
“SE VA AVANTI COSì…”: DALL’UTOPIA ALLA DISTOPIA

QUEI “NOSTRI” MOSTRI
E IL NOME DI MIO FIGLIO?

Il nome a un figlio lo si dà ancora prima che nasca, ancora prima di conoscerlo e di vedere quel faccino che per nove lunghi mesi ci si è immaginato con curiosità, desiderio e speranza. È la prima domanda di amici e conoscenti, appena appresa la lieta notizia: come lo chiamerete? E ogni mamma tende a non rivelare subito la decisione: vuoi per vezzo, vuoi per scaramanzia, vuoi per non sorbirsi giudizi, consigli, pressioni. Appena una creatura irrompe nel mondo, il mondo la conosce per nome. Al quale poi si aggiunge certamente un cognome che però non ha la stessa poesia, lo stesso fascino. È il nome che dà nome a un miracolo.
Una mamma ama il nome del proprio figlio, spesso più di quanto non faccia il figlio stesso che nella scelta non ha avuto parte, ne ama il suono, e se anche al mondo ci sono milioni di persone che si chiamano come suo figlio, per lei Alessandro è solo il suo Alessandro e Sofia è sola la sua Sofia, le altre mille sono sofie che nulla hanno a che fare con la sua. Innervosisce una mamma la domanda: “come sta mio nipote?” o “è la sorella di…?” Non è tuo nipote, è Alessandro; non è la sorella di…, è Sofia!
23 maggio 1992, primo anniversario della strage di Capaci. Don Luigi Ciotti si trova sul luogo, in mezzo a rappresentanti delle Istituzioni, poliziotti, magistrati, gente comune. Accanto a lui una donna, consumata più che piccola, vestita di buio, più che di nero,di un buio che non lascia spiragli alla luce; piange, piange ininterrottamente forte, senza vergogna. Immagino come pianga, erede delle antiche prefiche: un pianto straziante che ha i toni di un canto arcano, lacrime che sgorgano dagli occhi come note intonate ai lamenti del cuore in una sinfonia di dolore inconsolabile. Il pianto incessante è sottofondo a parole pronunciate con emozione, enfasi, rabbia, coraggio, commozione da voci che si susseguono nel ricordo dell’eroe magistrato Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei ragazzi della scorta. Da un anno, il Paese intero risuona dei nomi degli eroi Falcone e Borsellino e dei ragazzi della scorta, dei giudici Falcone e Borsellino e dei ragazzi della scorta, degli grandi uomini Falcone e Borsellino e dei ragazzi della scorta, della dedizione incondizionata di Falcone e Borsellino e dei ragazzi della scorta, del coraggio di Falcone e Borsellino e dei ragazzi della scorta…
La donna in nero afferra improvvisamente la mano di Luigi Ciotti e punta negli occhi di lui i suoi occhi, occhi che l’uomo non scorderà mai più e parlando e piangendo insieme gli sussurra: “e il nome di mio figlio, perché non lo dicono mai?”
Si commuove il presidente di Libera, raccontando questo episodio nella seduta della Commissione Antimafia, tenutasi nella Sala consiliare di Palazzo Marino il 24 febbraio scorso, seduta alla quale ho avuto l’onore di poter assistere, invitata dall’amico Pantaleo che di quella Commissione è presidente. Si commuove come se la cosa fosse successa ieri, e invece sono passati trent’anni: quante volte avrà raccontato quei minuti strazianti, davanti a quante commissioni, a quante persone? Eppure nella sua voce c’è l’emozione di una prima volta, questo mi colpisce moltissimo! Magro, un po’ sciupato, raffreddato, don Ciotti in piedi grida il suo racconto, si passa le mani fra i capelli ormai tutti bianchi, ripete le ultime parole delle frasi importanti, in una eco che non lascia dubbi alla sua passione, alla sua determinazione, al suo infaticabile coraggio. È da quella terribile domanda di Carmela Montinaro, madre di Antonio, non di “un ragazzo della scorta”, che nasce la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Antonio Montinaro, insieme a Rocco Dicillo e Vito Schifani, viaggiava nella prima delle tre auto che accompagnavano il magistrato dall’aeroporto a Palermo: sono i primi a morire, la loro auto sbalzata a dieci metri di distanza dall’esplosione di sessanta chili di tritolo.
