
IL COSTO DELLA CORSA

LA SOCIETÀ CHE DISABILITA
IL RITRATTO DI DORIAN GREY — parte 1

Bello come un dio è Dorian Gray, protagonista di questo capolavoro della letteratura inglese, l’unico romanzo composto dal tanto geniale, poliedrico, intelligente quanto sfortunato, discusso, bistrattato Oscar Wilde nel 1890, dieci anni prima della sua morte. A quel punto della vita, Wilde ha sofferto già molto: nonostante l’intercessione di tanti amici e colleghi, ha scontato l’intera pena inflittagli dalla puritana Inghilterra per il suo orientamento sessuale. Oscar Wilde e Dorian Gray vivono la stessa epoca, le stesse contraddizioni, gli stessi desideri. Entrambi condividono la grande questione del romanzo: il senso e il destino della bellezza.
Basil, pittore e amico del giovane Dorian, lo descrive come un uomo di una bellezza e di un fascino tali, che, nel momento stesso in cui gli chiede di posare per un ritratto, intuisce che questa esperienza cambierà per sempre la sua vita.
Proviamo a interrogarci sul senso della bellezza nelle nostre vite e, come immaginavamo, ne scaturisce un dialogo appassionato, dal momento che l’argomento interroga e coinvolge ogni età della vita. Senz’altro la bellezza genera emozione e sensazioni piacevoli e qualcuno addirittura le attribuisce l’insolito aggettivo di “inutile”, a significare che questa dote libera dal vincolo di ciò che è necessario: sedersi di fronte a un tramonto, ammirare un quadro o ascoltare una musica sublime è bello, bellissimo in sé e non per i profitti che genera. Fin da subito quindi risulta evidente che diversa è la bellezza della natura, di un oggetto, di un canto da quella di un essere umano che chiede sempre la capacità di distinguere tra involucro e interiorità. La bellezza di un fiore non inganna e si conclude in se stessa, mentre la bellezza delle persone può celare degli abissi di ambiguità, inganno, potere.
I giudizi dei ragazzi, dettati da chissà quali piccole esperienze, sono mediamente severi: la bellezza crea dipendenza, imprigiona e influenza; spesso è legata a stereotipi e a etichette escludenti.
Nessuno però si arrende di fronte al misero detto: “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace!”. Siamo accademici, nani sulle grandi spalle di Platone e reduci dalla lettura del Simposio. Dai Greci abbiamo imparato il legame tra bellezza e kosmos, l’ordine perfetto. Ordinato è l’infinito cosmo, ma cosmetica è anche l’arte di rendere bella una persona mediante artificio.
Eppure non esisterebbe ordine cosmico se l’uomo non lo avesse scoperto fuori di sé e dentro sé: basti pensare ai quattro punti cardinali: l’uomo primitivo osserva fuori di sé la traiettoria del sole e fissa due punti chiamando oriente il punto in cui sorge e occidente il punto in cui muore. Poi, aprendo le braccia, compie l’ordine nel settentrione e il meridione. Come l’ordine cosmico, dunque, è per metà opera del mondo e per metà opera dell’uomo, così è la bellezza: metà ricevuta e metà costruita nell’insolubile intreccio dell’uomo e del suo mondo.
Ancora una volta la sapienza greca è stata capace di dare nome alla tensione fra ciò che è dentro e ciò che è fuori dall’uomo, coniando il termine καλοκαγαθία (kalokagazìa), bellezza-e-bontà, caratteristica della virtù dell’uomo greco. Sarebbe ingenuo contrapporre, come spesso si fa, bellezza interiore e esteriore e suona sempre facile scorciatoia sostenere il primato di un’interiorità bella rispetto all’esteriorità. Ai ragazzi siamo soliti fare questo esempio: nella composizione di un tema, avere dei contenuti ricchi e di spessore è certo fondamentale, ma se a essi non si dà forma corretta, armonica e ordinata, la perla preziosa rimane inaccessibile. D’altro canto uno stile perfetto involucro di banalità e stoltezze da solo non basta. Confortante e promettente, come ancora diciamo ai ragazzi, è la certezza che sia più semplice lavorare sulla forma rispetto al contenuto: imparare a scrivere correttamente è più semplice che arricchire un cuore e una mente vuoti.
Il ritratto di Dorian Gray è la storia del mistero magico e inquietante che lega bellezza e bontà…
Al principio del romanzo, mentre posa per il suo amico pittore, Dorian pur consapevole della sua prestanza, non ne conosce il potere e non sembra curarsene. È il sinistro, quasi mefistofelico Lord Harry a insinuare lentamente e subdolamente nel giovane l’ossessione per il suo aspetto, sostenendo che vero mistero è il visibile e non l’invisibile. Quando, nel giardino di Basil, durante una pausa, Harry invita Dorian a ritrarsi dal sole che potrebbe rovinare il suo divino incarnato, il ragazzo per la prima volta avverte la fragilità del dono ricevuto. Nel giro di poche pagine, Dorian, nelle mani del diavolo Harry, è a tal punto prigioniero della sua giovanile perfezione estetica, che di fronte allo splendidoritratto, pronuncia questa assurda invocazione: «io diventerò vecchio, orribile, spaventoso mentre questo ritratto rimarrà sempre giovane… o se fosse il contrario, se fossi io a restare sempre giovane e il ritratto a invecchiare? Darei perfino l’anima mia per questo!»