
LA TERZA F

COLLEZIONE MONZINO: LA CULTURA COME BENE COMUNE
SETTANTASETTE MERAVIGLIE E UNA RISPOSTA

«Di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda». Italo Calvino, nelle Città invisibili, sembra annunciare che c’è viaggio e viaggio: su questa sua affermazione ci siamo confrontati con i ragazzi, nell’ultimo incontro dedicato al futuro come partenza e in particolare alle migrazioni.
Certo, l’uomo è da sempre un viaggiatore, ma cosa significa che la vita è un viaggio? Abbiamo raccolto molte figure di possibili viaggi: la più intuitiva è una retta. Ma subito le cose si complicano: una cosa è parlare di retta, che non ha inizio né fine, altro è la semiretta, che si avvia in un momento preciso, ma non termina mai. Alcuni viaggi sono semplici segmenti, da un punto a un altro, altri ancora sono un vagare non lineare. Ma forse il viaggio più importante, quello della vita, che è un grande viaggio per trovare se stessi, è rappresentato da un cerchio. A differenza di Dante, che lo vedeva esploratore dell’ignoto, noi oggi sappiamo che il primo grande viaggiatore della letteratura, Ulisse, semplicemente torna a casa sua, per ritrovarsi nelle sue radici e nei suoi affetti. Nel testo Sull’oceano, De Amicis racconta che sul Galileo, appena uscito dal porto di Genova, un migrante maledice la propria patria. Certo, possiamo intuirne le ragioni, ma l’immagine ci ha molto impressionato. «Se c’è un peccato contro la vita — scrive Albert Camus — è forse non tanto disperarne, quanto sperare in un’altra vita, e sottrarsi all’implacabile grandezza di questa»: il viaggio non può mai essere una liberazione dalle proprie responsabilità, prima tra tutte quella di diventar se stessi.
Certo, partire si deve, per crescere: man mano che gli anni passano, si perdono abitudini, idee, amicizie, ma si guadagnano esperienze, saggezza e ricordi. Tuttavia, chi è ovunque, non è da nessuna parte (Nusquam est, qui ubique est, dice Seneca a Lucilio). La storia singolare di ogni essere umano chiede sempre di lasciare una casa, ma per costruirne una nuova. L’idea che il cambiamento di luogo, in se stesso, generi davvero una crescita, è un’illusione. Il rischio di chi parte è sempre uno sradicamento, è un vuoto che non si riempie più, come nelle statue di Bruno Catalano. Ciò che si perde deve essere reintegrato, dicono i ragazzi, e lo spazio che si genera non può restare aperto per sempre, altrimenti non avrebbe alcun senso e la vita, con il passare del tempo, diventerebbe un colabrodo.
Guardando ai migranti di oggi, ripensiamo alle loro tragedie, non ultimo il naufragio di Cutro. Chi parte, spesso, sa di avere moltissime probabilità di fallire, ma accetta l’azzardo perché restare è diventato impossibile. Immediatamente pensiamo ai figli. A differenza dell’infelice opinione di qualche politico, che ha accusato i genitori di metterne a rischio l’esistenza mettendosi nelle mani degli scafisti, siamo tutti concordi nel riconoscere che sono proprio i bambini, spesso, la ragione per cui si emigra. Ma sono anche la speranza che il vuoto possa essere, almeno nella loro vita, colmato: metteranno radici, costruiranno relazioni, edificheranno una casa. Il poeta Charles Péguy diceva proprio questo: «tutto quello che si fa, lo si fa per i bambini e sono i bambini che fanno fare tutto, come se ci prendessero per mano». È un’immagine potente, anche perché molti dei nostri ragazzi sono arrivati così, in Italia: trasportati dalla speranza di una vita migliore ma anche completa. Per meno di questo, è inutile partire.
C’è un vizio molto comune oggi, tra chi non parte per necessità, ma per svago: inanellare un viaggio dopo l’altro, un’esperienza dopo l’altra, spuntando le città e le nazioni da un ipotetico elenco di mete esotiche. Lo fanno tanti adulti, con affermazioni paradossali: «in India ci sono stato», oppure «Roma l’ho già vista». Viaggiare senza portare delle domande nel proprio bagaglio, avvertiva Calvino, è il modo migliore per non apprezzare nulla, per vedere senza guardare e trovarsi le mani e la memoria vuote. La trasformazione del viaggio in turismo rischia di rendere tutto un vezzo, alla mercè di agenzie e di ricchi portafogli. È facile invidiare ragazzi che possono permettersi vacanze in paesi lontani, confessa qualcuno, ma non è affatto detto che, al ritorno, siano davvero più ricchi. E non è solo un premio di consolazione: a volte un libro, una storia, una musica sono viaggi altrettanto preziosi. Eppure anche i nostri viaggi letterari sarebbero inutili senza queste domande con le quali, non a caso, termina ogni nostra avventura nel testo.