, perché mancavano le regole, nessuno ha spiegato cosa si dovesse fare e così è impossibile giocare; il secondo non ha funzionato, perché le regole erano totalmente incomprensibili; il terzo non ha funzionato, perché è stata stabilita una regola ingiusta che ha sbilanciato la partita, favorendo nettamente una parte.
Bene: qual è la parola dell’anno? Giustizia, gridano in molti; equità, regola… La parola è LEGGE, non una parola semplice, né una semplice parola, ma un concetto complesso e vastissimo, difficilmente delineabile, inesauribile, certamente imprescindibile dalla vita dell’umanità e dalla sua evoluzione.
Ci immergiamo nella etimologia della parola italiana, che viene dal lemma latino lex, sostantivo del verbo lego, legĕre. Il primo significato del verbo, seguendo il nostro augusto vocabolario, è cogliere, raccogliere; il secondo, estrarre, togliere; il terzo raccogliere con le orecchie, quindi ascoltare o con gli occhi, quindi guardare, passare in rassegna; poi scegliere, eleggere, nominare e, infine, quello che tutti ci saremmo aspettati: leggere. Come si passa da raccogliere a leggere? Lora suggerisce che quando leggiamo raccogliamo delle informazioni; Chiara dice che la lettura è una raccolta fatta con la mente e certo possiamo dire che chi fa fatica a leggere, fatica proprio a mettere insieme le lettere. Quando si legge, non si legge lettera per lettera: lo sguardo raccoglie già l’insieme.
Quindi ora che il nesso fra cogliere e leggere è chiaro, che nesso c’è fra leggere e legge? Lora con la sua testolina affilata come una lama di coltello, dice che la legge per avere valore deve essere letta e pertanto deve essere scritta! E tutti hanno da dire in merito: Gabriel pensa che una legge debba essere scritta perché se no, non la si ricorda, mentre una legge deve sopravvivere, deve durare nel tempo; Mattia dice che se è scritta non può essere cambiata, Matilde lega alla scrittura la possibilità di dare valore a una affermazione che, se solo pronunciata a voce, rischia di non essere presa sul serio; Lora aggiunge che nessuno seguirebbe una norma orale. Tiziano, brillante nuovo accademico di terza media, ricorda che la legge è stata inizialmente scritta sulla pietra che è pesante, proprio per avere un peso! Tutte osservazioni belle e pertinenti. Aggiungiamo noi che se una legge non può essere letta da tutti, non è legge ma privilegio di pochi e assicuriamo i ragazzi sul fatto che ogni legge, una volta approvata deve comparire sulla Gazzetta Ufficiale, organo proprio a questo preposto.
Percorriamo a questo punto velocemente la storia della legge nel nostro mondo occidentale che affonda però le sue radici a Est, in Mesopotamia. Prima della legge scritta, erano le consuetudini a dare ritmo e valore alla vita quotidiana: una comunità piccola, omogenea con un capo carismatico e attività semplici viveva con accordi altrettanto semplici, noti, naturali diremmo. Si passa dalle consuetudini alle leggi scritte, dice Gabriele, quando il re perde potere, quando il gruppo si allarga, secondo Matilde, e si mettono insieme persone diverse fra loro; quando nascono violenza e conflitto, suggerisce Mattia; quando si sviluppa il commercio.
È proprio così: presto l’esser umano comincia a muoversi, diversifica i suoi impegni e di conseguenza i suoi ruoli e incontra altri esseri umani… Più i gruppi umani sono ampi e complessi, più forte è la necessità di regole scritte e infatti, non a caso, le origini della legge scritta risiedono in città.
Ma torniamo al nostro verbo leggere: che relazione ha con la legge, oltre al fatto che, come abbiamo bene detto, una legge deve essere letta da tutti?
Leggere è fondamentale anche per ideare una legge, perché è solo da una attenta e scrupolosa lettura della realtà che ci circonda che possono arrivare segnali chiari di quanto funzioni e quanto no e, di conseguenza, la necessità di intervenire con una regola. Non si scriverebbero leggi se non si fosse attenti alla realtà in cui si vive, se non si avesse la sensibilità di fermarsi e raccogliere con gli occhi e con le orecchie i fatti che succedono: c’è un’opera di lettura della realtà e di scrittura delle leggi e le leggi devono essere lette da tutti. Leggere dentro le cose è la bellissima etimologia dell’aggettivo intelligente che è proprio colui che legge intus, dentro le cose. È dalla lettura della realtà che deriva la creazione della legge, dunque, ma anche la sua evoluzione continua: se la realtà cambia nel tempo, la legge la segue…
Nella nostra nuova Accademia ci occuperemo di legge e di persone che hanno letto la realtà e hanno formulato le leggi. Quali sono i temi che dovremmo per forza affrontare?
Per Matilde, l’uguaglianza, la giustizia per Gabriele, la guerra secondo Emma; le scienze suggerisce Mattia, i principi e le leggi non scritte, conclude Tiziano.
E il cartellone immacolato velocemente si riempie delle parole che questo nostro primo incontro ha suggerito: pensiero, giustizia, uguaglianza, principio, scrittura, costrizione, rispetto, potere, sapere, punizione, pietra, furbizia, comunità, intelligenza, giudizio, religione, ignoranza, scelta, consuetudine, vita, libertà…
La nostra vita, la nostra stessa libertà, cui tanto teniamo, non avrebbero forma, né ragione di esistere senza la legge. Ce lo spiega bene Antoine de Saint Exupéry in un passaggio del suo libro Cittadella:
“Perché si fa tanta differenza fra costrizione e libertà? Quanto più io traccio delle strade, tanto più sei libero di scegliere. Ora, ogni strada è una costrizione poiché ho costruito il suo lati una barriera. Ma che cosa significa per te la libertà se non esistono strade fra le quali ti sia possibile scegliere? Chiami forse libertà il diritto di vagare nel vuoto? Proprio quando si è costretti a percorrere una via, la libertà diviene più grande. Senza strumento non sei affatto libero di eseguire le tue melodie. Senza l’obbligo di fare il naso e le orecchie, non sei affatto libero di scolpire un volto sorridente. L’uomo raffinato generato da una civiltà progredita è arricchito dai limiti, dalle barriere e dalle leggi che essa gli impone. […] Chi vuole salire in una gerarchia e sentirsi più ricco interiormente, chiede anzitutto che gli diano degli ordini. E i riti imposti ti accrescono. Il bambino triste, quando vede gli altri giocare, chiede innanzitutto di sottostare anche lui alle regole del gioco le quali, e soltanto esse, lo faranno divenire. Ma triste è colui che sente suonare la campana e rimane insensibile al suo richiamo. Quando squilla la tromba ti senti triste se non devi balzare in piedi ma lo vedi felice quel tale che ti dice: «l’appello che ho sentito è per me e mi alzo!» Ma per gli altri non esiste né suono di campana, né squillo di tromba e permangono tristi. la libertà per costoro non è altro che libertà di non essere.”