
LE PAROLE SONO IMPORTANTI

I FINI DELLA SCUOLA ELEMENTARE
MUSICA, MAESTRO!

Dalle tragedie della Grecia classica ai melodrammi ottocenteschi, dalle compagini orchestrali rinascimentali alle moderne orchestre sinfoniche, ogniqualvolta più uomini si sono riuniti per fare musica insieme, si è rivelata indispensabile una figura che li guidasse, concertando tra loro i singoli atti interpretativi, per fare emergere un unico canto comune, coerente nelle sue parti. Tale figura si è incarnata, nel tempo, in diversi personaggi, ciascuno con caratteristiche sue proprie, di pari passo all’evoluzione dei generi musicali, delle modalità d’esecuzione e ai luoghi che le ospitavano.
Il sistema musicale nel suo complesso, insomma, ha contribuito a delineare i tratti di quel personaggio – il cui agire appare ai più alquanto misterioso – che può essere visto oggi, nei teatri e nelle sale da concerto, condurre la folla degli orchestrali che gli sta davanti, disegnando figure nell’aria con la sua bacchetta
Il direttore d’orchestra, come noi lo conosciamo, nasce solo nella seconda metà del XIX secolo, grazie anche alle importanti teorizzazioni di Hector Berlioz (Le chef d’orchestre: théorie de son art, 1855) e di Richard Wagner (Über das Dirigiren, 1869), in cui sono sistematizzati i molteplici lineamenti della figura professionale: i trattati spaziano da questioni di carattere strettamente tecnico-esecutivo, come l’impiego della bacchetta, la necessità di volgere le spalle al pubblico, l’importanza di non scandire il tempo rumorosamente, a considerazioni di più ampio respiro circa l’aspetto interpretativo della direzione, come la scelta dei tempi e l’attenzione all’emergere di un’unica sonorità articolata dallo strumento-orchestra; in rilievo, inoltre, è posta l’esigenza, per ogni futuro direttore, di avvalersi di uno specifico percorso di studio. Tali trattati sono l’espressione scritta di diverse istanze che portarono alla definizione di un musicista che si occupasse della sola direzione musicale: l’allargamento degli organici orchestrali, la crescente difficoltà delle partiture, la maggior specificità delle indicazioni date dai compositori - e, in ultimo, la strutturazione degli spazi teatrali e le esigenze del pubblico - non permisero più a uno degli esecutori o al compositore stesso di dare indicazioni agli altri musicisti dall’interno e portarono alla nascita di una figura che si ponesse all’esterno, in piedi, cui tutti gli orchestrali potessero agilmente volgere il proprio sguardo. Fino a quel momento, infatti, il costume musicale prevedeva che le figure di compositore, esecutore e direttore si trovassero quasi sempre fuse insieme in un medesimo infividuo. L’istruzione degli orchestrali nelle fasi di prova era quasi sempre appannaggio del compositore, il quale, in età barocca, era solito dirigere l’esecuzione suonando al contempo il clavicembalo. Altro ruolo affine a quello del più moderno direttore era quello del Konzertmeister, perlopiù rappresentato dalla figura del primo violino, che dirigeva dal suo posto, con l’archetto, suonando magari soltanto i passaggi solistici più impegnativi.
In realtà, come dicevamo in apertura, muovendo a ritroso nei secoli, le origini della direzione possono essere rinvenute già nel ruolo di personaggi assai più antichi, come i corifei greci: essiavevano il compito di condurre l’esecuzione del coro, impegnato in canti, danze e a commentare quanto avveniva sulla scena. La pratica di istruzione e di direzione del coro fu mantenuta e progredì nel corso di tutta l’antichità, fino a giungere alla fondamentale attività dei magistri delle scholae cantorum medievali, responsabili della formazione e della direzione dei giovani coristi, in un’epoca di grande diffusione e assoluta centralità della musica sacra corale.
La successiva evoluzione della figura direttoriale si imperniò su due fondamentali esigenze, quella di scandire il tempo di esecuzione e quella di indicare l’andamento espressivo di una composizione, esigenze oggi sinteticamente soddisfatte dall’azione indipendente delle due mani del direttore: la destra si occupa di scandire il tempo, mentre la sinistra, polivalente, fornisce indicazioni riguardo le sonorità da raggiungere, gestisce le articolazioni e indica i diversi attacchi degli strumenti. Sebbene esista una gestualità ben codificata, ogni direttore trova spazio per una variazione personale, in un’attività che non si limita all’azione delle mani, ma che coinvolge l’intero corpo che, con il suo atteggiamento posturale, fornisce un’ampia gamma di indicazioni agli orchestrali, alcune delle quali non facilmente razionalizzabili in schemi ricorrenti. Al direttore è richiesta, infatti, insieme a una certa autorevolezza che ne attesti il ruolo di guida, l’essenziale capacità di comunicare in modo chiaro e inequivocabile, così da poter coordinare organici orchestrali spesso composti da diverse decine di elementi. Durante la fase di concertazione, ossia durante le prove in cui il brano viene strutturato secondo gli accorgimenti proposti dal direttore, egli può avvalersi anche di comunicazioni verbali; durante le esecuzioni, invece, ogni indicazione deve avvenire tramite gesti, atteggiamenti corporei, respiri ed espressioni facciali.
La musica è, in fin dei conti, un’arte che, per venire alla luce, necessita di interpreti e il direttore d’orchestra appare come vero e proprio intermediario tra le idee e le intenzioni messe per iscritto dal compositore e il pubblico di ascoltatori; interprete sommo, che conduce gli interpreti particolari nella loro espressione, fonde continuamente in sé il passato e il futuro di un’esecuzione, anticipando con i propri gesti quello che deve venire in virtù di quello che è appena stato, in un’interrotta produzione di suono. Senza strumentisti, le partiture rimarrebbero inerti segni di codice stampati su carta, ma, senza direttore, il loro canto sarebbe destinato a proseguire solitario, senza poter mai giungere a quella bellezza che solo un’armoniosa comunità di intenti può creare.