
OGNI ‘MPIDIMENTU È GIUVAMENTU

I GRANDI DONI DEGLI DEI
ENUMA ELISH: IL PRIMO MITOLOGICO BIG BANG

In Oppenheimer, l’ultimo film di Christopher Nolan, la narrazione si sviluppa attorno a una scena che è forse destinata a rimanere nella memoria come una delle più potenti degli ultimi anni: l’esplosione della prima bomba atomica, nel centro di Los Alamos. La scena dell’esplosione divide, di fatto, il film a metà: la prima parte ha i toni dell’entusiasmo della ricerca, della frenesia del risultato; la seconda l’amarezza di una tecnologia che ha diviso la storia umana a metà, inaugurando il ricatto della distruzione, che ancora governa la politica internazionale. Il regista non ha usato alcuna tecnica digitale, ha ricreato un’esplosione controllata e ce ne ha mostrato l’energia con un montaggio mozzafiato. Il risultato finale è impressionante: alcuni lunghissimi minuti in cui fiamme e lapilli illuminano il deserto e i volti degli scienziati, in un silenzio totale; poi l’arrivo dirompente del rombo della deflagrazione, che sconvolge le orecchie e i cuori. La differenza tra la velocità della luce e quella del suono, un fenomeno fisico, diventa l’occasione per evidenziare il ritardo con cui tutti, sempre, fronteggiamo le conseguenze delle nostre azioni. L’ebrezza della scoperta, l’ubriacatura dell’energia, cede il passo alla necessità di far fronte a ciò che si è prodotto. È lì che, spesso, il gioco si fa duro.
Non potevamo scegliere un’icona più eloquente per incominciare il nostro viaggio attorno alla parola energia, perché la scienza, la fisica, la tecnologia, sono sempre solo l’inizio: poi arriva l’essere umano e la sua responsabilità.
La parola, come abbiamo già scoperto, è molto antica: proviamo a partire dall’inizio. L’inizio, per noi, è un testo antichissimo, uno dei più antichi miti che ci consegna la profondità della storia. Enuma eliš è il titolo di un racconto scritto nel XII secolo a. C. a Babilonia, giunto grazie a sette tavolette d’argilla, alcune delle quali molto rovinate, scoperte nel 1875 dall’archeologo George Smith. Sono scritte con quell’alfabeto cuneiforme che fu elaborato in Mesopotamia, in una delle regioni culturalmente più feconde. Lo ascoltiamo e lo leggiamo insieme ai ragazzi, per confrontarlo con altri miti di creazione a esso vicini nel tempo (la Cosmogonia di Esiodo e la creazione biblica), ma anche con l’intento di paragonarlo al grande racconto moderno sulla nascita dell’universo: quello del Big bang. Sorprendentemente, infatti, già all’alba della storia, all’inizio del mondo si è immaginato esserci un’immensa esplosione, un’enorme emissione di energia.
Leggere Enuma eliš è già di per sé un’avventura: abbiamo una trascrizione italiana ma, ovviamente, è piena di parti mancanti e, là dove la tavoletta è spezzata, occorre colmare i vuoti con la fantasia. Tradurre la scrittura cuneiforme è un’impresa: gli archeologi e gli esperti di scrittura hanno dovuto confrontare i segni di migliaia di tavolette, prima di poterci capire qualcosa. Così, la traduzione che oggi, grazie a internet, abbiamo tra le mani in modo così immediato e semplice, ha già di per sé i tratti di un’impresa titanica. Ma c’è un altro elemento che viene in aiuto al traduttore: gli esseri umani, nei secoli, hanno mutato il lessico e la grammatica, ma non i grandi temi a cui si espongono. Amore, odio, amicizia, affetto, invidia ci riguardano da quando siamo consapevoli di noi.
