
LE VOCI DEL MONDO NUOVO

WE FAILED YOU
PER VIOLENZA, PER DESIDERIO, PER GIOCO (parte 2)

E approdiamo nella oggi martoriata terra di Palestina, aprendo il libro dei tanti libri, come suggerisce il suo nome Βιβλία, semplicemente il plurale della parola greca libro.
La storia della creazione è nota a tutti nella versione del primo capitolo, dei primi versetti del primo libro della Bibbia, la Genesi:
“In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.”
In sei giorni, Dio crea tutto, uomo compreso e il settimo giorno si prende il suo meritato riposo. Alla fine di ogni giorno è soddisfatto, vede che la sua opera è buona e sembra subito volerle bene: si instaura subito un legame fra creatore e creatura che viene chiamata per nome. “Dio disse” è una bellissima immagine che ci dice che ognuno di noi esiste nel momento in cui gli viene dato un nome: questo è tanto vero, che una mamma e un papà, ancor prima di vedere il faccino di loro figlio, prima di conoscerlo di persona, di stringerlo fra le braccia, si preoccupano di scegliere un nome per lui, un nome che inizialmente non svelano al mondo perché cosa preziosa e intima. Ognuno di noi sperimenta la bellezza di essere chiamato per nome e, al contrario, l’umiliazione di essere davanti a una persona che mai si ricorda come ci chiamiamo, magari dopo che lo abbiamo detto dieci volte…
Rispetto all’opera babilonese e a quella greca, la Bibbia certamente è posteriore, benché il tema della sua datazione sia complessissimo: per questi capitoli del libro della Genesi (1–11) dovremmo essere intorno al V secolo avanti Cristo, nel momento in cui il popolo ebraico vive il suo esilio a Babilonia, là dove proliferavano miti della creazione, come l’Enuma Eliš. Fino ad allora, effettivamente, gli Ebrei non si erano preoccupati di dare la propria versione dei fatti, come se il tema non li interessasse poi molto. Quando sono prigionieri dei Babilonesi e ascoltano le loro favole, ecco che colgono l’occasione per dipingere un quadro dalle tinte assai più dolci: il loro dio ha creato il mondo con l’affetto di un padre che chiama tutto e tutti per nome.
Ma c’è un’altra versione dei fatti, assai meno nota, raccontata nel capitolo ottavo del libro dei Proverbi: la data di stesura è più o meno contemporanea a quella della Genesi, o poco più tarda. È una versione più breve, dove una voce femminile racconta così:
“Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, fin d’allora.
Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline,
io sono stata generata.
Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi,
né le prime zolle del mondo;
quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso;
quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso;
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia;
quando disponeva le fondamenta della terra,
allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno,
dilettandomi davanti a lui in ogni istante; dilettandomi sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.” (Proverbi 8, 22–31)
Chi sarà mai questa donna, così intima con il suo dio? Le ipotesi dei ragazzi sono le più disparate e nessuno, comprensibilmente, arriva a dire che si tratta della Sapienza: Dio crea il mondo, duettando con l’amica architetto, che è la sua delizia ogni giorno. Sembra di vederli lavorare fianco a fianco, in uno scambio di sorrisi di compiacimento soddisfatto. «Come facciamo la montagna? Dove fissiamo il confine del mare?» «Mettilo qua, dio, così l’acqua non sommerge la spiaggia». La creazione del mondo, in Proverbi, è un gioco d’intesa a quattro mani, un canto a due voci. Nel mito ebraico, questo duetto colpisce particolarmente, perché gli Ebrei erano monoteisti: un solo dio e pure geloso, ogni altro oggetto di venerazione era idolo e andava annientato.
Eppure in questo racconto, Dio non è solo. «Perché le cose belle, si creano in due» – dice Elisabetta; «e anche un gioco divertente deve avere almeno due partecipanti» – aggiunge Yasmine.
Non solo: la seconda voce è femminile: ecco che, anche per gli Ebrei, come per Babilonesi e Greci – dice Gabriele – c’è un maschile e un femminile, dato che la sapienza è donna. Sì, questa è la più belle delle analogie nei tre miti, che ritorna anche in un testo, come la Bibbia, dove Dio appare sempre maschile.
«Non c’è mai violenza nel racconto ebraico, è l’unico dove non muore nessuno» – sottolinea David. Verissimo. Mentre la creazione babilonese e quella greca hanno anche un forte elemento contro, la creazione ebraica è solo con.
Le parole che guidano, nei diversi miti, la creazione dell’universo, del mondo e dell’uomo – amore, odio, amicizia, invidia, desiderio, sospetto, intelligenza, sapienza – non sono solo parole e non sono semplici sentimenti dell’animo: sono energia allo stato puro, capaci di innescare, nel bene e nel male, fenomeni potenti e irreversibili. Ognuna di esse ha la stessa forza dirompente di quella tremenda esplosione da cui ha preso avvio il nostro scavo nelle profondità della parola dell’anno.