
DIARIO DI BORDO

PARLARE DI GUERRA AI RAGAZZI
REQUIEM DI MOZART — parte 1

Nell’ultimo anno della sua vita, Mozart lavora a due grandi opere paradossalmente diverse: il Flauto Magico e il Requiem.
Il primo è il trionfo del desiderio, dell’amore, della felicità senza ombre, che risuona tra le note dell’ultimo grande duetto, quello tra Papageno e Papagena. I due personaggi, colorati, ingenui, quasi infantili, sembrano rappresentare la quintessenza stessa della musica e del carattere di Mozart, della sua irriverente leggerezza, della sua fecondissima genialità; gli infiniti cuccioli dell’uccellatore e della sua compagna (ein klein Papageno, eine kleine Papagena…) somigliano alle 626 composizioni scritte durante la sua breve intensissima vita. D’altra parte, come è noto, il teologo protestante Karl Barth, scrisse: «Forse gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio, suonano la musica di Bach; sono certo, invece, che quando si trovano fra loro suonano Mozart e allora anche il Signore trova particolare diletto ad ascoltarli».
Su tutt’altre frequenze risuona, invece, il Requiem, rimasto incompiuto e completato dall’amico e allievo Sussmayr dopo la morte di Mozart; attorno a quest’opera, al suo misterioso committente, all’impegno che ha consumato il musicista, sono sorte storie e leggende, non ultima quella che ha dato vita al famoso film Amadeus, del 1984.
Per noi, però, si tratta anzitutto di chiederci cosa accada quando il desiderio incontra il suo limite estremo: la morte.
Il Flauto Magico e il Requiem, pur nella loro diversità o forse proprio grazie alla loro diversità, dialogano mirabilmente in un discorso coerente e persino necessario: cosa ne è del desiderio di fronte alla morte? I segni di una fine vicina, probabilmente, hanno gettato la loro ombra su entrambe le opere, ma è il Requiem a spiazzare ogni attesa dell’ascoltatore che, di Mozart, è abituato a percepire solamente la semplicità, la passione, la leggerezza. D’altronde, se l’orecchiabile musica di Mozart entra subito nel cuore e nella mente per porvi dimora eterna, il lavoro che vi soggiace è sempre imponente e la tecnica è perfetta, proprio come la semplicità di una grande quercia è frutto di secoli di evoluzione.
Ascoltare insieme il Requiem ci dà l’opportunità di entrare nel grande mistero dell’orchestra, fatta di strumenti dalle voci diverse che devono imparare a muovere la musica insieme, ad ascoltarsi, a non prevaricare l’uno sull’altro, con una raffinatezza relazionale e umana che lascia sempre sorpresi. L’abbiamo sperimentata noi stessi, grazie agli amici di AllegroModerato, una cooperativa sociale di Milano che mette la musica a servizio di tante persone fragili, insegnando loro a suonare insieme. Per una mattina anche noi, guidati dalla direttrice Pinuccia Gelosa, abbiamo suonato in orchestra, ci siamo ascoltati, aspettati, accompagnati, abbiamo sperimentato il legame tra i suoni, le emozioni, i significati, tutti già evidenti fin dalle primissime note.
Anche all’epoca di Mozart questi legami venivano elaborati e lo scrigno della grande musica si apriva sempre di più a tutti, usciva dalla Chiese e dai palazzi dei nobili, si rendeva accessibile nei teatri, generava i suoi miracoli nella gente comune. È ancora a Mozart e alla sua epoca che dobbiamo il dialogo tra strumenti solisti e orchestra tipico dei ‘concerti’: il timbro personalissimo e inconfondibile del clarinetto, ad esempio,risponde nell’opera K 622 alla voce degli altri strumenti, mettendo in musica la tensione tra individuo e società che tutti noi conosciamo benissimo, ma che talvolta non sappiamo capire.
La messa da requiem è tradizione della liturgia cattolica, che ricorda i suoi defunti durante i funerali, in occasione di anniversari, o il 2 novembre; le messe in suffragio dei defunti che si trovano in Purgatorio possono abbreviare la loro permanenza in quel regno e aprire loro le porte del Paradiso. Si chiama requiem anche la composizione musicale che utilizza i testi della liturgia cattolica. Per questo, i brani del requiem sono in parte tratti dall’ordinario della messa (Kyrie, Sanctus, Agnus Dei), in parte da testi poetici e liturgici scritti per la memoria dei defunti (soprattutto la lunga sequentia). Mozart,dunque, dovette musicare un testo antico.
Scelse il re minore, una tonalità che, fra le chiavi minori, notoriamente tristi, non è mai disperata. Oltre alla sua musica, non conosciamo a fondo il pensiero di Mozart sulla morte; solo in due lettere ne parla: la prima rivolta al padre nel 1787, la seconda, nell’anno della sua morte (1791), rivolta a un amico. I toni sono molto diversi. Al padre scrive:
«Dato che la morte, a ben guardare, è la vera meta della nostra vita, già da un paio di anni sono in buoni rapporti con questa vera, ottima amica dell’uomo, così che la sua immagine non solo non ha per me più niente di terribile, ma anzi molto di tranquillizzante e consolante!»
Nella lettera all’amico Da Ponte, si intuiscono una libertà e una autenticità maggiori: «La vita era pur sì bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza, termino, ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto».
Qualunque fosse il suo sentire, certo è che per Mozart il Requiem diventa l’occasione, unica, per mettere l’appassionato desiderio della musica di fronte al suo limite ultimo: la morte. E ciò che ne risulta è un miracolo.
(continua…)