«Enuma eliš: Quando lassù – inizia il racconto – il cielo non aveva ancora nome…». Quando ancora non esistevano nomi (perché ciò che esiste ha un nome, perché esistere significa avere un nome), c’erano solo Apsu, l’acqua salata e Tiamat, l’acqua dolce. I primi dei, gli dei del principio, sono acqua: la vita viene sempre dall’acqua, come un bimbo nella placenta. E, poiché l’acqua genera, anche Apsu e Tiamat generano gli altri dei. Prima Lahmu e Lahamu, poi, da loro, Anshar e Kishar, dei minori. Poi, ancora, Anu che genera da sé Ea, un dio potentissimo, che sarà, insieme a Damkina, genitore di Marduk, il dio degli dei, il più potente di tutti. Nel mito, infatti, gli dei più potenti non sono i primi: l’energia sembra non consumarsi, ma potenziarsi di generazione in generazione.
Ma, con l’energia, aumenta anche il movimento, lo scompiglio, il rumore: racconta il mito che Tiamat e Apsu, alla nascita degli altri dei, non poterono più riposare. La confusione era tale che Apsu, consigliato dal suo servitore, un tirapiedi di nome Mummu, fu tentato dal desiderio di distruggere i nuovi arrivati. Vi si oppone con forza Tiamat, che chiede di fare appello alla pazienza e alla benevolenza, sorpresa che nel cuore della realtà sia apparso, attraverso la mediocrità di Mummu, un proposito di male.
E, poiché il male, una volta giunto, non sembra volersene andare, gli dei minori – avendo origliato i discorsi di Apsu e Tiamat – decisero di sbarazzarsi del padre e, tramando contro di lui, lo uccisero. Tutto sembra tornare pacifico, ma tutto è in realtà diverso: dopo una breve pausa, la nuova generazione, quella del potentissimo Marduk, dà vita a una seconda crisi, per gli stessi futili motivi della prima. Ancora giovinetto, Marduk ha ricevuto in dono dal nonno Anu, i quattro venti: con essi gioca, alza polvere, fa rumore. Tiamat, questa volta, lei stessa aizzata dagli dei minori rimastile fedeli, dimentica pazienza e benevolenza e decide di risolvere la questione una volta per tutte. Crea un esercito di undici mostri, li affida a Qingu e li vota alla distruzione degli altri dei. A questi, terrorizzati dalla madre, non resta altro da fare che affrontare la minaccia: è in questo contesto che decidono di affidare il comando a Marduk, eleggendolo dio di tutti gli dei e donandogli i loro poteri, perché ne faccia buon uso in battaglia
Lo scontro è epico: dopo aver affrontato i mostri, Marduk si trova di fronte Tiamat, fattasi drago. La affronta con coraggio e, quando la grande madre spalanca le fauci per divorarlo, getta in lei tutta la potenza dei suoi venti. Tiamat si gonfia come un pallone e a Marduk non resta che colpirla con la lancia, facendola esplodere in un mitologico primo Big bang. Dal corpo straziato di Tiamat, Ea costruisce il cielo e la terra, le montagne e i mari; dai suoi occhi fa sgorgare il Tigri e l’Eufrate e nella pianura tra i due fiumi, Marduk fonda il primo santuario, a cui viene dato il nome di Babilonia.
Gli dei, stanchi della battaglia, pretendono la creazione di un nuovo essere a cui affidare l’onere e la fatica del lavoro, per poter vivere, finalmente, in ozio. Marduk, dal sangue del perfido Qingu, crea gli esseri umani, destinati da sempre a servire gli Immortali.
Sebbene il mito non sia privo di poesia – intenerisce che il nome della luna sia proprio Nanna – il messaggio è chiaro: l’energia, persino quella creatrice, è anzitutto violenza. Certo, non una violenza voluta dagli dei: il male è da subito banale, si insinua per l’opera subdola di esseri striscianti e mediocri. Tuttavia, ciò che esiste deriva da un contrasto, da una guerra, da un’esplosione. Il sangue deve scorrere, affinché qualcosa si generi e, ogni volta che un nuovo essere viene al mondo, porta scompiglio, inimicizia e sospetto. Gli esseri umani hanno incominciato da qui il loro discorso sull’energia. Ma è tutt’altro che concluso…