
PER VIOLENZA, PER DESIDERIO, PER GIOCO (parte 1)

PER VIOLENZA, PER DESIDERIO, PER GIOCO (parte 2)
LE VOCI DEL MONDO NUOVO

L’atto performativo reca in sé una magia del tutto particolare: da un lato offre a chi vi assiste un’esperienza unica nel suo genere, che difficilmente può confondersi nel flusso di esperienze che caratterizzano il quotidiano; dall’altro, permette a chi ne è protagonista di entrare, nel tempo della sua durata, in una dimensione altra, in cui diventa tutt’uno con il proprio agire. Pare di potersi sottrarre al solito e soffocante scorrere del tempo, sono evocati sentimenti ed esperienze passate che costituiscono un tutt’uno, circolare, sempre presente. È importante che bambini e giovani possano fin da subito sperimentare sensazioni di questo tipo, traendo beneficio dal loro influsso e maturando insieme a esse: questo è uno degli obiettivi principali del nostro centro di cultura, tramite cui tentiamo di condurre i nostri allievi ad approcciarsi alla musica non come un mondo separato, cui si può accedere in momenti di tempo sempre limitati, ma per portarli, in un certo senso, a divenire essi stessi musica. La possibilità di esibirsi in pubblico permette di donare il proprio apporto personale, la propria opinione, contribuendo ad arricchire la tradizione esecutiva. La portata dell’evento performativo non ha importanza: sono sufficienti un esecutore e uno spettatore per creare la magia.
Lo scorso 30 settembre, l’angusta ma sempre accogliente sede della Piccioletta Barca è stata ricolmata dalle evocative note della sinfonia n. 9, op. 95, di Antonín Dvořák, “Dal nuovo mondo”. I giovani allievi della scuola si sono esibiti nel loro primo saggio dell’anno, proponendo agli spettatori una selezione di temi tratti dai quattro movimenti e opportunamente arrangiati, in modo da poter essere suonati da solisti o da piccoli ensemble, da allievi più avanzati come da aspiranti musicisti alle prime armi. La nostra Piccioletta Barca, con il coraggio di un transatlantico, ha preso il largo tra i flutti dell’oceano, per condurre il suo equipaggio nelle suggestive atmosfere musicali americane, figlie della commistione di elementi nativi, afroamericani ed europei, sapientemente amalgamati dalla mano del compositore ceco. L’essenza della nostra scuola non è poi tanto differente: la bambina di origine egiziana suona a quattro mani con il ragazzo portoricano, un violinista del sud-est asiatico è accompagnato dalle ricche armonie di una pianista sudamericana, Europa centrale e orientale duettano tra un arpeggio e un pizzicato. Il destino ha voluto che diverse parti della Terra convergessero quella sera per cantare insieme la sinfonia della straordinaria varietà umana, narrata da un grande maestro, attraverso piccole voci. Erano tutte voci giovani, le voci del mondo nuovo, del mondo futuro, che già si esplica in atto, ma che tanto riserba ancora per il futuro. Non a caso, il futuro è stato proprio il leitmotiv sul quale si è strutturato il percorso dell’Accademia dello scorso anno, arricchito da una guida all’ascolto dedicata proprio alla sinfonia di Dvořák: è facile immaginarsi lo stato d’animo dei migranti stipati sui bastimenti che facevano spola tra l’Europa e l’America: il cuore gonfio di malinconia per la casa natia alle spalle, ma scalpitante per l’attesa del futuro nel Nuovo Mondo, al contempo fascinoso e terribile, e pronto a distendersi là da qualche parte, oltre la punta del loro naso, sempre rivolto all’imminente comparsa della linea di orizzonte.
In sole tre settimane di prove, i nostri giovani allievi sono riusciti a preparare un lavoro di tutt’altro che facile esecuzione, visto anche il lungo periodo di stacco dalla routine di studio dell’anno scolastico, in cui, si sa, è facile perdere l’abitudine al lavoro duro. Ciononostante, si sono presentati volenterosi e ben disposti all’inizio del nuovo anno, impegnandosi in una sfida per loro senza precedenti. Durante il saggio stesso c’era chi, in preda a un improvviso terrore panico, desiderava fuggire il più lontano possibile, chi doveva fare esercizi di respirazione, chi è scoppiato in un pianto dirompente, ma solo dopo aver avuto il coraggio di calcare la scena, di essere presente e di esserlo davanti a una comunità appositamente riunita per assistere a questo atto di presenza, per ascoltare ciò che queste giovani voci avevano da dire. Il risultato è stato veramente soddisfacente: lacrime di commozione e applausi sentiti hanno accompagnato le diverse esecuzioni. Genera un grande senso di tenerezza l’ascoltare i piccoli mentre utilizzano il vocabolario dei più grandi, tentando di emularli, senza però essere in grado di eliminare il loro tocco inesperto e impacciato, ma al contempo spavaldo per la consapevolezza di essersi cimentati in una prova difficile. Con questo saggio si sono create le premesse per impostare un lavoro ricco e ben strutturato, che speriamo possa accompagnare i nostri allievi nel loro percorso di studio e di vita. Oggi, più che mai (o in fondo, a ben pensarci, forse come sempre) il sentiero di crescita delle nuove generazioni sembra sospeso su un’affilata cresta, circondata da una moltitudine di minacce e insidie, in cui pare sempre più facile precipitare inesorabilmente. Gli spettri della guerra, della violenza, del razzismo sono tornati a infestare il mondo occidentale, lanciando lugubri urla che terrorizzano gli animi, già provati dai lunghi anni di pandemia. Il nostro augurio è che le voci del domani, opportunamente guidate, possano con il loro canto far spegnere tali echi di dissonante odio, sostituendoli con armonie pacifiche.
Non scorderò mai le parole che mi rivolse un’arzilla vecchietta, probabilmente prossima al secolo, nel corso di un concerto al teatro Dal Verme: “È tranquillizzante per me vedere tanti giovani entusiasti occuparsi di arte e di musica: finché dedicherete le vostre energie a qualcosa di così buono e bello, il male non troverà terreno fertile e le vicende del mondo non potranno che andare per il meglio”.