
MAD…LA “FOLLIA” DELLA SCUOLA

MAD…LA “FOLLIA” DELLA SCUOLA (parte 2)
DIALOGANDO DI GIUSTIZIA E VENDETTA

Siamo soliti, dopo aver concluso la lettura di un’opera o di un gruppo di opere, proporre ai ragazzi e a noi stessi le domande che esse suscitano, cercando di rifuggire da ogni semplificazione. Non è sempre facile, perché formulare domande è talvolta più complesso persino che trovare le risposte. Il tema della legge, però, si rivela fin da ora incredibilmente fecondo, perché è attraversato da tensioni importanti: la giustizia, lo spirito della legge, la vendetta, il perdono… Sono domande che non hanno una risposta immediata, attraversano l’umanità fin dall’alba della storia. Scritta sulla pietra dura e fredda, la legge umana è invece feconda come una buona terra. Con il suo fare assertivo, fa germogliare un dialogo complesso e fecondo.
Chiediamo anzitutto ai ragazzi quando percepiscono davvero lo spirito della legge: ancora giovani, devono sottostare a molte norme e siamo sicuri che, proprio come nella fiaba ebraica, ogni tanto le nostre regole di adulti possono apparire come un peso insopportabile.
Matilde intuisce che lo spirito della legge ha a che fare con la nostra esperienza di tutti i giorni. È quando un tema ci tocca da vicino che la legge e le sue ragioni incominciano a interessarci: è vero che le leggi sono per tutti, ma solo l’esperienza reale introduce nelle nostre vite la questione della giustizia e dell’ingiustizia ed è solo allora che possiamo percepire veramente l’ingiunzione a aderire alle norme. Lora conferma e ci dice che, in famiglia, qualche volta le norme sono imposte senza alcuna spiegazione: in quel caso sono difficili da sopportare e diventano insostenibili. Una legge senza ragioni, senza motivi profondi, da parola di cura può trasformarsi in una imposizione capricciosa. Hanno ragione: spieghiamo loro che oggi esiste un nuovo ambito della giurisprudenza, che va sotto il nome di Soft Law, che preferisce alla norma la costruzione di consuetudini condivise, che spingano tutti gli attori a comportarsi nel modo più giusto. Nell’ambito della produzione del cibo, per esempio, ci sono etichettature non obbligatorie, ma consuetudinarie, che riportano i valori nutrizionali, in modo che il cittadino sia accompagnato a una scelta consapevole e i produttori cerchino di allinearsi nelle buone pratiche.
La seconda domanda che poniamo è se, nella loro giovane vita, abbiano già avuto modo di chiedere l’intervento della legge per farsi proteggere o per far valere i propri diritti. In fondo, il cuore del Codice di Hammurabi, è proprio questo: il Re deve rispondere all’appello di qualunque dei suoi sudditi. Isabel racconta di aver chiesto, recentemente, aiuto a una professoressa, di fronte a una contesa con una compagna. Ci dice però anche tutta la sua delusione di fronte al fatto che, in questo caso, il ‘Re’ non è intervenuto e tutto è rimasto come prima. Matilde confessa, qualche volta, di fare appello alla mamma in modo non proprio onesto: se non vuole partecipare a un evento, le capita di chiederle di intervenire con qualche scusa. L’esperienza più rilevante la racconta Gabriele: l’anno scorso, insieme ad alcuni compagni, si è recato dal preside per lamentarsi di una professoressa che non si comportava in modo corretto. Evidentemente il preside ha compreso le loro ragioni, perché quest’anno ella non è più con loro. Ci colpisce molto scoprire che un meccanismo inventato migliaia di anni fa stia ancora funzionando: ci sono casi in cui la legge dà anche ai più piccoli l’accesso a un potere molto più grande di loro.
Notiamo, però, che chiedere aiuto non è mai facile: spesso si preferisce subire un torto che fare appello alla legge. Lora è la prima a dire che è difficile fidarsi di un altro, soprattutto se è uno sconosciuto con più potere di te: bisogna fare la fatica di spiegare bene ogni cosa, in modo che possa mettersi nei tuoi panni, ma il racconto a volte può essere molto doloroso. Thomas si immagina in una situazione lavorativa e pensa che spesso i capi preferiscano non avere problemi da affrontare: ci sono casi in cui chiedere aiuto significa mettersi nei guai. Isabel, invece, forse a partire dall’esperienza che ha già raccontato, teme che il potere ti lasci solo a portare le conseguenze della tua coraggiosa richiesta di giustizia: chi denuncia qualcosa deve essere tutelato, anzitutto. Viola, in questo, conferma la paura della compagna: il rischio è che qualcuno sottovaluti la situazione. Ma la paura più grande, dice Matilde, è che ci siano delle conseguenze in tutte le altre relazioni: come ci giudicheranno gli altri? Ci sono ingiustizie subite di cui le vittime si vergognano, perché si tratta comunque di ammettere una propria fragilità. Tutti pensiamo immediatamente alle donne vittime di violenza: le cose, a volte, sono molto più difficili di quanto non si immagini e chiedere aiuto non è per nulla scontato.
Poiché abbiamo raggiunto pian piano un livello di profondità molto importante, azzardiamo una domanda difficile: se la nostra richiesta di giustizia non sia spinta, talvolta, da un desiderio di vendetta e se la vendetta dia soddisfazione. Matilde è la prima a rispondere: ci sono momenti in cui gli adulti la mettono a tacere e lei non ci sta. La conosciamo bene, Matilde: è una ragazza molto intelligente e molto coraggiosa e capiamo benissimo che è più semplice, per qualcuno più grande di lei, metterla a tacere solamente perché è piccola. Ecco, quando succede, Matilde si arrabbia molto e vorrebbe vendicarsi, vorrebbe che qualcuno facesse stare zitto il suo interlocutore più grande. Lora ammette che le piccole vendette della vita a lei danno una grande e autentica soddisfazione, una sensazione di vittoria. Mattia non è d’accordo: quando si vendica, poi, sente un grande rimorso e si accorge che le cose non dovrebbero andare così. Viola sostiene che ci sono situazioni in cui la migliore vendetta è proprio non vendicarsi e spiega anche che spesso chi interviene nei problemi lo fa in modo affrettato, solo per chiudere una situazione: talvolta quella che chiamiamo giustizia è solo un modo per non affrontare mai veramente una difficoltà; ci si ‘mette una pietra sopra’, come si dice, ma sotto quella pietra il male rimane e, talvolta, prospera.
I Greci ci hanno insegnato un’altra cosa: la violenza è potenzialmente infinita e qualche volta ci vuole il coraggio di chiudere il ciclo delle ritorsioni. Chiediamo ai ragazzi come si possa, a loro avviso, fermare due persone che sono impigliate nel circolo vizioso della vendetta. Emma risponde subito: si deva dare il tempo per riflettere su una situazione, non è possibile solamente intervenire dall’esterno e imporre una pace, perché se due avversari non sentono entrambi una possibilità di giustizia, non saranno mai soddisfatti e non si raggiungerà mai un equilibrio.
Insomma, proprio come i Greci, anche noi abitiamo una tensione: quella tra i princìpi assoluti della giustizia e le mediazioni necessarie per poter vivere insieme senza che il male occupi tutta la scena. Siamo certi che le grandi opere che incontreremo in questo anno ci aiuteranno a vivere in queste opposizioni.