
I GRANDI DONI DEGLI DEI

LE VOCI DEL MONDO NUOVO
PER VIOLENZA, PER DESIDERIO, PER GIOCO (parte 1)

La nostra Accademia è bella anche perché raccoglie ragazzi di nazionalità e di religioni diverse e, benché giovani, appaiono già spesso differenze sottili nel modo di porsi di fronte alle cose grandi della vita. Ci pare doverosa e necessaria, per questo, una precisazione sulla parola mito che, nella lingua greca da cui nasce, significava niente altro che favola. Il mito, dunque, non è religione e non è fede: il credere, il rapporto con il trascendente, appartiene a una sfera intima che ogni uomo si costruisce e vive a tu per tu con il mistero di Dio. Racconti sono invece i grandi miti di ogni cultura, favole create dalla sensibilità antica per provare a spiegare i grandi eventi della natura e dell’esperienza umana, a porsi di fronte all’ignoto, a non esserne sopraffatti. Il filosofo Ernst Cassirer dice che l’uomo, nel corso dell’evoluzione del pensiero e della storia, è ricorso a tre strumenti per tentare l’impresa titanica di indagare e comprendere l’universo: il mito prima, la filosofia poi, e infine la scienza. Si tratta di tre forme simboliche e, per questo, insegniamo ai ragazzi che non bisogna mai sentire intaccate le proprie credenze di fronte a racconti di dei, perché i miti sono solo favole, mai sovrapponibili all’atto di fede.
Il mito – che, secondo la bellissima definizione che ne dà lo storico latino Sallustio, «mai fu, ma sempre è» – di questi tre strumenti resta forse il più poetico e pieno di fascino, come dimostrano anche l’attenzione e la partecipazione dei ragazzi a questi primi incontri di Accademia, dedicati all’energia della creazione del cosmo e dell’uomo secondo tre miti antichi.
Profondamente debitori del mito elaborato dai Babilonesi ma, più in generale, dai popoli mesopotamici, i Greci tesserono la loro versione dei fatti, intrecciando su un ordito noto, una trama di fili e colori nuovi e particolari. Dispieghiamo sulla lavagna l’enorme carta della mitologia greca che, da sola, basta a suscitare l’emozione dei ragazzi. Ci guida nella sua lettura la Teogonia di Esiodo:
Dunque per primo fu Caos, e poi Gaia dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti gli immortali che tengono la vetta nevosa d’Olimpo, e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade, poi Eros, il più bello fra gli immortali, che scioglie le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini doma nel petto il cuore e il saggio consiglio. (vv. 116 – 122)
Caos non era tanto il disordine, nome che suona così familiare ai ragazzi, quanto un abisso vuoto e indistinto dove tutto si creò. Poi compare Gaia, Gea, altro nome che subito ai ragazzi dice qualcosa. Ed è interessante quella piccola congiunzione poi che dice di una apparizione misteriosa, di cui non si conosce l’origine perché lei stessa, con Caos, fu origine.
Un altro piccolo poi ed ecco apparire Eros, anch’esso noto ai ragazzi perché forse non babilonesi, ma greci un po’ di certo lo sono già anche loro!
Dunque: Caos, Gea e poi questo terzo strano principio che non è una divinità, bensì una energia: l’energia del desiderio che attira maschile e femminile. È l’energia alla base di tutta la procreazione. Eros non avrà mai figli suoi perché è potenza generatrice e infatti, benché Gea, principio femminile, autogeneri prima Urano, il cielo e Ponto, il mare, in un secondo momento, per volere di Eros, si unisce a Urano e Ponto. Zeus, universalmente come padre di tutti gli dei, in realtà è l’ultimo nella successione dei re divini e potrà affermare la sua potenza soltanto sottraendosi con l’aiuto tutto femminile di mamma e nonna alla violenza maschile del padre.
Ma andiamo con ordine. Gea e Urano, generano, fra gli altri, Cronos ma, di fronte alle sue stesse creature, Urano sente il tormento della competizione e decide di eliminarle una via l’altra. Mamma Gea non sopporta questa violenza e con l’adamante – materiale primogenio, non meglio identificato – costruisce una falce escogitando un losco piano di vendetta, la cui realizzazione affida alle mani di Cronos. Mentre Gea e Urano, Terra e Cielo, riposano distesi l’uno sull’altra, Cronos con un deciso colpo di falce evira il padre, lanciandosi alle spalle il delicato bottino: ma poiché i Greci già sembrano sapere che l’energia si modifica ma non va perduta, dalle gocce del sangue di Crono nascono Erinni e Giganti dalle fosche tinte, mentre dai genitali caduti nel mare di Cipro, nasce, emergendo da morbida schiuma candida, ἄφρος (afros) in greco, niente meno che Afrodite: da Eros, desiderio amoroso, pur attraverso un passaggio violento, si giunge a Afrodite che dell’amore è signora indiscussa.
Urano si rimette quieto quieto al fianco della madre/moglie («come Edipo!» – esclama entusiasta Lora, riconoscendo i tratti inquietanti del mito) e tutto sembrerebbe tornare alla calma, se non fosse che Crono, punito il padre, della sua stessa colpa si macchia, una volta unitosi con Rea. Temendo la potenza dei figli, comincia a inghiottirseli, uno dopo l’altro, finché la mamma disperata, in procinto di partorire Zeus, escogita con sua madre il celeberrimo trucco per interrompere la strage delle sue creature: al marito ghiottone dà in pasto una pietra avvolta in morbide fasce, e il piccolo Zeus viene spedito con la nonna a Creta sul monte Ida dove, nascosto in una grotta e salvato dalle danze sfrenate dei Cureti che nascondono con il frastuono i suoi vagiti, il divino bambino cresce e diventa forte. Cronos vomita la pietra e tutti i figlioli e il sipario cala su un Olimpo ormai in pace.
È il momento di porre il mito greco a confronto con quello babilonese. Partiamo dalle analogie: Matilde nota subito che in entrambe le narrazioni gli dei più potenti non sono i primi, ma i figli sembrano sempre prevalere sui genitori, tanto Zeus quanto Marduk. Forse per questo motivo il nuovo che avanza fa paura o genera disagio, al punto da far scaturire timore e violenza. Ancora Matilde, sorprendendoci dall’alto della sua prima media, nota che in entrambi i miti, da un corpo divino dilaniato dalla violenza nasce nuova vita: dal corpo di Tiamat il mondo, dal corpo di Urano Afrodite: niente meno che una delle letture del filosofo Emanuele Severino, il quale sostiene che nel mito la realtà risulta sempre da un dio smembrato. Lora sottolinea come i genitori non vadano mai d’accordo, essendocene sempre uno buono e uno cattivo; Emma sconsolata rileva una delle realtà più tristi dell’umanità: di generazione in generazione, si compiono sempre gli stessi errori e Mattia si stupisce di come gli dei non cerchino altro che la loro egoistica tranquillità. Arianna nota che nel processo di violenza nascono sempre dei mostri, destinati a rimanere nella realtà e a moltiplicare il male.
Molte sono anche le differenze: la prima, evidente a tutti, è il numero dei principi originari nei due miti: due le forze dell’Enuma Eliš, una maschile e una femminile, tre per i Greci che, come abbiamo detto, introducono l’energia di Eros, il desiderio amoroso. Elisabetta sottolinea orgogliosa il ruolo esclusivamente positivo delle figure femminili greche, Gea e Rea, rispetto all’ambigua Tiamat e Lora conclude che, mentre nel mito babilonese la scena è sostanzialmente dominata dalla violenza, con i Greci compare l’amore.
C’è poi il mito ebraico… (continua)