Chiedendo che suo figlio fosse chiamato per nome, quel nome che lei stessa aveva scelto trent’anni prima per il suo bambino, mamma Carmela lo partorisce una seconda volta nello strazio. Don Ciotti intuisce quello strazio nella sua verità più profonda e non esita a mettersi al lavoro per restituire la dignità del nome a centinaia e centinaia di vittime innocenti: la giornata della memoria delle vittime innocenti delle mafie si svolge ogni anno in città diverse, il primo giorno di primavera, dal 1996. Nel 2007 la Camera dei Deputati con voto unanime istituisce e riconosce questa giornata, conferendole ulteriore dignità. Dal 1996, ogni anno, un corteo lungo e sempre partecipato raggiunge il cuore di una città e poi si ferma e ascolta in silenzio la lettura ad alta voce di un elenco infinito di nomi, un elenco che – sottolinea don Ciotti – non è e forse non sarà mai completo, perché ancora non si conoscono i nomi di tutte le persone che, anche solo per una fatalità, anche solo per trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, sono state cancellate dalla peste mafiosa.
La manifestazione del 21 marzo quest’anno torna, dopo tredici anni, a Milano nella sua ventottesima edizione. Sono attese, come sempre, migliaia e migliaia di persone che si riuniranno attorno a uno slogan tanto semplice, quanto significativo: è possibile!
È possibile, è vero, che ognuno di noi rifletta su di sé, alla ricerca di pensieri e atteggiamenti equivoci, poco trasparenti, utilitaristici; pensieri e atteggiamenti mafiosi, chiamiamoli con il loro nome, perché in ognuno di noi può covare l’ombra della mafia. È possibile che, trovatili, li combatta! È possibile, è vero, che ognuno di noi faccia la sua parte, unendo il suo piccolo mattone accanto a quello del vicino, per costruire l’unico muro di cui ci sia bisogno: quello che argini i tentacoli del ricatto, dell’usura, dell’estorsione che esistono anche fra le pareti di una scuola, fra i ragazzi più giovani, dove si chiamano bullismo, prepotenza, strafottenza, maleducazione. “È possibile — diceva Roberto Maier proprio nell’articolo della scorsa settimana “Le parole sono importanti” — è l’unica parola che abbia senso pronunciare davanti al dolore”.
La grande manifestazione della mattina del 21 marzo sarà preceduta e sarà seguita da altri momenti importanti e significativi (https://www.libera.it/schede-2109-e_possibile ) e nessuno è troppo piccolo per prendervi parte, guidato magari da un adulto che sappia comunicare la grandiosità dell’evento.
Mi ha molto colpita l’intervento del vice sindaco Anna Scavuzzo che, in apertura, ha sottolineato come l’aver assistito a terribili fatti di sangue sia stata per l’Italia degli anni Novanta la molla che ha fatto scattare il combattimento duro contro la mafia. L’auspicio per le nuove generazioni è duplice: da una parte, certamente, che non debbano più assistere a eventi di sangue tanto tragici e, d’altra parte, che sappiano comunque, anche in assenza di ferocia, mantenere alta la memoria e la volontà di lottare.
Com’è vero! Memoria è una di quelle parole abusate, che rischia di voler dire tutto e niente, incrostata di retorica: il passato sfuma inevitabilmente ed è sempre e solo la vita in diretta che fa presa sugli animi e li mette in movimento. Certamente l’orrendo omicidio dei giudici Falcone e Borsellino, di Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, di Francesca Morvillo, di Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, nell’estate siciliana del 1992, ha impresso una svolta potentissima nella vita, nella mentalità, nel costume degli Italiani. Ma la scommessa vera è l’azione e non sempre e soltanto la reazione, è la cura della radice non del sintomo. L’ultima mafia – ha detto don Ciotti – è sempre la penultima, perché il codice genetico mafioso passa da un boss al suo successore per essere modificato, adattato al presente: come sarà la mafia che verrà? Tanto, tantissimo è stato fatto fino a oggi e sarà questa straordinaria positività la protagonista della manifestazione del 21 marzo. Ma molto ancora bisogna fare in una lotta che deve essere meticcia! Bellissimo l’aggettivo scelto per dire di una lotta che deve davvero riunire la volontà e l’impegno di persone tutte diverse, di tutte le istituzioni, di tutte le realtà possibili e immaginabili in ogni ambito.
L’obiettivo di questa lotta è che nessuna madre debba più piangere lacrime di strazio in attesa di sentire commemorare il nome di un figlio barbaramente ucciso dalla mafia.